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Considerazioni (in)attuali di un sociologo urbano.
In risposta al prof. Farinella

Le riflessioni promosse dal prof. Farinella nel suo denso intervento mettono al centro una serie di problematiche che vanno al di là della specificità del contesto ferrarese e toccano il governo delle città in questa epoca di crescente incertezza e difficoltà.
Taluni aspetti della contemporaneità evidenziano quanto le città siano divenute, o meglio ridivenute, luoghi sempre più centrali nelle politiche sociali, economiche e culturali. In altre parole, la scala urbana assume un ruolo decisivo nel progettare e nell’implementare interventi che alimentano a livello locale dinamiche talvolta anche in conflitto con le leggi nazionali, come anche recentemente si è assistito sul caso di figli e delle figlie di coppie omosessuali, oppure le cosiddette citta santuario dove si accolgono migranti e rifugiati contro le limitazioni legislative dei governi centrali. Tale autonomia di governo è un valore significativo nel momento in cui il decentramento decisionale permette di essere prossimi alle istanze dei cittadini, di essere vicini alle problematiche territoriali e, infine, di conseguire obiettivi simbolici e pratici dentro alla logica dell’inclusione e della piena cittadinanza. Tuttavia, lo sappiamo molto bene, questo orizzonte si scontra con realtà, “troppo” spesso e volentieri, in cui le dinamiche di potere locale conseguono specifici interessi di parte, relegando eventuali critiche, progetti alternativi quali fastidi rispetto alle proprie scelte ritenute del tutto appropriate.
Da queste sintetiche osservazioni, nel solco aperto da Farinella, sorge un problema urgente sul quale è oltremodo necessario riflettere, ovvero il rapporto tra città e democrazia. Negli ultimi anni la sociologia urbana ha affrontato temi importanti all’interno di questa relazione, ad esempio la gestione degli spazi pubblici, le politiche abitative, le politiche di welfare, le strategie di sviluppo socio-economico e le trasformazioni delle istituzioni e delle amministrazioni per far fronte alla complessa articolazione dei problemi (crisi economica e sanitaria, aumento delle povertà, transizione ecologica).
Sulla base di un ampio repertorio di ricerche condotte in diverse città e aree metropolitane europee emerge un quadro sufficientemente chiaro: la chiave di volta per affrontare tale complessità, come richiamato in maniera esemplare da Farinella, è ridefinire e innovare i processi di partecipazione democratica dei cittadini e delle cittadine al fine di condividere priorità e finalità dell’agire pubblico.

Partecipazione e cittadinanza attiva

La parola magica partecipazione è presente nella maggior parte dei progetti europei e nazionali cha hanno quale loro scopo la gamma degli interventi nelle città, dalla progettazione sul sociale alla riqualificazione urbana nelle loro distinte variazioni. Anche in questo caso, sovente, l’effettiva partecipazione rimane nell’alveo delle buone intenzioni, configurandosi quale retorica del consenso piuttosto che divenire strumento democratico e di emancipazione collettiva. In altre parole, i processi partecipativi si caratterizzano per il loro essere in molti casi mera consultazione invece di raffigurarsi nella dimensione della reale co-progettazione in riferimento sia alla definizione del problema, sia alla ricerca delle risposte compatibili con esso. Dal lato dei singoli, o gruppi organizzati, di cittadini il tema della cosiddetta cittadinanza attiva risulta oltremodo significativo in questa prospettiva. Il termine presenta una certa variabilità concettuale così come nella sua manifestazione. Il filo rosso che tiene insieme questa articolazione sta nella costituzione di ambienti, relazioni e pratiche condivise tra le persone per avanzare problemi, costruire possibili soluzioni, promuovere inclusione e responsabilità collettive.
La cittadinanza attiva è un valore aggiunto nelle dinamiche democratiche locali poiché esercita il ruolo e la funzione di soggetto politico nel senso nobile della parola di occuparsi delle questioni e delle scelte di pubblico interesse. In diverse occasioni le prerogative di tale attivazione possono assumere i contorni di un conflitto con l’esercizio del potere locale. Forse è necessario ribadire che il conflitto, termine diventato oramai quasi blasfemo, è una palestra di democrazia, un terreno dove si apprendono e maturano competenze politiche e sociali decisive e dove si sperimenta l’agire cooperativo, quest’ultimo fattore determinante nel prossimo futuro per contrastare gli effetti delle problematiche che abbiamo in precedenza delineato. Altresì il conflitto ha effetti benefici sugli attori e sulla configurazione del potere locale poiché potenzialmente innesca circoli virtuosi di apprendimento delle problematiche espresse, di individuare nuove competenze nell’amministrazione e, non certamente ultimo, di aumentare la capacità di leggere e di rispondere alle questioni via, via emergenti. Di conseguenza, non si deve aver timore di affrontare eventuali istanze conflittuali, ma viceversa cogliere l’occasione per aprire spazi e luoghi di confronto entro i quali esercitare il gioco democratico.
Questo non significa assolutamente annullare in una sorta di immaginaria pace sociale le differenze di visione, o peggio, di appiattire le specifiche diverse culture politiche. Sarebbe altrettanto dannoso. Si tratta, viceversa, di alimentare e vivificare il rapporto tra società urbana nella sua articolata composizione e democrazia nel momento in cui appare all’orizzonte la minaccia di un progetto politico di governo autoritario delle città, tema su cui insieme al professore Farinella stiamo da tempo lavorando.

