Grande successo di pubblico e una valanga di nomination al David di Donatello 2022, ben 11, e due prestigiosi Premi, Miglior attore protagonista, consegnato a Silvio Orlando e migliore sceneggiatura originale, a Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero e Valia Santella.
Parliamo di Ariaferma, film di Leonardo Di Costanzo girato, in pieno lockdown, in Sardegna, a Sassari, all’interno del carcere in tufo di San Sebastiano, costruito nel 1871, diventato il carcere ottocentesco di Mortana del film, spazio immaginario che richiama il penitenziario di massima sicurezza, e che nessuno sembra più voler abitare, né i carcerati, né le guardie né tantomeno il tempo che si dimentica di tutto e di tutti, implacabile.
Alienazione, solidarietà, onore, rispetto, codice barbaricino di un entroterra misterioso, inerzia, limbo di coabitazione forzata in attesa di sviluppo sono parte del linguaggio lineare di un film intenso e magistralmente interpretato da due protagonisti che si fronteggiano con reciproco rispetto, Toni Servillo e Silvio Orlando, rispettivamente Gaetano e Don Carmine Lagioia.
Gaetano è l’ispettore di Polizia Penitenziaria lasciato con un pugno di colleghi (cinque) e una dozzina di agenti a gestire dodici detenuti, che poi diventano tredici, in un carcere sperduto in Sardegna. Un carcere vecchio, antico, malridotto, cadente, che sta chiudendo, con carcerati tutti trasferiti, tranne quei dodici, che devono aspettare, insieme alle guardie, in una lunga e interminabile attesa (“L’ordine di trasferimento può arrivare in qualsiasi momento, anche domani”, ripete Gaetano, come un mantra che vuole convincere tutti, ma cui si fatica a credere). E si aspetta, sospesi nello spazio e nel tempo, con una tensione continua che però non sfocia mai in protesta.
“È dura stare in carcere, eh”, dice a un certo punto Don Carmine, un boss camorrista a fine pena, rivolto a Gaetano. Non è una provocazione, Don Carmine è intelligente e scaltro, non vuole alimentare malumori o tensioni. La sua è la frase simbolo in una pellicola silenziosa, dai toni bassi, che fa della fotografia e delle immagini le migliori alleate e narratrici: alcuni stanno dietro le sbarre, altri no, ma in fondo il carcere è carcere per tutti. “Io e te non abbiamo nulla in comune,” si lascia scappare Gaetano a un certo punto, sotto tensione. Ma lo sa bene che non è vero. Così come lo capiamo anche noi.
C’è comunque tanta umanità, nelle vite che si intrecciano, anche a costo di violare le regole. Basta soffermarsi sulla vicenda di Fantaccini (l’esordiente Pietro Giuliano), ragazzo problematico che diventa il tredicesimo detenuto dopo l’ennesimo scippo. Gaetano, che l’ha visto entrare e uscire di lì troppe volte, gli vuole bene e non lo nasconde, così come non lo fa Lagioia, che, alla fine, se ne prende cura. Il contatto umano rimane sempre vivo, la confidenza è un bisogno inespresso, i protagonisti sono separati da sbarre reali ma anche invisibili, l’altro diverso da sé non è poi così altro o diverso. Sguardi eloquenti interminabili.
L’aria è ferma nel carcere di Mortana, esattamente come il tempo. Un destino comune.
Un film importante, carico di pathos e di umana bellezza, da non perdere.
Ariaferma, di Leonardo Di Costanzo, con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Italia, 2021, 117 min.
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Simonetta Sandri
Commenti (1)
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Occorre molta umana pietà per assistere all’incontro tra due uomini maturi ora in posizione opposta, uno di qua e l’altro di là dalle sbarre. Eppure sono stati bambini nello stesso quartiere. E ora si mettono a nudo, ognuno con una diversa miscela di ‘bene’ e di ‘male’ in corpo. Sono di fronte. Bellissima la tenuta narrativa del film, che non confeziona facili consolazioni, né giudizi sommari