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Cpr per immigrati come i ricoveri di mendicità dell’800.

La rivoluzione industriale iniziò in Inghilterra dal 1730 con un’ondata di invenzioni che avevano meccanizzato la filatura in grandi fabbriche spinte da macchine a vapore e dove lavoravano anche mille operai non qualificati, ma anche donne e bambini. Oltre a macchine per la manifattura come la Cucitrice che faceva il lavoro di 40 cucitrici, c’erano quelle agricole per tagliare il grano venti volte più velocemente o la Piallatrice che faceva il lavoro di 100 falegnami. Nelle miniere di carbone le pompe mosse da macchine a vapore toglievano l’acqua e aumentarono di molto la produttività, anche sfruttando i bambini piccoli che potevano entrare nei piccoli pertugi. Fece impressione la prima indagine Reale del 1832 quando scoprì che almeno 60mila bambini dai 6 anni in su ci lavoravano 12 ore al giorno.

L’enorme aumento di produttività dovuto alla massiccia automazione arricchì in modo stupefacente pochi industriali e commercianti ma non si diffuse affatto a chi lavorava. Per questo dal 1730 al 1840 le innovazioni tecnologiche di allora produssero un enorme peggioramento delle condizioni di vita di contadini e artigiani qualificati ora costretti in fabbriche in mansioni parcellizzate per 12 ore al giorno (l’orario settimanale era nel 1800 di 65 ore) e con salari minori di quelli di 100 anni prima. Le condizioni nelle città sovraffollate erano diventate spaventose con nuove malattie come tbc e colera. Solo dal 1840 in poi le condizioni igieniche migliorarono così come i salari con la nascita dei sindacati e di contropoteri. Finché la classe operaia non si organizzò fu preda delle brame primordiali delle élite di allora e dell’automazione esasperata.

La legge, i tribunali e i “media” (diremmo oggi, allora i pensatori, quelli che avevano studiato) erano dalla parte dei padroni (lo Statute of laboureres del 1351 che prevedeva che non si poteva lavorare per salari più alti o per altri padroni, fu abrogato nel 1863) e si accanivano anche allora contro i poveri. I pensatori del tempo proponevano che le misure di sostegno alla povertà prevedessero degli aiuti tramite i ricoveri di mendicità che però dovevano evitare che i poveri oziassero anziché continuare a lavorare. E la soluzione fu di rendere i ricoveri di mendicità inospitali per spingere le persone al lavoro anziché all’assistenza. Uno studioso li definì un “sistema carcerario per punire la povertà”.

Mi pare che ci sia una assonanza coi Cpr per immigrati del 2023.
Anziché organizzarsi per includere quei 250mila immigrati di cui abbiamo bisogno come Paese per le nostre imprese e campi con vantaggi nostri e loro, li incarceriamo. Allora i “Cpr” erano per i bianchi poveri per spingerli a lavorare nelle fabbriche inglesi, oggi per escludere gli immigrati anche dal lavoro.
I bianchi poveri puniti con lo sfruttamento del lavoro, gli immigrati col carcere. Tempi diversi ma logica simile.

Cover: Mensa per i poveri a Basilea; fotografia del 1914-1918 di Carl Kling-Jenny (Staatsarchiv Basel-Stadt, BILD 13, 606).

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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