DI MALE IN PEGGIO:
al Sud in abbandono mancavano solo le “gabbie salariali”
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DI MALE IN PEGGIO: al Sud in abbandono mancavano solo le “gabbie salariali”
Sfogliando le pagine dell’ultimo Rapporto SVIMEZ si legge di un Mezzogiorno in via di disfacimento. Il Sud continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati: dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il Centro-Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808 mila under 35, di cui 263 mila laureati. Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (–13 milioni). Nel 2080 il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro.
Ma il Sud è a corto anche di occupazione, soprattutto femminile: le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa (media UE 72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). Una situazione che sconta soprattutto la carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia: una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%). Il Sud affronta gravi ritardi nell’offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3). Queste sono le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo del LEP dei posti autorizzati da raggiungere entro il 2027 (33%).
La SVIMEZ evidenzia anche le criticità infrastrutturali italiane, con sottodotazione al Sud e saturazione al Nord. La rete ferroviaria del Sud presenta un notevole ritardo, con solo 181 km di alta velocità (12,3% del totale) concentrati in Campania. Il divario nell’elettrificazione ferroviaria è significativo, con il 58,2% al Sud e l’80% al Centro-Nord. La rete stradale meridionale è inferiore, con 1,87 km di autostrada per 100 km2 rispetto ai 3,29 al Nord e 2,23 al Centro.
E a peggiorare una situazione che al Sud è già alquanto compromessa ci pensa anche il cambiamento climatico che colpisce diversamente le regioni, con la Sicilia a maggior rischio desertificazione (70% del territorio minacciato da insufficienza idrica), seguita da Molise (58%), Puglia (57%) e Basilicata (55%). Le temperature più elevate hanno effetti economici differenziati tra Nord e Sud, con le regioni settentrionali che potrebbero vedere un aumento del PIL (+0/2%) e il Sud una significativa riduzione (-1/3%), con picchi superiori al -4% in Campania e Sicilia.
Per quanto riguarda lo sfascio del Servizio Sanitario Nazionale, fortemente malato su tutto il territorio nazionale ma quasi in fin di vita nel sud d’Italia, ci pensa l’AGENAS, con il suo recente report di analisi sulle principali dinamiche della mobilità sanitaria interregionale nel nostro Paese, a certificare il “deserto sanitario nel Mezzogiorno”. L’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali ha certificato che le principali regioni attrattive sono in ordine Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, mentre quelle di fuga sono Campania, Calabria e Sicilia. Il flusso migratorio è quindi tendenzialmente diretto da Sud a Nord, con la Campania che perde per la mobilità della specialistica ambulatoriale 42.104.975 di € e la Lombardia che guadagna invece 102.817.509 di €.
A proposito poi del profondo gap di istruzione e occupazione tra il Mezzogiorno e il Centro-Nord, L’ISTAT ha certificato che la popolazione (25-64 anni) residente nel Mezzogiorno è meno istruita rispetto a quella del Centro-nord: il 38,1% ha il diploma di scuola secondaria superiore e solo il 16,8% ha raggiunto un titolo terziario; nel Nord e nel Centro circa il 45% è diplomato e più di uno su cinque è laureato (21,2% e 24,3% rispettivamente). Il divario territoriale nei livelli di istruzione riguarda uomini e donne, sebbene sia più marcato per la componente femminile. Nel Mezzogiorno il tasso di occupazione è molto più basso che nel resto del Paese e quello di disoccupazione molto più alto anche tra chi ha un titolo di studio elevato: il tasso di occupazione dei laureati è pari al 75,1% (12,6 punti inferiore a quello del Nord) e quello di disoccupazione al 6,7% (superiore di quattro punti). E anche il divario rispetto all’abbandono scolastico è rimarchevole: nel 2022, l’abbandono degli studi prima del completamento del percorso di istruzione e formazione secondario superiore, riguarda il 15,1% dei 18-24enni nel Mezzogiorno, il 9,9% al Nord e il 8,2% nel Centro. Così come la quota di NEET (chi non lavora e non studia): nel Mezzogiorno la quota di NEET è più alta (27,9% contro 13,5% nel Nord e 15,3% e nel Centro).
Infine, la Caritas nel suo Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia 2023, nel sottolineare che i poveri assoluti nel 2022 salgono da 5 milioni 317 mila a 5 milioni 674 mila (+ 357mila unità), ovvero 2 milioni 187mila famiglie in povertà assoluta, a fronte dei 2 milioni 22mila famiglie del 2021 (+165mila nuclei), evidenzia ancora una volta lo svantaggio crescente del Mezzogiorno.
Al capezzale di questo Mezzogiorno, che tutti i dati mostrano in stato comatoso, le destre al governo guidate dalla Meloni, anziché recuperare la dimensione nazionale delle politiche, come ammonisce la SVIMEZ, con interventi commisurati ai fabbisogni delle regioni caratterizzate da più ampi gap infrastrutturali economici e sociali da colmare, con l’obiettivo del riequilibrio territoriale che, al di là delle politiche aggiuntive, dovrebbe coinvolgere l’intervento pubblico ordinario per imprese e famiglie, propongono la terapia dell’autonomia differenziata del ministro Calderoli, che dividerà definitivamente il Paese (a vantaggio delle regioni ricche) e le “gabbie salariali” per dividere anche i lavoratori. Con l’ordine del giorno, sempre della Lega, firmato da Andrea Giaccone, si propone infatti di introdurre una quota variabile di stipendio pubblico, in particolare per quello degli insegnanti, da calcolare in base al “luogo di attività”. Si punta insomma a differenziare le retribuzioni in base al costo della vita e al potere d’acquisto della regione in cui si lavora, creando così un divario tra stipendi al Nord e al Sud.
E così ad un Sud già discriminato per i livelli disoccupazione, per i servizi di welfare, per le infrastrutture e le reti, per la deindustrializzazione, per l’informatizzazione, per la formazione e ora anche per le “gabbie salariali”, non resta che rassegnarsi al destino che le destre gli hanno assegnato: il totale e definitivo disfacimento.

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Giovanni Caprio
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