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Controllare Telegram: ma chi controlla il controllore?

Sono 2 miliardi gli utenti di Whatsapp, la messaggistica di proprietà di Mark Zuckerberg (Facebook e Instagram).  Fino al 2020 Whatsapp era leader indiscusso nel mondo, ma con la pandemia le cose sono cambiate: chi non era d’accordo con le politiche di vaccinazione di massa e di lockdown assunte da quasi tutti i governi, si è trovato l’account chiuso ed è migrato su Telegram, la messaggistica inventata dai fratelli Durov, russi e geni della matematica (erano sempre ai campionati mondiali di matematica per la Russia), che garantisce a tutti l’assoluto anonimato e il principio  – difeso anche in Occidente – della segretezza della corrispondenza privata.  Così Telegram è cresciuto dai 300 milioni di utenti fino agli attuali 900 milioni, proprio garantendo l’anonimato e la totale privacy per tutti, da chi dissentiva nei vari paesi con regimi autoritari agli stessi paesi, dai militari ucraini a quelli russi. L’accusa a Pavel Durov, arrestato in Francia, è che Telegram darebbe la possibilità a vari criminali di operare nei mercati illegali (armi e pedofilia, solo per citare i maggiori) senza cooperare con le agenzie di polizia che perseguono tali criminali. Pavel Durov si difende dicendo che è proprio garantendo libertà e privacy che ha potuto far comunicare sia dissidenti come Navalny in Russia, sia Ong in 31 paesi autoritari (che infatti hanno bloccato Telegram). Durov è andato via dalla Russia proprio perché lo si voleva controllare e in passato ha cooperato con le indagini delle polizie di vari paesi, segnalando gli amministratori di chat violente, bloccando alcuni canali e bannando gli amministratori: ma mai quanto vorrebbero i paesi occidentali.

Telegram ha un sistema di “chat segrete” e di crittografia end to end (che peraltro è attivo anche su Whatsapp) per cui solo mittente e ricevente vedono i messaggi, ed un sistema di autodistruzione dei messaggi a tempo. C’è però chi sostiene che dietro la ragione della mancata cooperazione con le polizie di mezzo mondo ci sia l’intento di condizionare Telegram in ordine a certi contenuti. Lo ha fatto anche la Russia: nel 2018 voleva l’accesso alle chiavi crittografiche, come previsto dalla legge antiterrorismo. Sta di fatto che Pavel Durov ha spostato i server (che contengono i dati) a Dubai e che il fratello maggiore Nikolai (pare, il più geniale dei due) sia introvabile da anni. Del resto, con 30 miliardi di patrimonio in due non dovrebbero avere problemi a nascondersi.

Proprio il giorno dopo l’arresto in Francia di Durov, Zuckerberg ha mandato una lettera alla Casa Bianca ammettendo che nel 2021 ha subito pressioni per censurare contenuti e video di persone che facevano umorismo e satira sulle misure Covid, ma anche testi scientifici non allineati (nonostante 20 milioni di contenuti fossero già stati rimossi in base a regole di moderazione interne), nonchè per mettere la sordina alle notizie su Joe Biden, quando la vulgata di allora diceva che erano fake news diffuse dalla Russia. L’Amministrazione Biden si è difesa dicendo che ha agito “per proteggere la salute e la sicurezza pubblica. “Ritengo che la pressione del governo sia stata sbagliata e mi rammarico di non essere stati più espliciti al riguardo”, ha aggiunto Zuckerberg, precisando di aver fatto scelte “che oggi non rifaremmo”.

La questione si intreccia con chat control” della UE, la proposta di regolamentazione dei contenuti  in Europa (su cui molti paesi non sono d’accordo) perché antepone la sicurezza alla libertà di espressione, sapendo che è sempre stato forte l’interesse dei governi a censurare le notizie poco gradite. Ma chi controlla il controllore?

Sappiamo che ci sono criminali che sfruttano l’anonimato delle piattaforme: del resto, anche in Whatsapp, Signal, Messenger, non c’è una policy che preveda che ci si debba firmare col proprio nome e cognome. Essendo costretti a “metterci la faccia” almeno la maggioranza delle castronerie e delle stupide violenze sarebbero evitate (ma il traffico sarebbe di gran lunga inferiore). Ma che dire allora del dark web o dei crimini che commettono i potenti o i governi stessi? Che dire delle bugie dei Governi Usa e GB, che sulla loro base hanno addirittura scatenato una guerra in Iraq nel 2003 e nel 2011 in Libia?

Si pone così il tema enorme di paesi che, in lotta tra loro, per le note ragioni di potere e soldi di cui parlava Trilussa, vorrebbero il monopolio delle informazioni e la censura del dissenso invocando le sedicenti buone ragioni del “proteggere la salute e la sicurezza pubblica “. Vale anche per Tik Tok (i proprietari sono cinesi) censurato in Usa, in quanto si sospetta che i filmati in cima alla classifica diffusi tra i giovani occidentali mostrino stupidaggini finalizzate a rimbecillirli, mentre i video diffusi nel resto del mondo (Cina, Russia,…) sarebbero di giovani che fanno azioni virtuose: ciò al fine di rafforzare l’etica e la coesione sociale. Una forma inedita di lotta geopolitica.

Che fare? Non è facile rispondere. Anche perché, una volta “regolato” Telegram, è probabile che nasca un’altra piattaforma (in realtà ci sarebbe già X di Elon Musk – ex Twitter – che segue la stessa politica: massima libertà e nessuna regolamentazione). L’ideale sarebbe abbassare le volontà di potenza degli Stati e trovare forme di cooperazione, almeno sulle questioni principali, per un mondo migliore per tutti: ma ci vorrebbero leader illuminati. Il primo ministro tedesco, il socialdemocratico Scholz, vuole far rimpatriare più rapidamente gli immigrati violenti (dopo gli omicidi degli ultimi giorni), ma i paesi originari di molti potenziali rimpatri sono Afghanistan e Siria (non proprio amici). L’ennesima dimostrazione di quanto sarebbe saggio chiudere tutte le guerre, a costo di perdere pezzi di potere nel controllo mondiale, e soldi. Ed è questo il problema. Ma prima o poi una catastrofe ci farà rinsavire.

 

Photo cover: 5 /2/2003, Colin Powell mostra al Consiglio di Sicurezza dell’ONU una (falsa) fiala di antrace. Foto tratta da altreconomia.it.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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