Sui suoi social, dopo l’accaduto a Palazzo Vecchio, il sindaco Nardella ha pensato bene di tornare sull’azione di Ultima Generazione scrivendo: “A proposito di ambiente e siccità, per ripulire Palazzo Vecchio dal ‘blitz ambientalista’ sono stati consumati più di 5 mila litri d’acqua. Cinquemila”. Cioè più o meno un terzo di quanto occorre, in media, per produrre un kg di carne bovina.
Eppure non risulta che Nardella si sia mai preoccupato di ridurre o eliminare la carne nelle mense di competenza del suo Comune. Piuttosto, in alcune occasioni il sindaco ha mostrato un’attenzione nei confronti della gestione idrica curiosamente bassa per chi come lui fa certi conti; come quando ha fatto bagnare scalinate e sagrati delle chiese cittadine così da allontanare i turisti che vi sostavano per riposare e rifocillarsi (invece, magari, di sedersi a consumare e spendere in qualche ristorante locale). Dopo l’azione di UG, Nardella ha addirittura preso parte attiva ai lavori di pulitura, dando il buon esempio – e mostrando il lato migliore a favore di camera. Il sindaco si è impegnato con spazzole, spugne, idranti e i famosi “cinquemila litri di acqua” per lavare via la vernice dalla facciata dell’edificio. Se fosse la persona più competente a svolgere quel particolare lavoro o se non abbia invece contribuito, con la sua inadeguatezza, allo spreco idrico messo in conto agli attivisti è materia complessa da affrontare e non ne tratteremo qui.
L’accusa di incoerenza nei confronti degli attivisti che percorre il fondo dell’ideologia nardelliana è, del resto, il sempreverde della flora anti-ambientalista: “Tu manifesti ma poi usi l’auto, hai lo smartphone…”.Ma si tratta di un albero che non pianta radici solo nel terreno dell’anti-ambientalismo. Gli animalisti radicali, per esempio, sono abituati a sentirsi rinfacciare le formiche inavvertitamente schiacciate sotto le suole o i moscerini sul parabrezza. Come se ad essere in gioco fosse la coerenza individuale, come se si manifestasse per rivendicare superiorità morale nei confronti dei passanti e degli spettatori e non per denunciare il massiccio sfruttamento degli animali non umani e degli ecosistemi tutti.
Certo, si tratta delle argomentazioni pretestuose di chi non vuole cambiare e vuole che anche gli altri non cambino, così che non si senta costretto ad agire e che nemmeno sembri peggiore di chi, invece, agisce. Certo, c’è una componente di conformismo: la massa e le élite vogliono l’uniformità; eccezionale deve essere chi ce l’ha fatta a riprodurre il modello dominante, non a sovvertirlo.
Infine: certo, nei Nardella parla l’ideologia destrorsa del decoro (Pitch, 2013). Ma non si tratta solo di questo. Nell’era della politica-show in cui la spunta chi si vende meglio, gli avversari politici non si superano tanto criticandone idee e azioni; quanto scovando retroscena imbarazzanti sulla loro vita che li delegittimi, che gli faccia perdere credibilità agli occhi di un pubblico ambiguamente prossimo a quello televisivo.
La direzione non è più dall’individuo alla società, ma da una società materialmente svuotata – di luoghi di incontro, confronto, aggregazione e organizzazione, di strumenti e risorse per la solidarietà pubblica – all’individuo. Il politico si è tradotto interamente nel personale. Nel tipo di reazioni suscitato dalle azioni di UG si legge in controluce, insomma, lo schiacciamento neoliberale della dimensione politica dell’esistente su quella individuale, dove tutto ciò che conta sono lo stile di vita e il consumo.
Ecco che, se per spostarti usi l’auto, non puoi coerentemente manifestare per maggiori investimenti nel trasporto pubblico. Se per curarti ricorri alla sanità privata, non puoi coerentemente manifestare per maggiori investimenti nella sanità pubblica. Poco conta se trasporto e sanità pubblica non sono efficienti: per assurdo che sia, se li critichi devi farteli andare bene. In questo contesto, è ovvio che le critiche agli ambientalisti (e quelle agli antispecisti, ai comunisti invariabilmente “col Rolex” ecc…) non siano quasi mai sulla giustezza delle loro idee o sulla praticabilità delle loro proposte politiche, ma quasi sempre sulla loro coerenza. Da virtù individuale, la coerenza si è fatta paradigma (pseudo)sociale.
