CAPELLI CAPELLI CAPELLI
CAPELLI CAPELLI CAPELLI
Avere i capelli, non avere i capelli, pochi o tanti, lunghi o corti, ricci o lisci, un vero dilemma che si presta a diverse soluzioni, alcune concrete e altre interiori. Ad una riflessione superficiale sembra strano che i capelli abbiano sempre avuto un ruolo importante nella vita degli esseri umani, eppur è così. Dall’antichità fino ai giorni nostri questi fili che ci crescono sulla testa sono simbolo di appartenenza sociale, indice di personalità ed espressione del gusto estetico imperante. Sono anche un simbolo di giovinezza e un chiaro segnale di malattia.
Le cure per i pazienti oncologici spesso distruggono i capelli fino a rendere la testa del malato completamente calva. Le acconciature e le parrucche che camuffano tale situazione sono un salasso (il “dio mercato” imperversa anche qui) e i tentativi di smarcare la calvizie come status accettabile, se non privo di fascino, si susseguono con esiti molto più positivi per gli uomini che per le donne.
Sono più i maschi che si rassegnano a non avere i capelli e che riescono a proporre questo without hair come uno status accettabile se non affascinante. Mi vengono in mente a questo proposito il Principe William, Mike Tyson, Jason Statham, Michael Jordan, Floyd Mayweather, John Travolta, Bruce Willis.
Per le donne è più difficile legittimare le calvizie come espressione di fascino femminile e i commenti maschili a riguardo sono poco incoraggianti. Non a caso la modella Bianca Balti, ammalata di cancro, si è presentata all’ultimo festival di Sanremo completamente calva. C’è voluta la sua fama, la sua sicurezza e il suo coraggio per provare a legittimare le calvizie come status femminile accettabile, anzi apprezzabile in una prima serata di RAI 1.
Nel 1997 un sorprendente Niccolò Fabi scrive un motivo che si intitola proprio Capelli. La prima strofa è questa: “Io senza capelli/ Sono una pagina senza quadretti/ Un profumo senza bottiglia/ Una porta chiusa senza la maniglia/ Biglia senza pista/ Un pescatore sprovvisto della sua migliore esca/ Don Giovanni senza una tresca/ Io senza te uno scettro senza re […]”.
Mi sembra che questa canzone esprima bene il rapporto che c’è tra una persona e i suoi capelli. In questo motivo è racchiusa una consapevolezza affatto banale e una capacità di analisi introspettiva non indifferente. È risaputo che Niccolò Fabi ha una chioma folta, questo probabilmente ha facilitato la costruzione di una immagine corporea in cui i capelli rappresentano una componente imprescindibile.
Interessante quanto l’auto-percezione che uno ha di sé stesso sia significativa e quanto possa condizionare le relazioni umane, non solo quelle occasionali. Il concetto di Sé può essere definito come una struttura psichica centrale che racchiude una serie di componenti personali, consentendo l’auto-definizione. Per questo è fondamentale anche nella costruzione dell’autostima. Sono molti gli psicologi che ne hanno studiato lo sviluppo, tra cui James, Cooley, Mead, Shavelson e Harter.
Mi sembra determinante il fatto che i capelli sono un organo del nostro corpo, un prodotto del follicolo pilifero terminale, un organo specializzato che si trova nello spessore della cute. Sono composti al 95% da cheratina e hanno una struttura complessa, formata da più strati. La parte visibile, lucida e morbida, è biologicamente morta. I capelli crescono dall’unica loro parte viva, cioè la radice all’interno del cuoio capelluto.
È evidente a tutti quanto sia difficile privarsi di un proprio organo e ritrovare una armonia corporea aldilà della mancanza. Certo ci sono organi vitali e organi che non lo sono, ma comunque la presenza o assenza di una componente corporea influisce sulla nostra personale sensazione di armonia. Penso alle velociste che corrono con una sola gamba e con un secondo arto di titanio e, così attrezzate, riescono a vincere un’olimpiade. Non oso immaginare che sforzo fisico e interiore sia stato il riadattarsi alla nuova situazione, ricostruire una immagine armonica di loro stesse.
Tutta la storia umana ci testimonia tentativi, anche balzani, di ricostruire l’armonia perduta, dovuta alla morte dei capelli. Ad esempio, i Vichinghi provavano a resuscitarsi i follicoli cospargendosi la testa di escrementi d’oca. Questo esperimento falliva puntualmente e allora ricorrevano ai noti copricapi in ferro che, ispirati a quello di Odino — Hjálmberi (colui che porta l’elmo) — li hanno resi quelle fenomenali “testa di metallo” che tutti ricordiamo, ignari antesignani della poetica del “capo liscio” che Andre Agassi per il tennis e Mastro Lindo per l’economia domestica, hanno traghettato fino a noi.
E siamo così giunti al tempo dei grandi CEO non piliferi come Jeff Bezos, il cui cranio lucidissimo riflette l’ammirazione del mondo intero, facendolo assurgere al ruolo di Bruce Willis della globalizzazione. Nel caso di Bezos ha vinto la sicurezza di riuscire a fare tutto quello che gli altri uomini fanno coi capelli, senza averli. Anzi di saper fare molto di più.
