Colm Tóibín: di che colore è la collina di Vinegar?
Quando un romanziere famoso, inaspettatamente, decide di pubblicare una raccolta di poesie, probabilmente cede a una legge di necessità. E forse questo è il caso di Colm Tóibín, noto romanziere irlandese ( Brooklin, Bompiani 2009 e il recente Il Mago, Einaudi 2023).
La raccolta si intitola Vinegar Hill e, a due anni dalla sua uscita in lingua inglese, viene proposta da Interno Poesia in un’edizione italiana curata e tradotta da Philip Morre e Giorgia Sensi con una luminosa prefazione del poeta gallese Patrick McGuinness.
Si diceva di questa ineludibile necessità: perché un narratore così conosciuto a livello internazionale ha voluto raccogliere e pubblicare le sue poesie, “…confezionando per altro un libro coi fiocchi per impegno e per immaginazione tematica e formale , per organizzazione interna e per intensità espressiva…” ? (R. Galaverini).
C’è forse una necessità di confrontarsi in modo più diretto con la lingua? Oppure è una necessità di trattare ,in una forma più confidenziale e intima, argomenti dei quali Tóibín aveva già parlato nei suoi romanzi?
In una sua lectio magistralis sulla poesia (Poesiafestival, Vignola, 2017), Massimo Cacciari parla di questa “necessità” antica e ineludibile della poesia e dice: “…la nostra epoca… non considera più la poesia come qualcosa di necessaria…” perché la poesia non è più mossa, come un tempo, da una sete del sostanziale che ora (sembrerebbe) essere soddisfatta da altri.
”Da chi altri? Ma dalla scienza…dal sapere tecnico-scientifico. È lì che troviamo soddisfazione alle nostre domande…”. Le troviamo nelle ragioni e nelle spiegazioni o, se volete, nella narrazioni bene articolate come quelle rese nei romanzi.
E dicendo questo cominciamo ad avvicinarci a quella necessità sostanziale della poesia, qualcosa che gli autori dal linguaggio raffinatissimo, come lo è Tóibín, comprendono molto bene.
Se mai un devoto del linguaggio (romanziere o poeta) dovesse sottostare a un unico obbligo verso la società, sarebbe il seguente: scrivere bene. Non ha altra scelta che questo “dovere” e Tóibín, in generale, non scriverebbe se non sentisse questo dovere.
E questo dovere risponde a una necessità urgente: resistere.
A chi? A cosa?
Il premio Nobel Iosip Brodskij risponde chiaramente a questa domanda: “…la società, maggioranza per definizione, presume di avere altre opzioni…” (quelle ricordate da Cacciari), per orientarsi nella nostra realtà; sicuramente opzioni “…diverse da quella di leggere versi, per quanto ben scritti”.
“Ma” – continua Brodskij – “se [la maggioranza della società] trascura di leggere versi rischia di scivolare a quel livello di eloquio al quale una società diventa facile preda di un demagogo o di un tiranno”[I. Brodskij, Fuga da Bisanzio, Adelphi, 1987].
Ed è proprio questo che si coglie nella raccolta di Colm Tóibín. In quanto prima raccolta di poesie di un romanziere, Vinegar Hill è un libro pienamente formato nella sua varietà metrica, nel suo senso del verso e in tante altre particolarità che evidenziano una indubitabile frequentazione dell’autore irlandese con tantissima…lettura poetica.
Nella sua prefazione Patrick McGuinness sottolinea questo aspetto di “…un libro pieno di varietà – di tono, di argomento, di tempo e luogo e forma – [di] un libro che parla del presente mentre capisce i modi in cui la storia, o meglio, le molteplici storie, sovrastano i nostri giorni”.
Così nella delicata poesia che dà il titolo alla raccolta (Vinegar Hill, pg. 81), Tóibín allude a una importante battaglia svoltasi in quel luogo nel 1798 per l’indipendenza irlandese e contemporaneamente ricorda sua madre che cerca di dipingere la collina che si vedeva dalla loro casa.
Cosicché una semplice parola “hill” (collina) può essere la sostanza di una disfatta ( la battaglia fu vinta dalle forze governative britanniche e irlandesi) , oppure il dilemma cromatico di un’artista, addirittura la collina può assurgere a simbolo nazionale e, perché no, a titolo di una raccolta poetica.
Di tutto questo, ovviamente, alla collina non interessa “… restando sostanza intrattabile, impenetrabile e serena”.
La poesia si conclude con una maestosa metafora finale, nella quale nuvole sognanti, smarrite e senza una vera strategia vengono paragonate alle truppe irlandesi di quella battaglia.
Una metafora potente per chi in maniera autoironica chiede a S. Agnese , in un’altra poesia (Preghiera a Sant’Agnese, pg. 259):
Sant’Agnese, guariscimi da metafore!/Fammi dire esattamente ciò che intendo,/senza inganni e senza ricorrere/ a parole che non siano chiare e linde.
Ed eccola la necessità ineludibile del poeta Colm Tóibín: resistere a un linguaggio che si va sempre più deteriorando che diventa sempre più oscuro e sciatto; resistere al linguaggio di demagoghi, tiranni, pubblicitari e imbonitori che non sanno più dire cosa è e di che colore è la collina di Vinegar.
Cover: Vinegar Hill – Irlanda
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Giuseppe Ferrara
Commenti (3)
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Un intervento magistrale, stimolante, interrogante. Grazie Beppe Ferrara
Il linguaggio, anzi il linguaggio poetico : materia da trattare on questi tempo, credo, con sempre meno metafore, di fronte a realtà sempre più crude, disumane e spaventose (come le guerre, la fame,
il disastro ambientale, il disagio universale). Che poesia è possibile oggi, caro Ferrara?
Parole che parlano di speranza in un futuro meno uguale, meno sciatto, più arioso, accogliente, pacifico, vivente. Poetico ed essenziale.