Presto di mattina. Amicizia sociale
Sgranano i sogni le pupille
Uomini e sogni siamo d’una fibra
E in noi sgranano i sogni le pupille
Come bambini all’ombra dei ciliegi,
E alza la luna sulle cime il corso
D’oro pallido per la vasta notte.
… Affiorano così dal fondo i sogni
E vivono come un bimbo che ride,
Avanti a noi, grandi nell’onda alterna
Come la luna desta dalle cime.
Penetrano le vene più profonde;
Come mani di spettri in una stanza
Hanno dimora e vita in noi perenne.
Ed una cosa è l’uomo, l’astro e il sogno.
(Hugo von Hofmannsthal, Narrazioni e poesie, Mondadori, Milano 1989, 33).
Non finzione, evanescenza notturna, né inutile ombra di un astro lontano. Il sogno, nella poetica di Hofmannsthal, è coscienza viva di come nel presente si nasconda sempre l’ignoto, al cui apparire potrebbe mutarsi tutto: «questo è un pensiero che dà le vertigini, ma che consola», così egli scrive ne Il libro degli amici.
Poiché di un’unica fibra son fatti uomini e sogni, affiorando dal profondo, dimorano nella vita, penetrando in essa. Convivono nel sorriso dei piccoli, sono davanti come mani di occhi neonati sgranati nell’ombra dei ciliegi, come luna che sale dalle cime segnando con ombroso lume la vasta notte perché «una cosa è l’uomo, l’astro e il sogno».
L’ignoto: un estraneo sulla strada
Anche nel sogno di papa Francesco, quello affiorante nella sua lettera Fratelli tutti (3 ottobre 2020), si nasconde l’ignoto, lo sconosciuto, il samaritano della parabola evangelica, anima spirituale e cuore del suo testo. L’Ignoto accade, come quella volta sulla via che va da Gerusalemme fin nello sprofondo di Gerico. Viene incontro non senza speranza pur tra ombre di un mondo chiuso, indifferente, dove molti passano oltre. Lo straniero avanza come opportunità di un mutamento possibile, di un ribaltamento delle sorti, sia per la comunità ecclesiale sia per quella umana.
Nella lettera del Papa si descrive lo scenario del presente: sogni che vanno in frantumi, diritti umani non sufficientemente universali, perdita della coscienza storica, dignità umana smarrita alle frontiere, globalizzazione e progresso prive di una rotta comune, conflitto e paura, aggressività, informazione senza saggezza, e tuttavia «malgrado queste dense ombre, che non vanno ignorate, nelle pagine seguenti desidero dare voce a tanti percorsi di speranza. Dio infatti continua a seminare nell’umanità semi di bene».
L’ignoto come speranza «ci parla di una realtà che è radicata nel profondo dell’essere umano, indipendentemente dalle circostanze concrete e dai condizionamenti storici in cui vive. Ci parla di una sete, di un’aspirazione, di un anelito di pienezza, di vita realizzata, di un misurarsi con ciò che è grande, con ciò che riempie il cuore ed eleva lo spirito verso cose grandi, come la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore» (nn. 54-55).
Per papa Francesco il male più grande oggi è l’esclusione sociale. Per questo ci ha consegnato questa enciclica sociale «come un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (n.6).
Fraternità e amicizia sociale
Quello sognato da papa Francesco non è cosa nuova, è un sogno che viene da lontano, si intreccia con il sogno del Poverello di Assisi, rilancia pure quello di fratel Charles de Foucauld, il fratello universale, ma molto prima penetra le vene più profonde delle parabole del Regno. L’Ignoto, colui che nessuno ha mai visto, dimora tuttora nei sogni e nelle parabole rivolte dal Figlio dell’uomo ai suoi fratelli.
Affiorano così dal fondo della umanità i sogni del Figlio amato come quelli di Giuseppe, il sognatore, il figlio prediletto di Giacobbe, che sognava futuro contro ogni futuro, anche per i suoi fratelli che avrebbero provato a negarglielo calandolo in un pozzo vuoto per venderlo poi ai mercanti come schiavo in Egitto. Ma l’Ignoto, dimorante anche in quel pozzo come tanti sogni sepolti e dissolti nel nulla, avrebbe cambiato tutto per Giuseppe e i suoi fratelli, per Gesù e per i suoi amici.
«C’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere – incalza papa Francesco – per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità. Questo è un principio elementare della vita sociale, che viene abitualmente e in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro visione del mondo o non serve ai loro fini» (n. 106).
