Appunti su Ferrara:
perché un’utopia non si trasformi in distopia
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Mi armo di immodestia e aggiungo alcune note sparse al dibattito su Ferrara innescato su queste pagine, tra gli altri, dal prof. Farinella e dal prof. Varese. Parto dalle due cause endogene che, a mio avviso, hanno determinato l’avvicendamento al vertice amministrativo della città: il tema Carife e il tema sicurezza.
Carife: un delitto sociale ed economico
Carife, la principale azienda del territorio, la banca dei ferraresi dal 1838, fu fatta saltare il 22 novembre 2015 per decreto del governo Renzi, dopo alcuni anni di malagestio travestita da grandeur napoleonica, soprattutto durante la gestione del Direttore Generale Murolo. Ne ho scritto in varie occasioni, ma per richiamare i dettagli più diabolici della vicenda – mai come in questo caso il diavolo si nascose nei dettagli – mi limito a riportare il link a questo articolo. Basti aggiungere che le due figure politiche di estrazione locale, Luigi Marattin (allora consigliere economico del Presidente del Consiglio Renzi) e Dario Franceschini (allora Ministro della Cultura e del Turismo), che avrebbero potuto orientare dal governo il destino di Carife, assecondarono o tollerarono la dichiarazione di morte della banca del loro territorio; al punto che, per farlo rieleggere in Parlamento, il PD dovette ricandidare il primo in un collegio lontano da Ferrara, mentre il secondo perse a Ferrara all’uninominale e fu “ripescato” grazie al collegio plurinominale di Ravenna, Rimini, Forlì e Cesena.
Non era possibile mostrarsi più acquiescenti al proprio capo politico e, al contempo, più indifferenti alle sorti della propria gente. Nemmeno il sindaco Tagliani (unico a distinguere la propria posizione, se non altro perchè doveva rispondere direttamente ai propri cittadini) credeva che potesse succedere, invece accadde. Nessuno della catena politica del Pd locale, a partire dai due esponenti di prima fila sopra citati, mosse un dito per tutelare non i dirigenti, ma i risparmiatori e i lavoratori della banca del proprio territorio. Da sindacalisti interni trovammo una sponda informativa e politica in Giovanni Paglia, allora deputato di sinistra di Ravenna. Ferraresi? Non pervenuti. Quella ferita, come tutte le ferite, si è andata a rimarginare col tempo, ma ha lasciato una cicatrice slabbrata, dolorosa. Quella vicenda mostrò con evidenza lancinante la distanza astronomica tra i cittadini e i rappresentanti espressi dal territorio, consegnando – anche schifiltosamente: ricordiamo l’accusa di “speculatori” alle famiglie sottoscrittrici di azioni e obbligazioni subordinate – il tema nelle mani degli oppositori politici. Si trattava di difendere l’apporto sociale e culturale che la Fondazione garantiva alla provincia. In fondo, si trattava della propria base sociale, politica ed elettorale.
Intendiamoci: la banca locale non era esente da difetti. Dopo tanto tempo si incistano conflitti di interessi, non c’è adeguata distinzione tra chi dà e chi prende, l’ordinante e il beneficiario tendono a coincidere. Ma distruggere il gioco è valso la candela? Adesso una banca del territorio non esiste più, e il principale effetto di questa mancanza, per un territorio fragile come il nostro, è che i soldi che vengono raccolti qui vengono tendenzialmente prestati fuori da qui. A questo punto, che fare? Ricostruire una banca del territorio è impossibile: ormai il mondo bancario va in direzione opposta. Un’ amministrazione che volesse lasciare una sua impronta dovrebbe guardare almeno ai soggetti fragili, alle microimprese, ai cosiddetti “non bancabili” e alle possibili sinergie realizzabili non solo attraverso l’interlocuzione con le banche più vicine ai territori (i crediti cooperativi?), non solo stimolando i giganti del credito a fare quello che dichiarano, ma anche rapportandosi con realtà di intermediazione come l’Ente Nazionale per il Microcredito (leggi qui e anche qui).