La città autoritaria

Per “autoritario” s’intende identificare dinamiche che escludono progressivamente i cittadini dalla loro capacità di mobilitazione, dal loro riconoscimento in quanto soggetti attivi e, al contempo, un’egemonia del valore commerciale sul valore sociale della città che ha un effetto di ridurre i problemi solo nella loro valenza economica.
Il rischio di ciò che abbiamo chiamato città autoritaria è l’esito di dinamiche che rispondono a un modello neoliberista ritenuto l’unica medicina per curare quegli stessi mali che ha contribuito a creare. Sarebbe opportuno ripensare tale modello il quale reca con sé l’incapacità di creare le condizioni per promuovere l’eguaglianza, l’equità e la sostenibilità socio-ambientale che, al contrario di quanto la vulgata asserisce, saranno le imprescindibili fondamenta per uno sviluppo economico di un determinato territorio.

Il caso Ferrarese

Riflettendo sul caso ferrarese è del tutto evidente che siamo di fronte a una situazione entro cui si possono individuare elementi rilevanti. La costituzione del Forum Ferrara Partecipata raffigura un esempio significativo all’interno di una cornice di rinnovata relazione tra cittadinanza e governo. Infatti, la mobilitazione non si pone solo su un piano di esclusiva critica a una scelta amministrativa ma si propone anche diffondere saperi e di integrare la singolarità dell’intervento all’interno di una visione più ampia dell’abitare un luogo, di per sé contradditorio e mai definito una volta per tutte. Qui sta il senso più deciso della cittadinanza attiva: ampliare i confini del diritto alla città nell’ottica di scenari democraticamente disegnati, discussi e condivisi. La democrazia è una continua pratica di rivendicazione, di ascolto, di proposte e di dialogo. Non si può esimersi da questa semplice, forse banale, constatazione.
Ferrara in tal senso è sicuramente un laboratorio di cui è assolutamente decisivo coglierne l’opportunità.

L’università e la città

Infine, alcune brevi considerazioni sul ruolo dell’Università come discusso da Farinella. Al di là delle evidenti valutazioni che si possono fare sull’importanza dell’Ateneo in termini di ricadute economiche sulla città, è chiaro che ciò non è sufficiente.
Il mondo accademico negli ultimi tempi è chiamato nelle sue componenti ad aprirsi alla città. Termini quali “terza missione”, “public engagement”, i quali appaiono un filo oscuri a chi non ha certe frequentazioni, delineano questo obiettivo secondo le nuove linee ministeriali di valutazione dei singoli atenei. Il fatto che venga istituzionalizzato il rapporto tra territorio e università è sicuramente un fatto di cui essere piuttosto contenti. Tuttavia, è altrettanto rilevante riflettere sulle modalità con cui tale rapporto dovrà stabilirsi e, in particolare, quali possano essere i contenuti sui quali lavorare congiuntamente. Su questi aspetti il dibattito è aperto: da un lato, l’università può assumere un ruolo di sostegno a politiche socio-economiche che assecondano il sopra citato modello neoliberista; dall’altro può promuovere saperi e competenze capaci di gettare le basi per una seria alternativa socio-economica e socio-culturale.

Nel mezzo di questa polarità, ovviamente, ritroviamo tante sfumature, tanti differenti percorsi non riconducibili fedelmente a uno dei due. Conseguentemente dentro alle mura universitarie appare urgente definire quali indirizzi dare a questa inedito rapporto attraverso il continuo dialogo con la complessità amministrativa, l’articolazione sociale ed economica espresse dalla città nel suo insieme. E ciò deve essere fatto nel modo più trasparente e pubblico possibile al fine di dare impulso a una effettiva rigenerazione che tenga insieme i frammenti sparsi di un mosaico di cui, purtroppo, ancora non conosciamo l’immagine conclusiva.

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Alfredo Alietti

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