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Ferrara film corto festival

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Diario in pubblico. La postura del Graal (non santo)

Dal mio osservatorio-balcone, che dà nella ormai non via Zanella, scruto con interesse come viene tenuto il nuovo Graal naturalmente laico e incapace di suscitare meditazioni di carattere etico, spirituale o normalmente abitudinario.

Si sarà capito che parlo del cellulare.

Partiamo dai giovani, che inventano posture originali e diversissime. Le ragazze – o chi si pone come loro – vezzosamente lo fanno scorrere tra i capelli, lo avvicinano e allontanano dal seno con lenta circumnavigazione e infine delicatamente lo appoggiano sotto l’ombelico. Le più abili riescono con contorcimento impeccabile ad avvicinarlo ai glutei, rimanendo come un foglio di carta attorcigliato. L’età media non supera la ventina.

Altro discorso per le più giovani di solito pettinate a treccioline e con ombra di rossetto sulle labbruzze. Se ne intuisce il rispetto che portano all’oggetto perché il passo si fa solenne, la vestaglietta si ricompone, l’andatura si fa decisa e il Graal è posto come un panino che si sta per addentare.

Meno fortunati (senza distinzione di sesso) chi sta in carrozzino. Il desiderio da loro espresso sarebbe quello di usarlo a mo’ di ciuccio, ma viene impedito loro da inflessibili madri che glielo allontanano dalla bocca, mentre con l’altra rispondono alle chiamate perentorie del loro apparecchio.

La solennità dell’uso è però speciale nelle signore di mezza età che sanno di poter dominare le fila sparse della condizione, come quando è il momento di distribuire lo spaghetto casereccio. Di solito molto serie e mai eccessivamente magre lo tengono costantemente appoggiato all’orecchio destro, mentre il lato sinistro del corpo si attiva nell’esercizio del potere. Il sorriso non è contemplato.

È come ritornare ai miei tempi infantili, quando si udiva il “Via! March!” delle assistenti scolastiche. Una amica mi racconta che, quando le suddette signore indossano i pantaloni, pongono il Graal nella tasca posteriore e se necessità le costringe alla minzione, l’oggetto inevitabilmente finisce “in water”.

Non parlo delle anziane -la mia categoria preferita- che con sorriso angelico biascicano un “non sento”, quando vien loro avvicinato il Graal all’orecchio. Allora s’alza potente la ripresa orale dell’accompagnatore e loro felicemente giocherellano col nuovo aggeggio.

Sportivamente consapevole delle possibilità concesse, come in una partita del cuore, ma non diretta da ‘Gnazio’, il giovanetto maschio lo usa a mo’ di pallone, addirittura stringendolo fra i denti mentre caracolla in bicicletta o addirittura s’erge sulle spalle del compagno che pedala. Il grido è imponente: risveglia gabbiani, colombacci, cicale che accolgono con un entusiastico consenso il nuovo compagno animale.

Di solito le maggiori esibizioni si svolgono tra le due-tre di notte fino alle sei, quando il mostro di ferro che sbarra la via comincia a prepararsi per il suo urlo unico e il rimbombo copre ogni altro tentativo d’imitazione. Più riflessiva l’età media dei maschi che, fingendosi cronisti di qualche importante rete televisiva, tengono aperto un giornale e borbottano preziosi consigli non si sa rivolti a chi.

Ciò è stato controllato di persona ad un caffè del Laido che si chiama “dall’alba al tramonto”. Accanto a loro l’enorme sacca del corredo da spiaggia dove i radiocronisti si recano solo al bar per prendere un aperitivo, mentre implacabile l’urlo di chi gioca a tennis da spiaggia rimanda i risultati delle partite a chi ascolta con il Graal in mano.

Mi si potrebbe giustamente chiedere quale sia la mia condotta, a cui rispondo con una punta di timore, in quanto tutto ciò che sa di innovativo è per me fonte di mistero e di preoccupazione. Lo tengo nel borsello quando esco di casa e il suono mi risveglia timori nascosti.

Premo il tasto e, quando non riesco a capire nulla, il mio lamento si espande e coinvolge chi mi sta attorno. Lo afferro poi con due dita e di nuovo lo nascondo alla vista, salvo per poi esibirlo a mo’ di giocattolo quando i passanti rivolgono gli occhi al balcone, dove soggiorno quasi tutto il tempo per non affrontare il Laido, la sua spiaggia e soprattutto i ricordi.

Per leggere gli altri articoli di Diario in pubblico la rubrica di Gianni Venturi clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autore.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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