La sicurezza è una cosa di sinistra
Sentirsi tranquilli a casa propria, non avere paura nel percorrere una via da sole/i, avere un lavoro stabile, non essere alla mercè di tre ubriachi o fattoni che ti distruggono il bar. Secondo me sono declinazioni dello stesso concetto: sicurezza e tutela. Mi sento sicuro e tutelato se ho un lavoro che mi dia una prospettiva per il futuro, ma anche se non devo temere che mi entrino in casa quando sto fuori due giorni, se posso passeggiare tranquillo senza rischiare uno scippo, una rapina, una minaccia o un “semplice” disturbo al bar, da cliente o da gestore. La vecchia amministrazione ha scisso le declinazioni: ha rubricato la parte “ordine pubblico” a percezione esagerata, ad argomento strumentale. In parte poteva essere vero, ma il fatto di non avere approfondito le ragioni di questo stato d’animo, per padroneggiarlo e gestirlo, ha consegnato il tema alla destra. Un po’ come se parlare di ordine pubblico per la sinistra significasse, in automatico, avere la riserva mentale dello “stato di polizia” ed essere tacciabili di razzismo, per via degli spaccini nigeriani – così sposando il punto di vista dei “giustizieri della notte” in salsa leghista. La lettera aperta dei gestori cinesi del bar Condor (leggila qui) dimostra che le forze dell’ordine servono a chiunque voglia salvaguardare l’incolumità propria, dei propri clienti e la propria attività: sia esso italiano o straniero. La gestione della sicurezza andrebbe messa in cima all’agenda comunale, specie vedendo quanto chi ha sguazzato in questa propaganda si stia dimostrando inadeguato ad affrontare il problema. A meno che non si pensi che spostare microcriminalità, spaccio e teppismo dai giardini del Grattacielo per sparpagliarlo nel resto della città, centro storico incluso, costituisca una soluzione.
Personalmente non sono scandalizzato da cancelli, protezioni e recinzioni supplementari, specie se accompagnati da un popolamento dell’arredo interno e da iniziative che diano vita alla zona. Di parchi urbani recintati a Ferrara ce ne sono da tempo – ad esempio il Parco Massari. Sono irritato dalla propaganda di destra che pretende di avere risolto il problema mettendo inferriate e giochi per bambini in un paio di luoghi (e chiudendo chioschi senza una ragione e senza offrire un’alternativa). Sarei ugualmente irritato da un’ impostazione “da sinistra” che perseverasse nell’errore di rimuovere il problema, o si limitasse a rinfacciare agli attuali amministratori l’incapacità di governarlo (come se l’incremento della microdelinquenza fosse una bella notizia da cavalcare, visto che governano Fabbri e Naomo Lodi). Purtroppo, a volte non basta la socialità per garantire l’ordine pubblico, ma serve anche una polizia che controlla e presidia il territorio. E per farlo occorrono risorse. La sinistra che mette risorse nel presidio dell’ordine pubblico, esatto. E’ un tabù da sconfiggere: l’idea di una polizia che fa il suo lavoro al servizio dei cittadini non può continuare a far evocare il fantasma della morte di Federico Aldrovandi, perchè sono cose diverse.
Mobilità e qualità dell’aria: affinché un’utopia non diventi una distopia
Parto col dire che le considerazioni di Romeo Farinella (qui) sono affascinanti, ariose e disegnano una visione alternativa per la città, che ci deve essere perchè non si può vivere di sola amministrazione dell’esistente. Una visione serve a scuotere dalla rassegnazione o dal torpore chi non vota più: ed è altrettanto importante che far cambiare idea a chi ha votato Lega per stanchezza o frustrazione. Limitarsi a rimarcare le inadeguatezze, le malefatte o le macchie personali del naomo di turno viceversa non sposterà un solo voto, perchè la pura polemica è al tempo stesso autoriferita e inutile: gratifica chi già pensa il peggio di costoro, ma non sposta un consenso tra coloro che li hanno votati proprio perchè “sono fatti così”.
Ferrara ha, credo, delle peculiarità “urbanistiche” (lo dico da cittadino non addetto ai lavori). Intanto ha nove chilometri di mura tutte percorribili a piedi, in bicicletta e senz’altro anche in monopattino. Ci sono città che hanno mura più lunghe, ma non tutte percorribili. Ci sono città che hanno mura più antiche, ma che sono state rifatte varie volte. A Ferrara le mura sono state restaurate ma sono sempre quelle originarie. Non mi posso definire un giramondo, non sono un esperto di realtà urbane. Partendo dalla mia limitata esperienza comparativa, però, non mi viene in mente un’altra città italiana di dimensioni paragonabili che possa essere girata tutta a piedi o in bicicletta da un capo all’altro, semplicemente percorrendo le mura.
Quindi Ferrara potrebbe essere la città delle biciclette.
“Ma lo è già: c’è anche il cartello all’ingresso della città!”
Vero. Il cartello c’è e riporta una frase diventata luogo comune. Un luogo comune è una specie di assioma, assimilato a un dato di natura, ma riflette anche un possibile scostamento tra il senso comune e la realtà dei fatti.
