“Ah, il suono delle cicale… Mi riporta a quel bel viaggio in Camargue, a Saintes Maries de la mer”, dice sognante la mia amica Monica Forti. E, in effetti, nel sud della Francia c’è una specie di culto di questo animale, come un porta-fortuna che viene considerato emblematico del loro territorio. Una bella ceramica colorata di questa curiosa forma, che mi pareva quella di uno strano bamboccio in fasce, l’avevo trovata nel salotto di una casa in Provenza e, un’altra simile, si presentava come vaschetta per l’acqua del termosifone di un appartamento di Marsiglia.
In realtà non avevo ben capito cosa rappresentassero questi fagottini pietrosi. In giro per le strade le ho viste un po’ ovunque nelle vetrine, piccole piccole da attaccare al frigorifero o più ingigantite negli espositori di souvenir: coloratissime di giallo, viola, lilla, o con un bel bianco e nero squillante che ne faceva un simbolo tutto loro. A illuminare il buio della mia ignoranza, qualche artigiano ha pensato bene di decorare l’oggettino con la sua scritta distintiva in un bel corsivo colorato che la nominava “cigale”.
Una conoscenza che restava, per me, un sognante ricordo esotico e che ha preso forma reale solo l’altra mattina, al risveglio: vedo un insetto grosso e mostruoso aggrappato alla rete della zanzariera sulla mia finestra. Aiuto! Speriamo che sia fuori – penso avvicinandomi circospetta, elucubrando su quale specie aliena si possa essere depositata sulla soglia della mia stanza. La guardo, è immobile e davvero bestiale. Un essere tozzo e minaccioso, con ali trasparenti su un corpo che mi pare enorme e nero. Sembra una mosca gigante, con ali di una libellula gonfiata a dismisura. Mi armo di due giornali per tentare eroicamente di scacciare il mostro e, in caso di retromarcia, di frenarne il rimbalzo tra le pareti domestiche. Appena lo sfioro emette un suono così noto e inconfondibile: è quello della cicala! Ce ne sono a pacchi, a giudicare dal rumore, di questi animaletti che ritenevo minuscoli dal gran che sono normalmente così poco visibili.
Tanto si sente il loro incessante gracchiare, infatti, quanto poco le si scorge, queste bestiole avvolte da un’aura leggendaria (e da un guscio piuttosto spettrale che abbandonano tra gli alberi). L’idea della cicala rimanda sempre al vecchio racconto di Esopo – poi adattato dalla fiaba rilanciata dallo scrittore, guarda caso francese, Jean de La Fontaine – che ne mette in contrapposizione l’allegro e spensierato canticchiare con la laboriosa e silente abnegazione della formica. Fatto sta che la cicala è comunque avvolta da quest’idea di sapersi godere la vita, di assaporare con noncurante allegria il presente, qui ed ora, senza farsi prendere da assilli né pensieri di cautelativa preservazione. Per questo, credo, uno dei più famosi locali di intrattenimento vicino a place Pigalle a Parigi si chiama “La Cigale”, che è appunto la traduzione francese del nome della bestiola.
Anche Heather Parisi cantava, letteralmente, la gioia di vivere, di questo animaletto nel suo memorabile “Cica, cica, ci-cale!”, con una delle coreografie più popolari e scatenanti che hanno fatto saltellare a pieno ritmo le immagini sugli specchi delle camerette di noi ragazzine.
Con il poeta Umberto Saba concorderebbe, però, un’altra mia amica, Paola, che vive nella campagna ferrarese e forse proprio per questo non manca occasione di comunicare la sua disillusa visione della natura, scacciandone ogni lettura idilliaca e magari un po’ irrealisticamente sognante. Perché Saba – come la Paola – nota: “Quand’ecco da tutti/ gli alberi un suono s’accorda,/ un sibilo lungo che assorda,/ che solo è così: le cicale”. Anche per lei sono bestie assordanti. E, se mi azzardo ad accennarle la possibilità di un’uscita all’aperto in questa nostra estate padana, mi risponde brutalmente che non ne vuole mezza di fare quella che per lei non sarebbe che un’ingiustificabile “immersione tra zanzare e cicale”, già provvista com’è – assicura – di punture di altri aggressivi insetti, per i quali ha previdentemente in serbo speciale (e specifica) crema antibiotica.
A riabilitare l’aura letteraria è intervenuto lo scrittore ferrarese Roberto Pazzi sulle pagine de Il Resto del Carlino (3 agosto 2023) , dove eruditamente la definisce “compagna di viaggio di scrittori e poeti, da Omero a D’Annunzio”.
Paladino della bellezza del cicalare si era addirittura schierato un maestro della fantasia come Gianni Rodari, che poetando la elogia: “Chiedo scusa alla favola antica/ se non amo l’avara formica./ Io sto dalla parte della cicala/ che il più bel canto non vende/ regala”. Ce lo regalano infatti, il loro coro tambureggiante, tant’è che se di questi tempi ci si trova sotto i tigli dei viali conviene dismettere ogni velleità di conversazione e men che meno di contatto telefonico.
Un monito imperativo, in effetti, a vivere il qui ed ora in esclusiva compagnia di quanto abbiamo intorno.
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Giorgia Mazzotti
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