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Diario in pubblico. Lido/Laido: au revoir oppure adieu 

I gabbiani sono partiti. Al loro cra cra si è sostituito il tubare dei colombacci, che pigramente svolazzano sui rami dei pini. La nostra via ferve dei preparativi per l’imminente partenza. Parenti e amici intensificano la loro attività di scopatori reali e non metaforici.

Benny, doverosamente lavato e profumato, passa le ore in cui viene come ospite da noi, osservando le mosse di Irina, pronta a tagliargli la mela d’ordinanza; poi voluttuosamente s’allunga di lato al divano dove soggiorna zia Doda, in attesa delle carezze di Sapientino e delle Sbarabegole, mentre s’attende l’arrivo del papagallo-Galeazzo per riprendere le ultime passeggiate in edicola.

Sopra il mio tavolo di studio le mini-collezioni di oggetti a me cari progressivamente raggiungono i destinatari, a cui affido per il futuro le anatrine e gli altri animali che mi guardavano dall’alto. L’unico che conserverò è il galletto di bronzo, che vigilava sulle cose Giglioli a Villamarzana, a me carissimo e segno di una convivenza con la mia famiglia allargata. Quella di Eleonora.

I libri hanno già raggiunto i destinatari. Dal corridoio le foto delle statue canoviane dell’Ermitage mi guardano altezzose, consapevoli di diffondere bellezza. Accanto al letto il quadro di Patricia nella sua meravigliosa cornice mi seguirà in città, così come la Madonnina di maiolica sopra le testate del letto.

Ma non è tempo di rimpianti. Ci saranno in futuro.

Mi apposto al mio luogo d’osservazione sul balcone e osservo le ultime mosse dei villeggianti che lasciano le loro case con un grande dispiegamento di teli, di borse e di zaini. Manovre lentissime, eseguite tra urla di improvvisati insegnanti. E su tutto l’occhio assoluto del cellulare, mentre il sole si riflette sugli occhiali a specchio tenuti, secondo le regole del bon ton canzonettistico, sulla testa.

Pance (meglio le dialettali panze) freneticamente ballonzolano sopra gambone/gambine degli adulti maschi di terza/quarta età, o sono rigorosamente in conflitto con enormi seni e altrettanto enormi deretani delle signore fasciate nei dopo spiaggia alla moda. E infine arrivano loro, gli adolescenti, a far rimbalzare palloni come attività primaria. Siano di un sesso o dell’altro in assoluta parità. Indi il silenzio diventa ferocemente assoluto.

Leggo lo scritto di Ranieri Varese, Breve elenco di idee inascoltate per una città laboratorio culturale….  apparso oggi su questo stesso giornale, approvandone ogni riga.

E, come preconizzato dai vivaisti, l’amatissima gardenia timidamente avanza un minuscolo bocciolo.

Tacciono, quasi a rispettare la malinconia della partenza, i rimbombi dei cantieri e mi soffermo con lo sguardo sugli oggetti amati. I disegnini dei pronipoti per il compleanno, i due étagère ottocenteschi che conservavano i miei libri d’università e le cartelle per la tesi tra Ferrara, Viareggio, Firenze; poi di nuovo la città estense e ora il Lido. In alto corrono ancora i cavalli selvaggi dipinti da Barbarigo.

Ogni partenza significa un abbandono: dei luoghi amati, delle persone che vivono vicino a te, del tempo (questo sì importantissimo), che non ritorna, o ritorna a seconda del tuo essere.

Ma in tempo di partenza, se ne vanno i ricordi soprattutto di persone un tempo frequentate assiduamente e che ora restano in silenzio.

Che ne sarà del Lido/Laido? Vallo a sapere. Ora lo saluto con rispetto e forse con nostalgia.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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