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Ferrara film corto festival

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Coblas di via Colomba. 2. Agosto

Il tempo e l’acqua. E l’arsura. Non piove da chissà quanto. La stazione dei treni, il rumore, caldo che è nebbia all’alba, poi sole e sole a picco e sole poi nebbia, nebbia e buio, finestre aperte sulla notte e basta.

In terrazza, a stendere il bucato, andiamo solo prima dell’aurora. In distanza le quattro torri, campanili, le pioppe sulle mura. Qui l’afa e il cantiere, il cantiere di un condominio di otto piani e poco più in là un grattacielo in costruzione. Rumore, rumore fino a sera. Non c’è mai stato un grattacielo, qui. Due torri di più di venti piani.

Di prima mattina poche lire di spesa, latte e pane, qualche uovo o susine, poi chiudersi in casa fino a sera. Barriera di Cavour, Porta Catena e Porta Po. Vetri chiusi, imposte chiuse. E nemmeno la radio, nel frastuono, in penombra.
L’odore dolce delle barbabietole. Odore giallo, odore appiccicoso.

In distanza canali, campi, argini. Qui esser vecchi, star chiusi, i muri che tremano e il caldo; e lamentarci no, che abbiamo visto tempi assai peggiori. Queste torri daranno casa a molti. Progresso, autostrade, vie ferrate.
In distanza il fumo del petrolchimico. Le torri il fumo le idrovore le ruspe le gru. Il progresso, dicono.

Presto sarà un cane nello spazio, un uomo una donna nello spazio, uomini sulla luna: intanto sono Astolfo e l’Ippogrifo, Giorgio e il Drago in città, quattro piani di scale ogni mattina. Il fumo che è il futuro, i ruderi postbellici e le ruspe. Ferrara nell’estate del 1957, cielo bianco sopra la pianura.

Come state, Lea?, ha detto la Lupe. Porto un pacchetto alla Clelia, la maestra. La Clelia del primo piano.
La Lupe, la cartolaia di via dei Contrari: la Lupe sotto casa, stamattina, mentre la Lea tornava dalla bottega.
Avete chi vi aiuta, Lea, con questo caldo? Se volete una cesta di pesche, ne ha fatte tante quest’anno. Vi suono il campanello e salgo io. Non state a scendere le scale.

Grazie, ha detto la Lea.
Da me c’è una stanza libera, dice allora Lupe. Al Capo delle Volte, in via Colomba, a pianterreno: casa vecchia, muri spessi. Anche io sto da sola, Lea. Venite a sfangare agosto là da me. Se vi trovate bene, bene. Se no, amiche come prima.

E Lea trascorse agosto in via Colomba, a casa dalla Lupe. L’agosto del ‘57, il più caldo che mai si ricordasse: fuori porta sorgeva un grattacielo – non c’è mai stato un grattacielo, qui – e al Capo delle Volte l’ombra, cantine e un orto, piccoli affari e biciclette, di rado un’auto sulla Ripagrande e il carro dei traslochi tirato da due cavalli grossi, quasi azzurri, gli zoccoli in cadenza sul selciato.

Poi fu il tempo dei fichi e dell’uva, poi oro e rame, poi tardo autunno e i cachi sui rami nudi, grandi sfere di luce nella nebbia. Per l’autunno e l’inverno, e poi per tutto il tempo che restò, Lea divise le spese e le giornate – si davano del voi, però ridevano – con la cartolaia di via Contrari. Per tutti Lupe, nata fuori d’Italia chissà dove, Penelope il suo nome vero.
In via Colomba, proprio in questa casa.

[Leggi domani pomeriggio su Periscopio il terzo racconto di Coblas di via Colomba]

Per leggere i racconti di Silvia Tebaldi su Periscopio clicca sul nome dell’autrice

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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