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Da cittadino ferrarese ed elettore Pd, ho letto con attenzione il progetto, il programma, che il “referente per la cultura e il turismo” del Partito Democratico, Enrico Segala, ha inviato agli iscritti e agli elettori. La formula, in verità povera e non motivata, è che bisogna allargare i ‘grandi eventi’ alle periferie e alle frazioni, che bisogna maggiormente coinvolgere gli operatori del turismo e organizzare una programmazione biennale. In sostanza una accettazione ed un aggiustamento di quanto sta facendo l’amministrazione attuale.

Non ci si domanda per chi? da chi? non ci si pone il problema degli strumenti e dei temi. Manca ogni concreto esempio.

La conoscenza della città è il punto di partenza per volgersi ai cittadini, fare opera di integrazione, accrescere e qualificare la presenza turistica.

Ferrara sito Unesco è attualmente utilizzata come prestigioso contenitore per iniziative che rimangono prive di collegamento con le strutture cittadine.
Il ‘grande evento’ è, istituzionalmente, autosufficiente: chi vi partecipa non si interessa al contenitore, terminato se ne va.
Il risultato di tale politica è un testimoniato drastico calo della presenza turistica.

L’enfatizzazione, a parole, dei due secoli del vicariato estense non ha portato a ricadute sulla città; lo stesso progetto di mostre dedicate al rinascimento ha dato risultati modesti sul piano dei numeri (solo 70mila presenze), non ha accresciuto conoscenza e comprensione, ha ripetuto formule critiche obsolete senza nuove acquisizioni.

La conoscenza deve comprendere l’intera storia di Ferrara, dalla fondazione all’età contemporanea, costruendo iniziative, percorsi, valorizzazione delle plurime testimonianze esistenti. La città deve divenire interesse del visitatore e degli abitanti, non cornice per altro. Ferrara come soggetto e primo protagonista.

I percorsi debbono comprendere gli edifici religiosi, i palazzi, gli spazi verdi, i musei. Un insieme coerente e non sezionabile che invita a tempi pacati e non a un turismo mordi e fuggi. L’istituzione del ‘museo della città’ non sarebbe cosa futile.

E’ una possibile risposta al problema dell’integrazione dei nuovi cittadini.
Non ci si può inserire in una realtà se non la si conosce, conoscendola non solo la si accetta ma se ne possono utilizzare le potenzialità: muta il rapporto, da estranei si diviene compartecipi. E’ necessario che i ferraresi abbandonino lo stereotipo ‘estense’ per riconoscere la complessità e i condizionamenti dell’intera storia che ha costruito l’ambiente in cui viviamo.
E’ ora di finirla di considerare i due secoli della Legazione pontificia come un periodo buio e di decadenza. Bisogna dare spazio alle testimonianze della cultura scientifica, in gran copia custodite presso l’Università.
Accrescere i motivi di interesse, proporre diversa e articolata attenzione arricchisce la promozione turistica, ne potenzia la presenza, allarga il numero dei visitatori.

A Ferrara oltre alla presenza istituzionale, esiste una numerosa serie di associazioni, dalla Accademia delle Scienze al Centro Gramsci, dagli Amici della Musica a quelli della Ariostea: attive e capaci di progetto e di sollecitazioni. Faccio un unico esempio, molti altri se ne potrebbero fare: l’Accademia delle Scienze ha appena edito un volume dal titolo “L’Università di Ferrara nell’età del Riformismo pontificio e in epoca Napoleonica”, aprendo ancora di più alla conoscenza del XVIII secolo.

Esiste il forte tema del rapporto con l’università, il massimo istituto di cultura presente in città: i legami vanno rafforzati e potenziati. Si potrebbe, con l’Ateneo, organizzare una biblioteca consorziata di storia dell’arte che a Ferrara manca: strana omissione della quale nessuno parla.

Esiste il problema del raccordo fra le associazioni, le biblioteche e i musei. Esiste la necessità di un migliore utilizzo della legislazione regionale. Richiamo al rispetto delle convenzioni esistenti, non attuate a scapito del Comune, con lo Stato per la Pinacoteca, con la BPER per la palazzina di Marfisa.

Il documento non parla del progetto in via di attuazione di un ‘polo museale’ ferrarese che comprende solo i musei statali ed esclude quelli della università, i civici, quelli della curia, quello della Shoa. Varrebbe la pena di esprimersi, domandarsi il senso di tale operazione.

Esiste il problema dell’Archivio di Stato chiuso, quello irrisolto delle biblioteche, dei musei, dell’accesso per i disabili a quasi tutte le istituzioni pubbliche.

Esiste il problema della inadeguatezza dei responsabili apicali del settore cultura, privi di titoli e di competenza specifica.

Esiste il problema della attività di ‘Ferrara Arte’ che troppo spesso esonda.

Molto altro si potrebbe aggiungere a quanto già detto da Italia Nostra per il parco Bassani, dal movimento che ha contrastato il progetto Feris,, dalla quotidiana attività delle associazioni.

Credo varrebbe la pena, come Partito Democratico, di individuare dei temi, di organizzare incontri, di proporre soluzioni.
Il Centro Gramsci organizzò, in anni lontani, convegni sui musei, sul turismo, sul verde pubblico; l’Associazione Amici dei Musei, nel 2011, sui musei; la Ferrariae Decus edita un bollettino ove si affrontano molte questioni. Ne scaturiscono proposte operative e confronto con le istituzioni.  Finché ci si limiterà a documenti come quello ricordato sarà quasi impossibile costruire opinioni e indicazioni che valgano a contrastare l’attuale insoddisfacente proposta culturale avanzata dalla amministrazione civica.

Mi domando se esista una politica culturale del Partito Democratico a Ferrara, penso che fare politica sia altra cosa da quanto presentato dal ‘referente cultura e turismo’.

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Ranieri Varese

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