A Mantova il Sindaco Mattia Piazzi ha deciso di usare gli 8 milioni di extraprofitti della locale società energetica Tea spa per restituirli ai suoi cittadini.
Il teleriscaldamento serve circa metà delle famiglie residenti e delle imprese di Mantova.
Il Comune detiene il 72% delle azioni ed è quindi in grado di dare ordini alla sua multiUtility che ha fatto extraprofitti con gli aumenti di gas e luce, come molte altre in Italia e come dimostrano i mega profitti netti di Eni del primo semestre 2022 (7,3 miliardi, a fronte di 1,3 del 2021).
I rincari nel “libero mercato” sono stati (per il 90% dei clienti) anche superiori a quelli del mercato tutelato (+150%) e hanno sfiorato il 200% rispetto al 2020. Gli 8 milioni saranno restituite ai Mantovani con le bollette di novembre e dicembre, di cui un milione è destinato in particolare alle famiglie più povere e agli anziani con pensioni minime o sociali.
Ciò è possibile perché l’azienda è di proprietà pubblica e questa vicenda mostra quanti danni abbia fatto una politica che ha privatizzato i servizi pubblici locali, senza garanzie.
A Ferrara invece, nonostante il 30% delle famiglie e imprese abbia l’acqua calda della geotermia (proprietà Eni-Enel gestito da Hera) o da teleriscaldamento (la termovalorizzazione Hera dei rifiuti) che nulla hanno a che vedere coi prezzi del gas, si paga come se fosse gas.
Hera, l’utility che ha i maggiori clienti ferraresi si guarda bene dal fare tariffe eque e tantomeno restituire i suoi extraprofitti.
Massimo Buriani, direttore della coop Castello, ha evidenziato che nei suoi condomini dove abitano centinaia di residenti le bollette che arrivano dal teleriscaldamento sono anche maggiori di quelle del gas in quanto sul gas il Governo ha ridotto l’Iva al 5%, mentre non sul teleriscaldamento sono rimaste al 10% e lo sconto fiscale di 21,90 euro per MWh per le reti di teleriscaldamento non è stato adeguato dal Governo. Aumenti che vanno dal 120% al 167% sull’anno precedente (a parità di consumi). La scelta di agganciare il prezzo della geotermia al metano è avvenuto 20 anni fa, ma ora non ha alcun senso, è un “prelievo forzoso”.
Al di là dell’impoverimento delle famiglie italiane, ciò che è gravissimo è la perdita di competitività delle imprese italiane che si trovano a sostenere costi molto superiori a quelli degli altri paesi in particolare delle aziende americane e asiatiche, col rischio di perdere in modo definitivo clienti e mercati che si erano conquistati in 40-50 anni di dura attività.
Ciò vale anche per negozi e artigiani e piccole imprese con mercato locale costretti ad aumentare i prezzi del 5-10% proprio quando si sta andando verso la recessione 2023 col rischio di dover chiudere. Un danno che non riguarda solo loro, ma tutta la comunità sempre più povera di negozi e artigiani locali e quindi colonizzabile dalle grandi catene (anche estere).
Questa vicenda insegna quanto sia importante per il futuro benessere dei cittadini e delle comunità locali disporre di politiche (specie nei servizi essenziali) che prevedano il passaggio dalla logica del capitale finanziario, quindi privatistica (oggi sovrana e che ha come obiettivo prevalente il profitto a favore degli azionisti, condito sempre da buone azioni etiche) a quella delle “compartecipazioni” dei cittadini o di Istituzioni (meglio locali, ma in alcune grandi imprese anche regionali o statali) con una presenza nei CdA di sindacati dei lavoratori e di associazioni dei consumatori-clienti che evitino la deriva attuale.
Oggi invece il CdA delle multiutilities come Hera (pur in presenza di tecnici, esperti, indipendenti) non segue certo le indicazioni di un “azionariato” ultra frammentato di ben 111 Comuni (e come tale inconcludente) ma è orientata verso il massimo profitto che favorisce, di fatto, azionisti e management.
Quando mai saranno tutelati gli interessi dei cittadini e la comunità? Quando passeremo dal privilegio di pochi a quello di tutti.
Cover: immagine da Blogsicilia.it
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Andrea Gandini
Commenti (1)
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Concordo e aggiungo che il danno alla collettività della gestione privatistica dei beni comuni si allarga anche all’aspetto ambientale, con l’impossibilità di controllare le ricadute delle scelte in termini di salute, di risparmio, di bisogni, di futuro, di gestione delle risorse.