L’amicizia sociale si costruisce per papa Francesco da un continuo incontro con le differenze ed implica un dialogo costante.
La fraternità aperta a tutti e l’amicizia sociale costituiscono all’interno di ogni società due poli inseparabili di coesione e indispensabili a salvaguardare e promuovere la dignità delle persone e dei popoli. Separarli provoca polarizzazioni riduttive e deformanti, che lacerano il comune modo di vivere e si frappongono alla realizzazione dell’unica appartenenza umana:
«Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca» (n.36).
Così papa Francesco indica come pietra angolare, su cui costruire insieme la comunità umana e il consenso di tutti, il riconoscimento della dignità assoluta di ogni essere umano e lo fa cercando di universalizzare la fraternità a partire da una prospettiva e impegno di amicizia sociale.
La vicinanza d’amore che rende amici
Già nel 2011, ancora cardinale, Bergoglio ricordava in un discorso intitolato Dio nella città che «lo sguardo d’amore non discrimina né relativizza perché è sguardo d’amicizia. Gli amici si accettano così come sono e gli si dice la verità.
È anche questo uno sguardo comunitario. Porta ad accompagnare, a riunire, ad essere qualcuno in più al fianco degli altri cittadini. Questo sguardo è la base dell’amicizia sociale, del rispetto delle differenze, non solo economiche, ma anche ideologiche. È anche la base di tutto il lavoro del volontariato. Non si può aiutare chi è escluso se non si creano comunità inclusive».
Grazie all’amicizia la fraternità può aprirsi oltre i confini e le appartenenze esclusive e radicarsi profondamente nella vita sociale e politica. Aiuta a pensare e generare un mondo aperto. Ciò che la caratterizza è l’amore per l’altro in quanto tale, essa si esprime come un’uscita della persona verso l’altro in libertà e dedizione.
Scrive papa Francesco: «Siamo fatti per l’amore e c’è in ognuno di noi una specie di legge di “estasi”: uscire da se stessi per trovare negli altri un accrescimento di essere. Perciò in ogni caso l’uomo deve pure decidersi una volta ad uscire d’un balzo da se stesso» (n. 88).
Il valore della dignità umana viene accresciuta se la guardiamo con gli occhi dell’amicizia; l’altro vale non solo in ragione della giustizia della misericordia in quanto fratello e pari nell’umanità ma si accresce se l’altro ha pure la dignità di amico.
La vicinanza che rende amici ci permetterà di apprezzare profondamente anche i valori, la fede dei poveri di oggi: «l’opzione per i poveri deve portarci all‘amicizia con i poveri… Alla luce del Vangelo riconosciamo la loro immensa dignità e il loro valore sacro agli occhi di Cristo, povero ed escluso come loro e insieme a loro. A partire da questa esperienza di credenti, condivideremo con essi la difesa dei loro diritti» (n. 234).
Architettura nel segno dell’amicizia sociale
L’architettura come l’amicizia sociale può divenire un “agente di cambiamento”. È questo il messaggio che ci viene da quel “laboratorio per il futuro” che vuol essere la Biennale di Architettura 2023, dal 20 maggio al 23 novembre 2023 a Venezia.
La 18a Mostra Internazionale di Architettura si è focalizzata “sull’Africa e sulla sua diaspora”. All’evento partecipa anche il Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione con un padiglione espositivo nell’abbazia dell’Isola di san Giorgio maggiore.
L’Amicizia sociale: incontrarsi nel giardino è il tema che è stato proposto dagli organizzatori per rilanciare le prospettive di una cultura dell’incontro così come è stata declinata nelle lettere encicliche Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020).
Il presidente della biennale Roberto Cicutto ha dichiarato che «un laboratorio del futuro non può prescindere da un punto di partenza preciso, da una o più ipotesi in cerca di verifica… È un punto di partenza che invoca l’ascolto di fasce di umanità lasciate fuori dal dibattito, e apre a una molteplicità di lingue zittite per molto tempo da quella che si considerava dominante di diritto in un confronto vitale e improcrastinabile. Io credo che questo sia il vero compito della Biennale di Venezia come istituzione, e non solo per quanto riguarda l’architettura».
La curatrice Lesley Lokko ha ricordato che «per la prima volta, i riflettori sono puntati sull’Africa e sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo… Spesso si definisce la cultura come il complesso delle storie che raccontiamo a noi stessi, su noi stessi. Sebbene sia vero, ciò che sfugge a questa affermazione è la consapevolezza di chi rappresenti il “noi” in questione.
Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti» (ivi).
