Dalla Civiltà delle macchine alla (in)civiltà degli algoritmi.
La lezione di Leonardo Sinisgalli
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Dalla Civiltà delle macchine alla (in)civiltà degli algoritmi. La lezione di Leonardo Sinisgalli.
Saranno robot iperspecializzati a scavare le miniere e a esplorare le profondità degli oceani e dello spazio. Saranno i cobot a intervenire chirurgicamente sul nostro corpo e a prendersi cura di noi; saranno le macchine a guida autonoma a spostarci, “camminarci”, e forse “finirci”; sarà l’AI a fare giornalismo, fotografia, letteratura e persino arte.
È sotto gli occhi di tutti: oggi il sapere viene prodotto con (e dalle) macchine.
Come avvertito da molti autori a cominciare dal nostro Roberto Calasso (L’innominabile attuale, Adelphi, 2017) o da Byung-Chul Han (Psicopolitica, Nottetempo, 2016), l’idealismo kantiano scaturito dalla fede nel soggetto umano quale unico produttore della conoscenza è stato sostituito dalla (apparente) consistenza degli algoritmi: l’essere umano ha abdicato alla propria posizione di produttore del sapere e consegna la propria sovranità agli algoritmi.
L’…algorismo ha posto fine all’idealismo e all’umanesimo.
Se volessimo tentare una lettura del presente attraverso la parabola seguita da macchine e materiali che, nel corso della storia, sono diventati di volta in volta sempre più leggeri e invisibili (si pensi al passaggio dai giganteschi server all’impalpabile cloud o quello dal piombo delle tubature romane all’atomo di Hiroshima e Chernobyl), non potremmo che farci accompagnare da un poeta-ingegnere antesignano del marketing digitale e dell’epoca dei Big Data che stiamo vivendo.
Chi volesse dettagliate informazioni storiche e biografiche su Leonardo Sinisgalli, può fare riferimento al ricchissimo e dettagliato archivio della sua fondazione [Qui] . In questo contributo ci limiteremo a ripercorrere brevemente il suo ruolo editoriale di riviste aziendali per mettere meglio a fuoco la sua idea di “macchina”.
Nel 1929 Leonardo Sinisgalli ha 21 anni ed è studente di ingegneria all’Università di Roma. Dopo essere stato selezionato da Enrico Fermi nel 1927 per fare parte di un gruppo di ricerca d’avanguardia (i famosi ragazzi di Via Panisperna), declina l’invito per seguire la sua più autentica vocazione che è la poesia: la musa Calliope dunque prevalse sulla musa Urania.
Conseguita la laurea in Ingegneria Industriale continuò comunque a frequentare le due muse attraverso attività letterarie vere e proprie e prime collaborazioni con l’industria: fin da questi esordi si occuperà della redazione di riviste aziendali tanto da venir notato da Adriano Olivetti che lo volle responsabile dell’ufficio tecnico della pubblicità ( quello che oggi si chiamerebbe ufficio marketing).
È molto probabile che fu proprio Sinisgalli a mettere in contatto Adriano Olivetti con Enrico Fermi per intraprendere la produzione di calcolatrici elettroniche nel 1949.
Dopo la tecnica, Sinisgalli venne chiamato alla Pirelli come direttore artistico, figura che a quel tempo iniziava a occuparsi non solo della pubblicità aziendale ma anche dell’allestimento di mostre, della preparazione di convegni e della sperimentazione di nuove forme di comunicazione.
Forte delle proprie capacità di ideazione e scrittura Sinisgalli pose al centro di questa attività una rivista aziendale che divenne il primo esempio di cross contamination fra arte, scienza, tecnica e letteratura. A questa esperienza milanese seguirà quella romana presso Finmeccanica ( azienda che oggi si chiama Leonardo) per la quale Sinisgalli fonderà il suo gioiello editoriale rappresentato dalla Civiltà delle macchine una rivista iconica nel nome e ricchissima di contenuti e sulla quale venivano invitati a scrivere, scienziati, letterati, filosofi, artisti, architetti, registi, manager aziendali, ingegneri, rappresentanti dei lavoratori.