Oggi questo paradigma della coerenza, intrinsecamente inscritto nelle logiche della reazione e funzionale al mantenimento dello stato di cose presente, finisce per formare non solo la risposta moderata e conservatrice; ma, paradossalmente, anche quella progressista e rivoluzionaria. Per i vegani moralisti, per esempio, se si mangiano prodotti animali non si può coerentemente manifestare per la trasformazione del sistema alimentare in senso vegetale, tanto che molti di loro sono stati ostili all’ondata dei nuovi movimenti ambientalisti fin dai primi Climate Strike. Cosa avrai mai da chiedere un futuro migliore se tu non sei vegan..?
Malgrado certa retorica sull’intersezionalità e la convergenza delle lotte, insomma, è avvenuta un’interiorizzazione del “discorso” dell’oppressore anche nei movimenti di liberazione, con il risultato di un aumento della loro divisione e dei sospetti reciproci. Ma c’è di più. Alla base dell’introiezione del discorso dell’oppressore c’è la dimensione socio-economica dei nuovi movimenti, che ne è quasi condizione di possibilità. Molti dei nuovi attivisti ambientalisti e animalisti, infatti, condividono l’estrazione borghese con i loro avversari politici, e dunque i loro interessi e la loro ideologia di classe.
Se quindi è vero che tentare di rispondere al discorso dell’oppressore senza cambiare linguaggio significa legittimarlo, è altresì certo che tale uscita non potrà essere determinata da un semplice atto della volontà, né dalla semplice scelta di diverse pratiche discorsive: per cambiare il discorso occorre cambiare la struttura materiale e di potere che lo genera, cioè allentare le maglie fittissime del neoliberalismo.
Da una parte occorre coinvolgere le classi popolari nel progetto di trasformazione dell’esistente, cosa che a oggi è riuscita solo in maniera liminare. Dall’altra, considerato quel che diceva già Marcuse a proposito della cooptazione capitalistica della classe operaia, occorre ricreare il senso dell’interesse e del bene comune moltiplicando gli spazi sociali, le scuole e le università popolari e politiche, riaprendo i molti circoli e le molte sezioni chiuse, gli sportelli d’ascolto e di solidarietà.
Ma anche per questo non basterà la volontà, che del resto non è mai mancata a chi fa politica sui territori; volontari e volontarie, perlopiù, del mondo dell’associazionismo e delle organizzazioni informali che crescono nel vuoto della politica partitica, della sconfitta della sinistra. Per riuscire occorrono, piuttosto, soldi e tempo; e dunque occorre rientrare nei partiti e nei sindacati, punti di leva dai quali contrastare il potere delle classi dominanti strappandone brani per sé e mettendo i movimenti nella condizione di crescere, in un gioco di sponda che rafforza tutte le parti e ne corregge gli errori.
Allora, e solo allora, le obiezioni sulla coerenza individuale non saranno praticabili come oggi; verranno anzi viste come pretestuose e fuori fuoco, come effettivamente sono. Fino a quel punto, però, continueremo a riceverle e qualcuno, se sarà stato abbastanza coerente – e, soprattutto, abbastanza moderato da non mettere davvero in pericolo l’ordine costituito – si sarà guadagnato un po’ di credito presso la maggioranza; ma non avrà comunque cambiato nulla, sia perché il coerentismo è un pozzo senza fondo (non c’è mai un “abbastanza”, e se c’è non è conoscibile né ri-conoscibile, perché manca un parametro condiviso); sia perché i moderati, nascondendo la loro inefficacia dietro la gonna del pragmatismo, cambiano sempre troppo poco. Qualcun altro, invece, avrà vissuto la sua radicalità con meno infingimenti, e quindi con meno rimorsi – e meno fortune. Ma non avrà comunque cambiato nulla.
Santo subito chi ha scritto questo articolo. Sto seguendo dei seminari che parlano degli inganni della mente che funzionano non solo a livello individuale ma anche a livello collettivo. Qui in modo inappuntabile se ne svela il funzionamento, si ristabilisce l’equilibrio, non solo, ma si indica il percorso virtuoso di uscita dalla nebbia. Seguirò i vostri interventi perché mi danno speranza.