La prossima estate Jeff Bezos e Lauren Sanchez convoleranno a nozze e lo faranno in Italia. Secondo il New York Post il matrimonio sarà celebrato a Venezia e, precisamente, nelle acque della Laguna a bordo del Koru, lo stesso mega-yacht da 500milioni di dollari su cui nell’agosto 2023 la coppia festeggiò il fidanzamento al largo di Positano con ospiti d’onore eccellenti tra cui Leonardo DiCaprio, Tobey Maguire, Andrew Garfield, la regina Rania di Giordania, Kris Jenner e Bill Gates. Tutto ciò è un chiaro segnale di status e di appartenenza sociale. Discutibile la tipologia di appartenenza, ma esteticamente ed economicamente vincente.
Mi pare si noti adesso, forse più che mai, la differenza fra maschi e femmine a proposito dei capelli. Facciamo tutti fatica a immaginarci CEO, dirigenti d’azienda, team leader, scienziate che se ne vanno tranquillamente in giro senza capelli, riuscendo a fare di questa mancanza una fonte di fascinazione per il genere soggettivamente appetibile. La psicoanalisi dà una interpretazione molto chiara di questa situazione. Tale disciplina riconosce nei capelli un simbolo molto potente di sessualità, riconducendo la chioma femminile agli organi genitali.
Sigmund Freud accostò l’immagine dei capelli (e dei peli femminili) a quella della tessitura, individuando nella relazione tra le tendenze femminili e la scoperta della filatura, una simbologia inconsueta che interpreta l’invenzione della tecnica sartoriale da parte delle donne come un tentativo inconscio di proteggere la propria sessualità grazie ad un groviglio di fili, proprio come i peli che celano alcune parti del corpo.
L’angoscia legata alla perdita dei capelli da parte di una donna, dunque, potrebbe esprimere la paura inconscia di denudare la propria sessualità e di perderne il controllo, mostrando vulnerabilità. La passione femminile per la moda, l’abbigliamento e per alcune tipologie di tessuto, come il velluto, la lana e la seta (così come per una chioma lunga e voluminosa), sarebbe così da interpretare come un’espressione del senso di sicurezza che tali materiali, coprenti ed avvolgenti, assicurerebbero al corpo e, inconsciamente, alla più profonda intimità femminile.
Non so se sia proprio così, però questa interpretazione ci consegna la consapevolezza che il rapporto con i nostri capelli non è sicuramente banale, che il modo in cui li agghindiamo e li esibiamo è un mezzo attraverso il quale costruiamo un’immagine di noi stessi da proporre agli altri per trovare un intorno sociale accettabile.
Le ballerine di danza classica, i militari, i punk e i metallari sono tutti esempi che ci testimoniano come l’acconciatura dei capelli sia un segnale di status, un modo per riconoscersi all’interno di un gruppo di simili. I capelli si vedono, si possono toccare, disegnare, rappresentare, fotografare senza eccessive invasioni di privacy. Sono fili che ci crescono sulla testa e che si prestano bene alla costruzione di un perimetro sociale da una parte visibile e quindi molto efficace, dall’altra facilmente mutabile e quindi armonico.
Ritornando alla canzone di Niccolò Fabi il ritornello fa così: “Io vivo sempre insieme ai miei capelli, oh-oh/ Vivo sempre insieme ai miei capelli, oh-oh/ Io vivo sempre insieme ai miei capelli, oh-oh/ Io vivo sempre insieme ai miei capelli”.
Il brano è stato scritto da Fabi con Cecilia Dazzi e Riccardo Sinigallia ed è un manifesto della filosofia del cantautore, che utilizza il termine capelli (in riferimento alla propria capigliatura rasta), come simbolo di disobbedienza “pacifica” ai canoni e agli standard. È stato presentato da Fabi al Festival di Sanremo 1997 nella sezione “Giovani”. Pur non trionfando nella manifestazione, Capelli ha ottenuto il Premio della Critica e ha contribuito a promuovere il cantante all’edizione successiva del festival nella categoria “Campioni”.
I nostri capelli sono davvero importanti perché stanno sempre con noi, anche la loro assenza sta sempre con noi. Che ci siano o non ci siano, con la loro presenza/assenza scandiscono il trascorrere dei nostri giorni, anche in termini identitari. Evviva i nostri capelli! La loro consistenza, forma e colore rende più bello il mondo, mentre la loro assenza scatena tendenze volte al ripristino dell’armonia perduta.
Cover: la copertina del celebre Kinderbuch Pierino Porcospino di Heinrich Hoffmann, 1844 ; prima edizione italiana: Hoepli, 1882. Dalla filastrocca: Egli ha l’unghie smisurate / Che non furon mai tagliate; / I capelli sulla testa / Gli han formata una foresta / Densa, sporca, puzzolente. / Dice a lui tutta la gente: / «Oh, che schifo quel bambino! / È Pierino il Porcospino».
Per leggere tutti gli articoli e gli interventi di CatinaBalotta, clicca sul nome dell’autrice

Sostieni periscopio!
Catina Balotta
Commenti (1)
Lascia un commento Annulla risposta
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
Bellissimo. Grazie Catina