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Autonomia differenziata: un altro passo verso l’ampliamento delle disuguaglianze

Sembra che finalmente la discussione sull’Autonomia differenziata regionale sia uscita dal cono d’ombra nel quale era stata relegata solo fino a qualche mese fa. Forse perché il suo iter legislativo sta andando avanti: probabilmente, ancor più, perché si sta allargando la presa di coscienza di ciò che essa significa.

Ma cosa vuol dire, in concreto, Autonomia Differenziata delle Regioni? Rispetto alla situazione odierna, secondo quanto prevede il disegno di legge Calderoli (attualmente in discussione) significa spostare a livello regionale competenze e risorse su materie fondamentali, nel momento in cui le singole regioni ne facciano richiesta e a ciò segua un’intesa tra Governo e regione, mentre oggi esse sono oggetto di legislazione concorrente: cioè sia dallo Stato che dalle Regioni, con un’apposita distinzione dei ruoli.  Questo spostamento avverrebbe su 23 materie di grande rilievo, che vanno dall’istruzione alla sanità, dalla tutela e sicurezza sul lavoro alla previdenza complementare, dal governo del territorio alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, dalla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali alla produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, e altre ancora. Come si può facilmente vedere, si tratta di questioni di grande rilevanza, che hanno un’incidenza diretta sulle condizioni di vita delle persone e sui diritti di cui possono usufruire. Ora, non c’è dubbio alcuno che andare in questa direzione comporta il fatto di acuire le disuguaglianze territoriali, in particolare tra Nord e Sud del Paese. In una situazione in cui esse sono già molto profonde, con questo provvedimento sono destinate ad ampliarsi ulteriormente. Né vale la pena argomentare che, nell’ultima stesura votata al Senato, si è stabilito che il trasferimento di poteri e risorse alle Regioni avviene a valle della determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazioni da garantire uniformemente sul territorio nazionale, perché si prevede espressamente che la legge Calderoli non può comportare maggiori oneri per la finanza pubblica; che è un modo, neanche troppo elegante, per dire che essi verranno fissati ad un livello minimo e non potranno che fotografare la situazione già diseguale oggi esistente. Non solo: il Ddl dispone che il finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni avverrà tramite la compartecipazione regionale ad uno o più tributi erariali maturati nel territorio della regione, e cioè le imposte dirette, l’imposta sul valore aggiunto e le altre imposte indirette, contribuendo così a scassare ancor di più l’attuale sistema fiscale, già oggi stravolto con la diminuzione della progressività insita nella riforma fiscale in itinere.

Aumentare le disuguaglianze territoriali ha come conseguenza quella di far crescere le disuguaglianze sociali e radere al suolo l’universalismo dei diritti: non ci vuol molto a realizzare cosa succederà del diritto alla salute o all’istruzione quando questi temi saranno normati e differenziati nelle singole regioni. Anche perché l’idea dell’autonomia differenziata è costruita sull’ideologia della competitività tra diversi sistemi territoriali e sociali, per cui quelli più “bravi” sono i più “meritevoli” e chi rimane indietro è solo per colpa sua. Un’idea generale di società, che alla fine sta alla base tutta l’ideologia della destra, in Italia e nel mondo. Solo per fare un altro esempio, è utile ragionare su un aspetto che spesso, nella discussione sull’autonomia differenziata, viene trascurato. Mi riferisco al tema delle aree interne: è evidente che, anche nelle regioni cosiddette “ricche”, le aree marginalizzate saranno quelle che, nella distribuzione interna delle risorse, avranno meno risorse, concentrandolo invece nelle aree forti, a partire da quelle metropolitane e urbane, considerate “vincenti”, maggiormente attrattive per gli investitori e i soggetti di mercato, appunto più competitive.

Inoltre: se, da una parte, affidare una serie di materie, a partire da sanità e istruzione, alle Regioni significa produrre maggiori disuguaglianze, dall’altra, per un’altra tipologia di materie, invece, comporta semplicemente mettere in campo politiche inefficaci e controproducenti. Cosa vuol dire spostare alle Regioni competenze sui temi ambientali, di governo del territorio, delle scelte di carattere energetico? Se pensiamo che tutte queste questioni intervengono in modo significativo su come si intende affrontare il contrasto al cambiamento climatico e la conversione ecologica ed energetica, non ci vuole molto a concludere che frammentare e diversificare le decisioni non potrà che allontanare la possibilità di costruire soluzioni utili e convincenti, mentre esse non possono che essere costruite, se non a livello sovranazionale, perlomeno in una dimensione europea  – che peraltro sta facendo anch’essa vistosi passi indietro.

Insomma, il disegno di legge sull’autonomia differenziata regionale va in una direzione del tutto sbagliata. Stupisce che esso sia potuto avanzare con il contributo non solo di Regioni come la Lombardia e il Veneto, che guardano alla “secessione dei ricchi”, ma anche con quello della Regione Emilia-Romagna che, sia pure in modo meno spinto, è comunque rimasta abbagliata dal voler dimostrare di essere regione competitiva e attrattiva, ma così rompendo quell’idea di solidarismo e universalismo dei diritti che avevano costituito la base del “modello emiliano-romagnolo” nel secolo scorso.

Questo progetto va dunque contrastato e fermato. Da questo punto di vista, è decisamente importante e positivo che La Via Maestra, la coalizione sociale che comprende la CGIL e tantissime associazioni e realtà sociali, in una delle sue ultime riunioni, abbia deciso di promuovere una grande manifestazione nazionale anche contro l’autonomia differenziata il prossimo 25 maggio a Napoli e, soprattutto, di fatto assunto l’impegno che, nel momento in cui il disegno di legge Calderoli, ora in discussione alla Camera dei Deputati, diventasse legge, di promuovere il referendum abrogativo per eliminarla. Così come utile è l’iniziativa del Comitato per il No ad ogni autonomia differenziata dell’Emilia-Romagna, che ha promosso ultimamente una legge di iniziativa popolare regionale, sottoscritta da più di 6000 cittadini della regione, per “dichiarare interrotto” il percorso prodotto dalla Regione per avviare l’autonomia differenziata” o comunque di “non procedere ad altro iter alternativo per l’acquisizione di ulteriori forme di autonomia”.

Questa battaglia è anche fondamentale e in qualche modo preliminare per fermare anche l’intenzione del governo di arrivare alla modifica costituzionale necessaria per introdurre il “premierato”. E’ chiaro il nesso che lega autonomia differenziata e premierato: una società che rompe la coesione sociale, si frammenta e diventa ancora più divisa, fino ad alimentare il rancore, ha bisogno di trovare un punto di unificazione nella figura del Capo. Siamo di fronte ad un progetto autoritario, che si rivela funzionale ad un’ idea di forte restringimento della democrazia. Per fortuna, ci sono le forze e le energie in questo Paese per impedire che si affermi.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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