Diario in pubblico. Lessico infimo
Il vocabolario dei nuovi parlanti si arricchisce sempre di più nelle definizioni, borbottii, enunciazioni che infiorano i programmi di maggior successo televisivo. Mi affido ai ritornelli che commentano un programma di grande successo, in cui un passaggio e apertura di scatole blu dovrebbe far conquistare somme ‘importanti’ ai concorrenti chiamati anche pacchettisti.
Immediatamente il termine ricorrente è pazzesco! Mentre il famoso conduttore dialoga con un misterioso dottore che sfida, premia e punisce i concorrenti. Seriosamente impegnati i concorrenti di turno cercano di liberare la bancata, ovvero di far fuori il maggior numero di scatole che contengono i premi vili, ovvero quelli di color blu.
La ricerca s’affida a sensazione, cioè il pacco col numero prescelto viene chiamato, non per calcolo, ma per la suddetta sensazione, che fa rigurgitare pezzi di vita vissuta o di momenti di vita che si legano al numero.
Il furbissimo conduttore applica una logica di gioco che si esplicita in occhiate furtive al pacco a tonanti apri! a striscianti passeggiate con l’occhio pronto a cogliere l’offerta del dottore che propone il cambio. Con fare sornione poi compila assegni fasulli che rappresentano l’offerta del dottore.
E l’emozione (per loro) si esplicita nel triturare i falsi assegni in una macchinetta, che dunque convalida il coraggio o l’incoscienza del giocatore, il quale triturando l’assegno rottama l’offerta. Di nuovo incita il concorrente a dirgli se ciò che lo guida è istinto o responsabilità. E con aria sempre più seria o imbarazzata si sente rispondere che ci sono tanti ragionamenti in gioco.
Capisco che non si può pretendere da un gioco la serietà/seriosità di un programma culturale, ma ciò che impressiona è l’uso ormai spregiudicato di termini, frasi, elocuzione della lingua italiana totalmente rovesciati.
Ma non sono solo queste le offerte televisive. Ho seguito con interesse il programma di uno dei più grandi personaggi del mondo musicale con il quale ho anche collaborato: Massimo Ranieri e del quale ricordo una lunga passeggiata nel chiostro di Santa Chiara a Napoli, dove mi spiegava le ragioni culturali per cui la meravigliosa decorazione del chiostro era un linguaggio per cui attraverso la bellezza si giunge alla realtà.
Non è dunque vero che i programmi leggeri si affidino solo all’ignoranza degli infimi culturali, ma che non c’è differenza tra programmi cosiddetti leggeri o programmi cosiddetti seri, poiché tra la divina Callas o Edith Piaf o Mina o la Argerich è solo questione di grandezza naturale.
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Gianni Venturi
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