Se ci limitiamo all’Italia, per Ferrara prevale ancora la prima accezione. In effetti è la città italiana che vanta il maggior metraggio di ciclabile per abitante (1,14 mt), anche se ho trovato molto più a portata di mano (e di vista) le postazioni di bike sharing di Milano. Ma se non siete mai passati per Odense (Danimarca), e mi limito ad una città più popolata di Ferrara ma dalle dimensioni simili, non potete capire. Cito solo un numero: 150 km di ciclabili a Ferrara, 545 a Odense (intesa come pista esclusiva, sennò arriviamo a oltre 1000 km). Inoltre parliamo di strade larghe, dalla larghezza paragonabile a quella delle strade per auto, moto e mezzi pubblici. A Odense non sacramenterei contro i ciclisti che occupano la carreggiata come fosse loro. Perchè là hanno intere e larghe strade che sono loro – o mie, quando inforcassi la bici. Non dico che sia un paradiso: di sicuro non è l’inferno che albergava nella mente di Hans Christian Andersen, illustre nativo. Evidentemente in due secoli la Danimarca di strada “civile” ne ha percorsa. Noi abbiamo ancora molti margini di miglioramento.
Non saprei dire se sia il caso di creare “nuove” ciclabili a Ferrara (e ho anche apprezzato molto l’accenno più generale alla de-costruzione fatto dal Prof. Farinella). Però, professore, se hanno appena asfaltato strade larghe sei metri al parco Urbano, perché non approfittarne? Perché non aggiungere alla trama che permette di passare “ecologicamente” dalla città alla campagna, e viceversa, anche queste vie, invece di intignarsi solo sulla loro presunta servitù di passaggio dei camion che porteranno i palchi del prossimo Springsteen? Vero: altri parchi cittadini hanno strade larghe ma nacquero come aeroporti, noi non dobbiamo partire dal parco e fare il percorso inverso. Vero, il Teatro Comunale non dovrebbe avere titolo per fare opere stradali. Ma le carte bollate, se devono arrivare, arrivassero adesso, prima che sia tutto completato. Dopo, basta. Chi arriverà ad amministrare non dovrebbe puntare a disfare il già fatto – a meno che non sia un mostro di cemento, ovviamente – ma a considerarlo una possibilità da armonizzare nel tessuto cittadino. Ferrara può diventare una vera città delle biciclette, di dimensione europea. E con un centro storico libero dal traffico a motore privato.
A una condizione: che il turista (o il cittadino extra -mura) che arriva al limine della città in macchina e la molla in un parcheggio scambiatore fuori mura – come potrebbe diventare obbligatorio – non debba fare la fila per salire su un tram che passa ogni quarto d’ora e magari ha la fermata a mezzo chilometro dal parcheggio. L’età media dei ferraresi è di 49,5 anni. Non è solo questione di cambiare le abitudini di gente che prende la macchina anche per fare 500 metri. Molti di coloro che sono oltre la media anagrafica non metterebbero più piede in un centro storico senz’auto, se dovessero sbattersi oltremisura per arrivarci. E il centro storico è già abbastanza penalizzato adesso, per assestargli altri colpi.
Queste ultime considerazioni potrebbero sembrare ovvietà. Oppure potrebbero essere il punto di intersezione tra visione e realismo, affinchè l’utopia coraggiosa che intravedo nelle idee del prof. Farinella eviti di trasformarsi in una distopia che scoraggerebbe o metterebbe in difficoltà molte persone. Anche per questo occorrono risorse.
La cultura diffusa a Ferrara esiste, ma molti ferraresi non lo sanno (quindi non è così diffusa)
L’affermazione vale prima di tutto per il sottoscritto. Attenzione: non è riducibile alla (pur veritiera) asserzione per cui non apprezzi mai abbastanza la città in cui vivi perchè la dai “per scontata”. Quello bene o male vale per tutti. Per una città che presenta una storia – non solo rinascimentale – ricca di luci e di ombre come Ferrara, la valorizzazione di tutte le associazioni del territorio che si occupano della storia e attualità culturale costituisce, probabilmente, la condizione necessaria per divulgare (anzitutto ai propri cittadini, le prime “guide turistiche” diffuse) la ricchezza intrinseca della città. Sotto questo profilo, le idee messe in fila – declinate in parte sotto la forma dialettica definita “problemi” – da Ranieri Varese (qui) fanno intravedere l’esistenza di una rete che avrebbe bisogno di essere “semplicemente” rimessa in corrente (sulle biblioteche aspetto il contributo di Francesco Monini, che sono certo arriverà). Per far questo non c’è solo bisogno di risorse, ma anche delle persone competenti e con il retroterra adeguato per occuparsi delle variegate facce del prisma culturale. Apro una parentesi: a Ferrara queste persone c’erano, e hanno contribuito a “edificare” una proposta culturale, in particolare nelle arti figurative e nella musica, unica per originalità. Ferrara non era il luogo di atterraggio di un “evento” alieno che poi (con l’elicottero o i camion) si sposta altrove, uguale a se stesso, ma era la matrice di una proposta che aveva il “marchio” e il profilo di qualcosa che trovavi solo qui, o che qui aveva avuto la sua origine. Sarebbe bello tornare a una Ferrara come laboratorio di esperienze da esportare, anziché come contenitore occasionale di prodotti importati.
