ANALISI DISANALITICA DEL VOTO
Teniamoci per mano in questi giorni tristi
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Mi arrabatto come una gabbianella in una chiazza di petrolio sull’oceano magno del nulla cosmico. Vorrei dire, vorrei pensare, vorrei essere, ma non sono, peggio non so neppure se sia giusto fare commenti. La democrazia sta nel rispetto del voto, i nostri partigiani ci sono morti per darci questa opportunità. Eppure cerco compulsivamente, nel web, nella mia memoria, troppo spesso vacillante, scavo tra i ricordi che non ho, per trovare un appiglio, la forza di credere in una rinascita, di trovarlo questo cazzo di ultimo che da terra riprenda la mia bandiera e la sventoli pure. Ma non lo trovo. Non c’è, non esiste, oppure se esiste si è talmente nascosto bene che non si fa trovare. Il tempo scorre, inesorabile, come una emorragia e noi rimaniamo fermi in posizione fetale o adottiamo la tecnica dell’opossum per sembrare morti, con la speranza che l’orso grigio non ci mangi.
Ho votato, con la tecnica di chi da dietro da un pugno a Tyson, ben consapevole di quello che accadrà subito dopo. Dove ho votato? Vabbè autodomanda inutile, a sinistra, senza minimamente raggiungere il quorum, come mi capita oramai da alcune tornate elettorali a questa parte.
Ma sinceramente cosa si può dire che già non sia stato detto?
Anzi ,di più, l’analisi della débâcle era iniziata ancora prima della chiusura delle urne, settimane, mesi prima. Gabriel Garcia Marquez scrisse un meraviglioso romanzo “Cronache di una morte annunciata”, dove in ogni pagina si assapora il profumo dolciastro dei frutti tropicali. Nell’odierno remake gli odori sono di tutt’altro genere.
Mi incaponisco a voler scrivere qualche cosa di diverso, di originale, ma pare che i pensieri mi ristagnino in testa come l’acqua di una laguna mefitica, talmente immobile che le zanzare con le pinne ci organizzano il mondiale di pattinaggio artistico nel macero.
Ferrara, la ex rossa, la mia città, quella in cui alle manifestazioni negli anni Settanta si riversavano nelle piazze migliaia di operai, studenti e pensionati è diventata una roccaforte della destra, dove Fratelli D’Italia diviene il primo partito aumentando di 20 punti percentuali, roba che accadde solo nelle elezioni del 1920, sei mesi dopo la vittoria dei socialisti. Mio padre e mia bisnonna si stanno rivoltando talmente tanto nelle tombe che nel Borgo di San Luca le persone sono scappate fuori dalle case pensando al terremoto.
La storia è maestra, ma non ha scolari (A.G.)
In realtà, non temo un vero e proprio rigurgito fascista, pur nella consapevolezza che tra le pieghe della destra italiana siano ben presenti i nipotini del pelato. Ho paura di una regressione nei diritti civili delle persone. Ho paura che Dio, Patria e Famiglia divenga uno slogan consolidato, un modus operandi, che la famiglia tradizionale (per gli altri) sia uno schema sotto al quale nascondere l’omofobia o la non conformità ai loro schemi.
Beh sì, in effetti, penso che LVI (vedi Qui “Qvando c’era lvi”, il fumetto di satira antifascista di Antonucci e Fabbri) sarebbe contento del risultato di queste elezioni.
Quindi cosa propone il mio appassito e ripetitivo neurone, quali idee metterebbe in campo quella particella di materia organica che mi rimbalza nella disabitata vastità della mia scatola cranica?
E qui continuo a starnazzare nelle sabbie mobili, più penso, più cerco e più affondo. Credo di averlo scritto un milione di volte, cambiamo agenda, passiamo dalla agenda Draghi alla agenda Berlinguer. Come può il più grande partito di opposizione prendere come modello un banchiere figlio del sistema, metafora di tutto ciò che rappresenta il contrario della storia della sinistra?
La Meloni, furbescamente, non lo appoggiava e rimaneva in attesa lungo il fiume. Così la destra, figlia del sistema, nata stoicamente per proteggere lo status quo, agli occhi di un terzo dei votanti è apparsa come una soluzione, una ribellione gattopardesca per fingere di cambiare tutto per non cambiare nulla.
Io penso che la sinistra abbia il dovere di essere dalla parte dei ceti meno abbienti, debba dimostrare di volere cambiare le sorti di un mondo destinato alla catastrofe. Se questo non avviene e la ribellione viene lasciata in mano alla destra, ti ritrovi Meloni, Salvini e Berlusconi al governo.
Non occorre essere fini analisti.
Forse la speranza oggi deve essere riversata nel quaranta per cento di non votanti, non come modello, ma come bacino d’utenza, persone che non possono più essere marchiate con la lettera scarlatta del qualunquismo, rappresentano certamente qualcosa di più. Il non voto in Italia da qualche decennio è diventato voto. Ed è li che occorre trovare un collante di sinistra.
Anche se, lo sappiamo bene, l’unità a sinistra è come l’unicorno, bello, elegante, raffinato, ma inesistente.
E allora che facciamo?
Mettiamoci in proprio, togliamoci le spille dei mille partiti e partitini che abbiamo votato, cancelliamo i se, annientiamo i però, disintegriamo i ma. E contiamoci.
Teniamoci per mano in questi giorni tristi (cit.)
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Cristiano Mazzoni
Commenti (5)
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Agnese Pini, disamina obiettiva
https://www.quotidiano.net/editoriale/destra-leader-pini-1.8119264
Ma cosa vuoi contare…?! Il non-voto assurge a posizione politica se esplicitato, consapevole, collettivo. Viceversa, anche se può significare un rifiuto di tutte le posizioni esistenti, come atto individuale finisce nel cesso insieme al non-voto dei troppo anziani, delle persone che vivono un disagio importante (tossicodipendenti, psichiatrizzati, disabili..) o di chi non poteva raggiungere il seggio per altri motivi.
La questione non è la conta, mai. Sappiamo che saremmo comunque minoranza se dovessimo restare alla chiarezza della falce e martello.
La questione è leggere la realtà cercando le contraddizioni, i conflitti che possano determinare uno spazio nel quale coltivare consapevolezza, decisione, militanza. La delega è lo sdoganamento del comando e via via dal doposecondaguerra in poi progressivamente ha sostituito la necessità di costruire e organizzare in prima persona e collettivamente percorsi di liberazione. Chi tiene aperta la possibilità di costruire antagonismo viene represso, vieppiù dalla “sinistra” che cerca di isolare quei facinorosi.. Temendo di perdere le priorità acquisite. Un Robespierre che non può far altro che attendere la propria decapitazione.
Ci penso molto, ma ancora non ho trovato risposta: per un profondo cambiamento ci vuole un soggetto rivoluzionario, un agente che modifichi la storia a favore degli ultimi. E non lo vedo, non riesco a scorgerlo nemmeno in lontananza.
E sì che il programma-come si diceva
una volta- ci sarebbe, eccome…
Se queste sono le riflessioni aspettiamoci una bella infilata di Waterloo. NB. Allora Montedison e indotto davano lavoro a 12.500 operai e tecnici. Ora, se va benissimo, siamo a 2.500.
Chiedo scusa per l’invadenza. Nel precedente commento mi riferivo soprattutto all’Italia. E aggiungo che fermenti di cambiamento ce ne sono
( ad esempio i giovani di “friday for future”). Però non esiste un aggregato sociale ed una rappresentanza politica che agiscano per rinnovare e far vivere la sinistra.