Cosa dice veramente il Manifesto di Ventotene
Cosa dice veramente il Manifesto di Ventotene
Il MANIFESTO fu scritto da Altiero Spinelli (1907-1986), politico, deputato italiano, scrittore e fondatore del Movimento federalista europeo, ex comunista ed espulso dal partito per aver criticato Stalin. È uno dei “padri” dell’idea di Europa.
L’altro autore è Ernesto Rossi (1897-1967), economista e giornalista e dirigente del Partito d’Azione e militante del movimento Giustizia e Libertà fondato dal teorico del socialismo liberale Carlo Rosselli. Lo scrissero nel 1941 mentre erano rinchiusi con altri 500 antifascisti nell’isola del Tirreno di Ventotene.
Una introduzione fu fatta da Eugenio Colorni nel 1944. È la prima idea di una Europa unita, seppure federale (cioè con una forte autonomia dei singoli Stati nazionali) e una rappresentanza diretta dei cittadini negli organismi centrali. È un breve documento che va ovviamente contestualizzato in quei momenti storici, e che contiene alcune ingenuità, come ammise lo stesso Spinelli nelle sue memorie, ma in cui è chiara l’idea (visionaria per quei tempi) di una integrazione europea degli Stati nazionali, dopo due tremende guerre mondiali e fratricide.
Gli autori socialisti (e del Partito d’azione) criticavano sia l’esperienza reale del comunismo dell’URSS, sia quella di un capitalismo deregolato. Il testo si presenta, dopo oltre 80 anni, di grande attualità, anche se non mancano ingenuità, come quella citata dalla Meloni e forse la frase più infelice, cioè la “dittatura dello Stato”.
In realtà tutta l’impostazione economico-sociale del Manifesto non è statalista, come la premier ha cercato di far credere, sottolineando la frase più infelice, ma quella poi assunta dalla nostra Costituzione, che prevede la difesa della proprietà privata ma anche la sua limitazione, qualora ciò sia utile all’interesse pubblico, come del resto avvenne con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e, aggiungo io, sarebbe necessaria ancora in altri settori come salute ed erogazione del gas.
C’era la critica al comunismo sovietico, “un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia”, ma cercava anche di individuare una via economica che non fosse solo subalterna agli interessi privati se non monopolistici.
E soprattutto l’idea di una Europa federale la ”unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione” e l’idea di una forza armata comune (indipendente dagli anglosassoni) “al posto degli eserciti nazionali”.
C’era anche una impostazione socialista, che chiedeva a questa Europa di perseguire “la lotta contro la disuguaglianza e i privilegi sociali, le successioni non tassate, una proprietà privata corretta e limitata, nazionalizzazioni per evitare che la grandezza dei capitali investiti possa ricattare gli organi dello Stato…”.
Un’idea visionaria ma concretissima di una Europa che unita lavora per “condizioni di vita più umane, liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale… non lasciando ai privati attività monopolistiche che sfruttano i consumatori”.
Il Manifesto era quindi a favore delle nazionalizzazioni di quei settori che avrebbero portato vantaggio ai cittadini ed era favorevole a gestioni non solo private “alle cooperative e all’azionariato operaio… e a remunerazioni medie che fossero press’a poco uguali per tutte le categorie professionali”. Segnato quindi da un forte egualitarismo.
C’era poi la proposta di un forte rafforzamento del welfare fino a dare un “minimo di conforto per conservare il senso della dignità umana e la solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica…non con la carità… ma con provvidenze pubbliche” (una sorta di reddito per i poveri ante litteram), ma anche di salario minimo “… senza però ridurre lo stimolo al lavoro… così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori”.
In sostanza un testo non solo visionario, ma di grande attualità che individua una via originale (tutta da ancora da percorrere) di una Europa unita (seppure federale, cioè con forte autonomia dei singoli popoli) e terzo polo nella vita economico-sociale, al centro (virtuoso) di due polarità entrambe viziate (sbagliate):
- il comunismo nella sua forma reale realizzatosi in URSS;
- un capitalismo deregolato dove “dei plutocrati, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l’apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali”.
Un testo fortemente ispirato dal silenzio di quegli interminabili giorni di prigionia, pieno di fratellanza ed etica, in polemica con la “potenza del denaro”, che già allora si intravvedeva e come tale pieno di spiritualità, che vuole anche dare sicurezza all’Europa con un suo esercito, ma anche lontana dalle “esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari”.
Infine profetico là dove si dice che “è probabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose per riprendere la politica d’equilibrio dei poteri, nell’apparente immediato interesse dei loro imperi”.
In copertina: Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi autori del Manifesto di Ventotene, foto del Comitato Fiorentino per il Risorgimento.
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Andrea Gandini
Commenti (1)
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PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
Insomma una terza via, come riprese decenni dopo Enrico Berlinguer. Io in fondo la Meloni la capisco, il Manifesto di Ventotene e profondamente antifascista, antistalinista e contro le plutocrazie. E lei (la a premier) tutto questo non lo è.