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Bianco Natale

Un racconto di Simonetta Sandri

“La neve è una poesia. Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, dalla mano di Dio. Ha un nome. Un nome di un candore smagliante. Neve”. Maxence Fermine, “Neve”

Inverno, con il suo bianco, con il suo candore, con il suo freddo che è anche tepore, con la sua magia di favola e la sua voglia di casa. Inverno, che arriva piano piano, quatto quatto e, che, con cautela e immensa delicatezza, ci porta al Natale. Al bianco Natale. Quel bianco che non sempre arriva e che tutti aspettiamo, per sognare un po’.

Il bianco della neve c’è, però basta volerlo, basta immaginarlo per vederlo.

Dalle tendine candide finemente ricamate, scorgiamo fiocchi di neve danzanti, alcuni si prendono per mano altri si abbracciano un po’ più stretti. L’unione fa la forza, sempre.

Talora, se ci troviamo in una rigida città del nord Europa, nella favolosa e imperiale Russia o, semplicemente, alle pendici delle nostre belle Dolomiti, la distesa bianca avvolge tutto.

Noi siamo dietro quelle tendine della nonna, però, al caldo, abbracciati a un orsacchiotto di peluche o al nostro grande amore di sempre, e ringraziamo Madre Natura per il dono di tanta immensa bellezza, mentre ci godiamo il teporino di un fuoco rossastro e scoppiettante. È sempre bello sognare, e non solo a Natale.

La neve scende, quando decide di volerlo, ammanta pensieri e preoccupazioni, dolori, tristezze e sventure, cerca di ammansire le nostre paure di fronte a un mondo che non capiamo più così tanto. Ci culla.

La neve abbraccia i giochi dei bambini, li aiuta a inventarsi un pupazzo trasparente, magari con le sembianze di un nonno che fu ma sempre presente o di una famiglia felice che sia proprio la loro.

La neve cancella i peccati, spazza via i dispettosi capricci di re e imperatori, per un attimo mette tutti sullo stesso piano, al riparo o allo scoperto. Una specie di livella. Isola e separa ma unisce e rafforza. Chiude e rabbuia un po’ ma apre e ridà anche tanta luce. Avvolge con cura, come un mantello lanoso caldo e protettivo, come una stretta calorosa.

La neve è magica, ha un animo di carillon. Suona melodie gentili, d’altri tempi.

La neve è il mistero della natura che fa germogliare nella testa una goccia di poesia, che risveglia l’anima e le dà ancora più bellezza di quella che già non abbia di per sé stessa. Permette di viaggiare e volare senza muoversi, solo con la fantasia, il gioco e l’amore, di diventare poeti, senza parlare, di guardar fuori e trovare l’ispirazione per scrivere e sognare, di abbellire tutto quello che può essere abbellito ma anche ciò che difficilmente lo è, in circostanze normali.

La neve ci dà la possibilità di ritirarci dal mondo, per un lungo o breve ma potente attimo, per meglio sbalordirsene. Ci dà respiro. Ci fa scappare lontano, se solo lo vogliamo.

La neve ci sveglia un bel mattino, e guardandola scendere lentamente ci fa prendere il tempo dovuto per osservarci vivere. La Natura ci vuole avvertire della necessità di guardare dentro e fuori di noi, con altri occhi, con purezza e libertà, con spensieratezza e magia. Con la leggerezza che oggi manca al mondo.

Quando quel manto delicato cade, c’è un pezzo di universo vestito di bianco, là fuori, che non vede le orme lasciate su di esso, quelle orme di chi cammina senza meta, di chi cerca di non lasciare tracce troppo pesanti del suo passaggio, di chi si muove senza far rumore.

Ogni cristallo di neve è diverso dall’altro, ognuno è unico e originale, proprio come ciascuno di noi. Ognuno cade solo, ma, alla fine, immancabilmente unito agli altri nello stesso destino. Tempestivo, puntuale, preciso, implacabile, sicuro, ma, talvolta, fiorito. Tutto è bianco. Tutto riposa, tutto ispira serenità e tranquillità. Tutto tace.

Il bianco è puro, è semplice candore, è quello che ricopre i rami secchi di un albero che svettano verso il cielo, alla ricerca di una luce che li illumini e li guidi, è quello delle ali di un gabbiano che vola lontano, leggero e libero, fra le nubi e le gocce di rugiada. È quello di una nuvola, del cuore di un’orchidea o di una rosa che si schiude al tepore del mattino.

Bianche sono la stella alpina, il fiore delle montagne, simbolo di coraggio, la calla, il fiore delle spose, simbolo di purezza e d’inizio di nuova vita, l’acacia bianca, che si regala all’innamorata, simbolo di amore platonico. E, ancora, candide sono le camelie, le rose, i tulipani, le gerbere, le margherite, i gigli, i gelsomini, le dalie, i glicini, le arcangeliche.

Nel giardino botanico di Mosca mi sono imbattuta in un’ombrellifera affascinante, imponente e dall’aria protettiva. Pulsante. Al bianco delle sue grandi ali, si può riposare, guardando lontano, tranquillamente e serenamente. Senza troppi pensieri.

Bianche sono le ali degli angeli, bianchi sono i petali dei fiori, bianche sono le pellicce degli orsi, bianche sono le cime delle montagne, bianche sono le code delle comete.

Bianca è la superficie del lago ghiacciato, che nasconde gli errori della nostra stagione precedente, che porta lontano con dubbi, rimorsi, pensieri e sogni, ma che è pronto a rinascere l’estate successiva. Con forza, determinazione e certezza.

La natura, con questo colore, ci guida alla fase vitale, all’inizio di tutto, al nostro io più profondo. Bianco è speranza per il futuro, fiducia nel mondo e nella sua purezza, voglia di cambiamento e di un nuovo inizio, raccoglimento, protezione, candore, innocenza, trasparenza, silenzio, freddo ma anche caldo, perché il bianco ci accoglie, sempre.

Bianco è l’amore e la pazienza. Bianca è la natura, il foglio intarsiato sul quale siamo stati creati, vergine, puro, leggero, trasparente, intonso e libero, sul quale poter scrivere giorni, mesi e anni. A noi provare a mantenere quel candore, sapendo che, comunque, qualche macchia sarà inevitabile. Ma guardando la neve, fuori, cadere libera, provocante e leggera potremo tentare di capire, insieme a lei, come provare a scrivere su quel foglio senza troppe sbavature. Teneramente abbracciati.

Un singolo fiocco di neve può piegare una foglia di bambù. Proverbio cinese.

Foto in evidenza e altre nel testo, San Candido, Simonetta Sandri

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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