Proprio attraverso la forza di una visione si potrebbero recuperare fisicamente a Ferrara, e metterle al servizio dell’amministrazione culturale della città, delle eccellenze che hanno sviluppato la propria carriera in altri luoghi del mondo, ma che a Ferrara sono nate e, in parte, cresciute. E che magari non fanno parte della solita famiglia più o meno allargata, illustre quanto si vuole ma decisamente onnivora.
Lascio infine sullo sfondo due elementi che sono trasversali – o dovrebbero esserlo – a tutti i temi citati.
Il primo elemento è rappresentato dall’Università, che ha delle potenzialità inespresse in termini di possibile volano anagrafico, professionale, urbanistico. L’ evoluzione di Ferrara da città con l’università a “città universitaria” rappresenta forse la più stimolante innovazione in grado di restituire effervescenza ad una città per altri versi intorpidita: dal clima, dall’anagrafe, dalla geografia – che è anche parte del suo fascino, a patto di non diventare la cifra di ogni attività.
Il secondo elemento sono le risorse. Per sviluppare e dare concretezza a tutte le visioni occorrono risorse economiche. Questo significa, in estrema sintesi, individuare una persona (o un team di persone) che abbia la capacità di risparmiare, reperire e impiegare.
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Nicola Cavallini
Commenti (3)
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Argute riflessioni che aiutano ad affrontare le tante ragioni alla base non solo dell’allontanamento dei cittadini da una politica attiva nel governo della loro città,ma dalla assenza di una prospettiva strategica di rinascita…Bisognerebbe guardare oltre, o quantomeno cercare di trovare chi e come potrebbe riuscire a coinvolgere le giovani generazioni in un disegno di futuro che abbia senso e sia politicamente affidabile e credibile , per salvare la città da questo degrado culturale e politico sociale. Mi rifiuto di credere che non possa esservi una possibilità di ripresa: occorre un investimento politico che , senza apparato precostituito e predestinato al governo della città, possa liberarsi dai condizionamenti o compromessi di “parte” e ragionare su nuovi percorsi da fare insieme. Forse sarà un percorso lungo,ma credo che la vera scommessa sia quella di investire in un nuovo modello di comunità educante.
Come pochi riescono a fare, Nicola Cavallini riesce a coniugare visione e pragmatismo. Perché anche se volessimo “rivoltare Ferrara come un calzino” (e la tentazione è forte, parlo per me) occorrerebbero sempre quelle due cose: visione e pragmatismo. Pensare, costruire, manutenere una “città nuova”, e farlo insieme a tutti i cittadini (compresi i bambini e gli anziani soli), è una sfida tanto difficile quanto affascinante. Affascinante, credo, e se vengono coinvolti davvero, per tutti coloro che a Ferrara abitano, studiano, lavorano o si riposano dopo aver lavorato una vita. La prossima contesa elettorale dovrà abbandonare i noiosi bisticci e le parole vuote, e misurarsi sui contenuti del nostro vivere urbano, coniugando visione e pragmatismo. Oppure votare servirà a poco.
Bravo Cavallini! Quel che conta è la inventiva e non appecoronarsi. Carife, l’hanno distrutta seguendo le fesserie che diceva la Commissione UE, poi smentita in iure!, che erano “aiuti di Stato”; proni i Renziani.
Musica. Dopo Abbado nulla pitdi originale, solo il ripescaggio di programmi di agenzie… In 25 anni ho proposto io a Ferrara almeno 30 concerti per violino importanti e dimenticati. Nel 2024 propongo tutti i 6 Concerti di PAGANINI con 6 solisti italiani, cosa MAI avvenuta in Italia…Ferrara ha grandi prospettive se pensa in originale e non copia come tutte le città di provincia che scimmiottano l’inglese e i suoi vizi. Orribile è usare il centro storico come discoteca notturna sbracata.