Fare un passo indietro
Un passo indietro può essere la condizione di molti passi avanti, un’opportunità per coinvolgere tutti, per cambiare un limite in opportunità di ascolto dei territori e di coloro che li abitano.
Il coraggio di “far fare un passo indietro all’architettura”: questo l’invito del poeta e cardinale portoghese Josè Tolentino de Mendonça dal 2022 prefetto del Dicastero per la Cultura.
Il suo motto episcopale è un passo poetico del vangelo nel discorso delle Beatitudini: Considerate lilia agri, è l’invito ad osservare contemplando come crescono i gigli del campo. Egli ha voluto così sottolineare la necessità di un cambio di paradigma, sollecitando un’architettura che guardi alla modestia, preferendo la pratica di gesti semplici, prendendo spunto dall’uso quotidiano familiare e dal modello meditativo di vita monastica per vivere la globalità come un ambiente più familiare e domestico.
L’architettura, quindi, come luogo di quiete, di riflessione, di interiorità, in grado di favorire in chi la vive la capacità di accorgersi anche delle piccole cose, di quelle nascoste e partecipare a quelle situazioni, relazioni e azioni meno appariscenti o date per scontate e tuttavia portatrici di senso: profetiche. Per questo nel giardino del monastero di San Giorgio la disposizione delle coltivazioni è stata posta in relazione con gli elementi della natura: sole, terra, aria, acqua.
Architettura del mondo come esercizio di responsabilità
«Può sembrarci una categoria insolita quella dell’“amicizia sociale” – scrive Josè Tolentino de Mendonça – siamo abituati a declinare l’amicizia come una categoria personale e privata e, per parlare delle relazioni nella società, ricorriamo a termini più generali come rispetto, solidarietà, civismo, cittadinanza.
Riserviamo la parola “amicizia” alla cerchia elettiva dei nostri affetti, cosa peraltro consigliata da varie tradizioni sapienziali a partire da quella biblica. Ma la proposta del Papa prende le mosse dalla situazione del nostro tempo, in cui la globalizzazione ci ha resi vicini ma non fratelli…. Come si legge nell’enciclica, «certe parti dell’umanità sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano» a scapito di un altro (Fratelli tutti, n. 18).
L’“amicizia sociale” è un tentativo di invertire questa situazione. La sfida che ci lancia Francesco è ad andare “oltre”… L’ “amicizia sociale” è una categoria da inquadrare nell’ambito della fraternità, di una compassione attiva e della pratica concreta della speranza. E ci chiede di progettare l’architettura del mondo come esercizio di responsabilità, invece che come normalizzazione dell’egoismo e dell’indifferenza.
Il papavero e il monaco
Un libro di haiku è quello scritto di recente da Josè Tolentino de Mendonça; questo genere poetico è infatti un invito a guardare, mettersi in ascolto, facendo silenzio affinché altri prendano la parola, o semplicemente si ascolti il loro silenzio che parla linguaggi differenti.
Il tutto, come ci ricorda l’autore, favorito dal fatto che «l’haiku non descrive ma fa apparire l’altro, si presenta come un’istantanea che cattura il flagrante e l’implicito, la meraviglia e la tensione interni alla vita» (Il papavero e il monaco, Quiqajon, Bose [Bi] 2022, 17).
Scrivere haiku è allora come fare un passo indietro per seguire e lasciarci guidare da altri passi: «I passi che ascolto / non si dirigono verso di me», qui l’io non è più misura di tutte le cose; vi è un cambio di paradigma, dall’introversione all’estroversione; l’io si fa discepolo di un tu che cammina oltre.
Sia tale il tuo silenzio
che neppure il pensiero può pensarlo
Far tacere per far dire:
paradossale ingiunzione
il silenzio parla di se stesso;
La primavera a ronzare
Con i suoi occhi azzurri di papavero:
belle e nuove le vesti di Dio
L’estate
insegna la stessa preghiera
al papavero e al monaco
Oggi le nuvole sembrano
monaci che prendono il tè
in silenzio
Vuoi sapere che cosa prego quando prego?
tronchi secchi, ramoscelli
recinzioni e creta rossa
Chiedi quanto devo pregare?
Il papavero sulla collina
È sempre rosso
Adorare
è sorprendere Dio
nella più piccola briciola
In Dio tutto si assomiglia:
la tua preghiera e il canto
della rana
Quel che a parole è nascosto
Nel silenzio crepita
Più intimo
Azzurra la luna
si alza sopra i tetti
e la citta con lei
Ora resta soltanto
che tu diventi
poesia
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