Già nella concezione di questa “opera editoriale” si riesce a riconoscere l’idea che Sinisgalli aveva della “macchina”: non si trattava di una cosa strettamente collegata al modo di produzione, per lo meno non solo a questo. Sinisgalli poeta era ben consapevole dei problemi che la meccanizzazione spinta avrebbe potuto produrre e amplificare: era chiaro per lui che l’avvento della macchina avrebbe portato alla parcellizzazione delle competenze, all’alienazione degli operai dalla visione del tutto, alla trasformazione dei cittadini in consumatori.
La macchina per Sinisgalli dunque non poteva essere altro dall’attività umana, riconoscendo nella tecnica la vera natura dell’uomo. Pertanto la macchina costituiva una sorta di protesi delle capacità umane in grado sia di spalancare nuove possibilità ma anche provocare inquietudini: in ogni caso essa restava il segno inequivocabile di una nuova fase della civiltà e un punto di non ritorno.
L’estetica delle macchine sulle quali Sinisgalli indugiava aveva sempre un’origine e un fine umani e dunque a fianco all’estetica era necessaria un’etica delle macchine: la macchina non doveva costringere l’uomo a rinunciare alle proprie prerogative ma porsi come complemento indispensabile per operare trasformazioni fuori e dentro di noi.
La macchina pertanto non poteva e non doveva essere autonoma!
Potremmo dire che l’etica delle macchine di Sinisgalli è un’etica della complementarità.
È facile riconoscere l’assoluta attualità di questa concezione rispetto all’analogo moderno delle macchine o di quello che sono diventate. Attualità che possiamo comprendere trasferendo il concetto di macchina e di transizione tecnologica dagli anni del boom economico ai nostri anni.
Se a quel tempo l’industrializzazione e l’innovazione tecnologica furono caratterizzate da macchinari ingombranti e dispiegati nelle loro fisicità e fascinazione estetica, nella nostra epoca non ci sono più macchine ingombranti, ma soprattutto c’è una tendenza all’impalpabile, all’immateriale messa ancora più in luce dalla differenza tra hardware e software.
I recenti sviluppi hanno portato alla quasi evaporazione degli ingombranti macchinari quali i server nella “nuvola” virtuale: una volta operata questa traslazione da hardware a software, da macchina reale a macchina virtuale (l’algoritmo!), l’etica delle macchine di Sinisgalli potrebbe farci comodo: le macchine non devono essere autonome!
Le automobili a guida autonoma, i droni e gli altri apparati quali i robot e i collaborative robot in grado di “sfuggire” anche per un solo attimo al nostro controllo: si pensi all’ultimo Big Crash che ha mandato in tilt i terminali degli aeroporti di mezzo mondo) impongono la necessità di recuperare quella sana inquietudine e chiara attenzione sul loro impiego.
Vale la pena quindi citare l’appello che Leonardo Sinisgalli lanciò ai poeti e di riflesso agli intellettuali nel 1951 e tenerlo presente per scongiurare una possibile inciviltà degli algoritmi:
“Ma che cosa sono questi strumenti e mezzi meravigliosi che hanno smisuratamente allargato il potere delle nostre pupille?[…] Sono tante similitudini di un’onda, sono le metamorfosi di un raggio, sono le luci plurime che ci servono nella nostra difficile esplorazione. Che la retorica e il buon senso possano trascurare queste meraviglie, queste conquiste, può essere perfino comprensibile. Ma sarebbe una grave sciagura se di queste ipotesi si disinteressassero i Poeti. L’Arte deve conservare il controllo della verità, e la verità dei nostri tempi è una qualità sottile, è una verità che è di natura sfuggente, probabile più che certa, una verità ‘al limite’ che sconfina nelle ragioni ultime, dove il calcolo serve fino a un certo punto e soccorre una illuminazione, una folgorazione improvvisa. Scienza e Poesia non possono camminare su strade divergenti. I Poeti non devono avere sospetto di contaminazione.”
[L. Sinisgalli, Natura, calcolo, fantasia, in Pirelli, III (1951), 52-53]
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Giuseppe Ferrara
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