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Luigi Ghirri, il fotografo delle piccole cose che riempie due sale del cinema Apollo
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Un film documentario dedicato al fotografo Luigi Ghirri viene presentato a Ferrara. Vedo la locandina al cinema Apollo, passando in bicicletta da piazzetta Carbone, tra le viuzze del centro storico. Ovviamente per me è una grande notizia. Amo la fotografia di Ghirri che ho scoperto come una folgorazione, uno strumento per sdoganare un modo diverso di guardare il paesaggio che ci circonda, per apprezzare cose piccole, dei particolari che fino a ieri sarebbero sembrati non fotografabili o di poco conto. Invece quelle immagini rivelano un occhio attento a situazioni emblematiche che – senza di lui – si tendeva a catalogare tra quelle irrilevanti. Senza le sue foto sarebbe stato difficile affermare la poesia dei nostri paesaggi piatti, delle nostre spiagge adriatiche di fine stagione, con le loro vecchie giostrine come uniche protagoniste del paesaggio un po’ sbiadito, o la forza lirica delle colonne di una cancellata aperta quasi sul nulla, davanti a un viottolo di campagna velato di nebbia. E poi quegli scorci di mondo aperto, affacciato su cieli, piazze o scale dove campeggiano solitari bambini o bambine. Nella bacheca esposta davanti al cinema annunciano anche la presenza degli autori in sala. Vado!
È martedì sera, il tema riguarda un fotografo che credo di nicchia e mi sorprende trovare l’atrio d’ingresso stracolmo di gente. Penso che ci sarà qualche altro film hollywoodiano nella stessa serata. Noto diversi amici tra il pubblico in attesa, i soci di un circolo, ma anche tanti volti che ho visto in cerimonie istituzionali o presenti a eventi più mondani. Un’amica mi dice: muoviti a fare il biglietto, se non ce l’hai, io l’ho prenotato tre settimane fa. Fortunatamente alla cassa ci sono ancora disponibilità, per il semplice motivo che il grande afflusso ha convinto gli organizzatori dell’Apollo cinepark a predisporre una seconda sala dove proiettare lo stesso film, con una differita di venti minuti.
Un ragazzo, che ha l’aria di essere uno studente universitario, commenta: “Ma cosa ci fa qui tutta questa gente? Forse anziché Ghirri hanno pensato che stasera ci fosse Ghirr, Riciard Ghirr”. Rido tra me e me, confortata dalla constatazione che qualcun altro condivide il mio stupore.
Ho letto che questo documentario esce a trent’anni dalla scomparsa di Luigi Ghirri per la regia di Matteo Parisini con la voce narrante di Stefano Accorsi ed è un omaggio al grande fotografo emiliano che sta facendo tappa in moltissime città italiane, da nord a sud. È stato già presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022, poi ovviamente a Reggio Emilia, dove Ghirri è nato (1943-1992), ma anche a Fano, Polignano, Prato, Carpi, a Milano in occasione del Design Film Festival, a Santarcangelo di Romagna e a Cesena.
In sala la proiezione è preceduta da una breve chiacchierata con la figlia minore, Agnese Ghirri, che sottolinea: “Il regista ha avuto l’idea di fare il film a partire dai testi. Ed è proprio dalle sue parole, da quello che ha scritto durante tutto il suo percorso che si può intuire la profondità del suo pensiero e della sua ricerca artistica. Per questo noi, come eredi, abbiamo fatto ripubblicare tutti i suoi scritti l’anno scorso con il titolo ‘Niente di antico sotto il sole’ per Quodlibet. Le foto parlano già molto bene da sole, ma spesso sono viste come immagini semplici, ingenue. Invece traducono con un linguaggio semplice una complessità del reale e una profondità di pensiero basate su ricerca, letture e uno studio continuo fatto soprattutto da autodidatta”.
Il documentario affianca alle parole del fotografo le testimonianze delle figure fondamentali che lo hanno accompagnato nel suo percorso.
Lo stampatore Arrigo Ghi ad esempio racconta: “Quando mi sono trovato per la prima volta le sue immagini tra le mani, mi sono chiesto: ma che razza di foto fa questo qua? Veniva a seguito di Franco Fontana e Francesco Vaccaro, che facevano foto pittoriche, belle, che ti colpiscono subito. Ho chiesto a mia moglie cosa ne pensasse e lei mi ha detto che non sapeva perché, ma queste foto le toccavano il cuore. E mi sono reso conto che anche a me facevano questo effetto”.
La sorella della compagna di vita e di lavoro Paola Borgonzoni, che aveva 19 anni quando conobbe Ghirri 31enne, racconta che lei si era innamorata di lui non per il suo aspetto tutto sommato dimesso, con le giacche indossate senza attenzione, ma per il suo sguardo, per la curiosità infantile che aveva dentro e in cui anche lei si ritrovava.
Il fotografo pugliese Gianni Leone sottolinea: “Ghirri è riuscito a produrre una cultura nuova del vedere, ha cambiato il modo in cui si poteva guardare e rappresentare non solo l’Emilia-Romagna, ma tutto il nostro Paese”.
Per lo storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle “Ghirri dà un’iconografia a un mondo che un’iconografia non aveva. Noi vediamo quello che conosciamo. L’immaginario è determinato dal tempo e anche dalla storia”.
Il musicista, compositore e cantautore Massimo Zamboni ricorda l’incontro nel casolare dove i Cccp suonavano e dove Ghirri era andato a trovarli. “Guardando le cose che guardava lui – racconta – non capivamo cosa vedesse. Osservava, non spostava mai le cose. Al massimo faceva accostare o aprire le finestre. Vedendo le foto che ha fatto, poi, abbiamo capito la sua visione. E, come accade quando esci da una mostra o dopo che hai visto il film di un autore come Herzog, ti trovi in strada a guardare il mondo con il suo punto di vista”.
Il pittore Davide Benati fa notare che “Ghirri cercava la luce, una luce pittorica, che rende una scena apparentemente banale simile a un’opera di Vermeer o di Piero della Francesca”.
La figlia Ilaria Ghirri conclude: “Diceva che lo pagavano per fare ciò che più amava, cioè guardare il mondo. C’è stato un periodo che ogni giorno usciva dicendo che andava a fotografare il cielo. Per lui, il cielo era qualcosa di non trascrivibile, che non è mai uguale. Diceva che non c’è nulla di vecchio sotto il sole. Le sfumature di blu e di azzurro sono sempre diverse. Tutti i giorni è infinito”.
Come le 365 fotografie di cieli diurni, scattate una per ogni giorno dell’anno. Come il titolo del docu-film “Infinito: l’Universo di Luigi Ghirri”. E come l’unicità, la singolarità, la differenza infinita che ci sono in ogni veduta.
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Giorgia Mazzotti
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Uno sguardo che indica la poesia dove non andresti a cercarla… Uno sguardo in sintonia con vibrazioni leggere, un vedere con sensibilità e cuore… Tradurre il cuore in visioni, e regalarle al mondo. Grazie!