Come un “gnic” nel Credo
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Lo slogan elettorale della ex Lega Nord (ora Lega e basta) per le prossime elezioni ruota attorno alla parola ‘Credo’ ed i richiami religiosi all’atto di fede dei cattolici sono evidenti.
Non è una novità che il segretario della Lega Matteo Salvini, tramite i suoi baci pubblici al rosario, i suoi giuramenti sul Vangelo, il suo contornarsi di immagini sacre, sfrutti spudoratamente i simboli religiosi in cambio di voti.
In effetti noi elettori, quando scegliamo per chi votare, spesso ci facciamo condizionare più da alcuni aspetti apparentemente secondari piuttosto che dal programma elettorale e dalla credibilità dei candidati e delle candidate. Oltre ai colori e ai simboli, gli slogan rappresentano una parte importante di questi aspetti.
Molti partiti hanno capito da tempo che, in Italia, si conquistano più voti con ciò che si è detto che con ciò che si è fatto, più con la forma che con la sostanza; Freak Antoni[Qui] ha riassunto questo concetto con una frase straordinaria: “A volte il fumo è meglio dell’arrosto”.
In sostanza quel ‘Credo’ scelto dalla Lega Nord sembra proprio un invito a “credere”, indipendentemente dal contenuto proposto, ancor prima che a ragionare nello specifico sul tema.
In certi casi l’ironia mi aiuta ad immaginare che in fondo a destra, dopo il “credere”, venga il conseguente invito ad “obbedire” da parte di coloro che hanno preso il classico incitamento calcistico alla nostra nazionale per farlo diventare il nome del loro partito e, a seguire, arrivi l’ordine di “combattere” da chi si è appropriato dell’incipit del nostro inno nazionale, per tenere accesa la fiamma fascista nel proprio simbolo e non solo.
In ogni modo quel ‘Credo’ leghista mi ricorda una suggestiva espressione ferrarese: “At conti come un gnic in tal Credo”, la cui traduzione è: “Vali come un gnic nel Credo” ed il cui significato equivale sia a: “Non vali niente”, che a “Sei inopportuno”, proprio come un cigolio (gnic) prodotto da un movimento sull’inginocchiatoio durante una preghiera solenne (il Credo).
La similitudine non ha bisogno di ulteriori spiegazioni sull’inopportunità, a mio giudizio, di alcuni “tranelli politici”.
Del resto mi pare che, oggi in politica, le cose inopportune stiano diventando più uno status symbol che un difetto da evitare.
Io, che comincio a rimpiangere le noiose tribune politiche di quando ero adolescente, credo esista un grave problema di educazione nel nostro Paese di cui pochissimi si preoccupano.
Io, che faccio il maestro elementare, osservo che si voterà ancora una volta chiudendo le scuole ad una settimana dal loro inizio, senza rispettare quell’impegno a trovare altre sedi che diversi partiti avevano preso qualche anno fa.
Io, che giocando con le parole me ne prendo cura, temo che questa sarà una pessima campagna elettorale perché sarà orientata ancora una volta allo scontro e non al confronto.
Io, che guardo alla coerenza ancor prima che alla conferenza, vedo che qualcuno si impegna più a sfoggiare la propria vanità privata invece di discutere, ad esempio, per migliorare la sanità pubblica.
Io, che vivo del mio stipendio, vorrei che chi promette di tagliare le tasse non guardasse solo alle proprie casse, ma spiegasse con quali soldi pagherebbe poi i servizi pubblici.
Io, che a scuola guardo tutti i giorni in faccia al futuro, desidero ascoltare qualcuno che abbia proposte serie sul come uscire da questo presente in cui siamo tutti impantanati.
Io, che a forza di turarmi il naso ormai fatico a respirare, ho bisogno di aria fresca nei polmoni, di vento forte per veder volare proposte alte di giustizia sociale in modo da rafforzare la mia “costituzione”.
Io, che non “credo” a certi slogan, penso che sceglierò invece la “credibilità” delle persone che hanno fatto battaglie sociali ed esperienze importanti soprattutto fuori dal Parlamento, come mio criterio per decidere chi votare.

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Mauro Presini
Commenti (3)
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Come sempre Mauro Presini è molto bravo ed io lo stimo profondamente. Ho avuto la fortuna tanti anni fa di essere sua collega alla elementare “Mosti” ed ho imparato tanto da lui!
Condivido i contenuti dell’articolo, Mauro!
Unico appunto di forma linguistica, che tuttavia influisce sulla sostanza ( scusa la deformazione professionale): troppi IO e nessun NOI. Cominciamo a proporci meno come individualità, seppur brillanti, e ad immaginarci più come NOI, aggregandoci
intorno a solidi e concreti obiettivi da condividere. Questo personalmente sento come forte priorità
Grazie Anna per la tua osservazione. La condivido ma devo dirti che, nel tempo, ho imparato a firmare le cose che scrivo e a metterci la faccia per senso di responsabilità. Così facendo so che corro il rischio che qualcuno mi definisca egoista, individualista, esibizionista, megalomane, eccetera ma, nel mio piccolo, preferisco questo rischio piuttosto che nascondermi dietro pseudonimi o non dire liberamente e pubblicamente come la penso.
So usare il “noi” e l’ho usato a lungo avendo fatto parte di associazioni, comitati, coordinamenti, sindacati; continuo ad usarlo negli ambienti che frequento. Credo che per fare il noi servano tanti io e mi piace insegnare che nel noi c’è un io allo specchio.
Per farla breve, raccolgo e condivido la tua priorità e, anche per questo, continuerò ad usare sia l’io che il noi, a seconda dei momenti e delle situazioni. Salute e saluti