Agricoltura: Linea Verde contro Linea Nera
Gran parte degli agricoltori sono furiosi perché si trovano tra l’incudine e il martello: schiacciati dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), che riconosce loro una parte troppo piccola del prezzo finale che pagano i consumatori, e dai giganti dell’industria alimentare che li mettono in concorrenza con alimenti importati, che spesso contengono più pesticidi dei nostri. Da qui nasce la comprensibile contestazione contro l’accordo UE con Mercosur ovvero Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay – che, come afferma la coalizione Stop Ttip Italia (di cui fa parte anche Slow Food ) “… promuove un aumento delle importazioni europee di carne bovina, soia e biocarburanti, in cambio di maggiori esportazioni di automobili nei Paesi sudamericani. Uno scambio fra agroindustria e automotive le cui pesanti esternalità ricadranno sulle condizioni della foresta amazzonica, già colpita da incendi e deforestazione guidata dai grandi allevatori e agricoltori.”
Gli agricoltori subiscono per primi gli effetti del cambiamento climatico (siccità, inondazioni). Si tratta di un modello agricolo che non sta più in piedi, nonostante sia da decenni generosamente sussidiato con fondi pubblici, sia dai singoli Stati che dall’Europa, che spende per l’agricoltura un terzo del suo bilancio. Tuttavia, poiché i soldi non ci sono per tutti, essi vanno per l’80% alle grandi imprese (che sono il 20%) per cui ai piccoli arrivano le briciole. La guerra in Ucraina ha reso la situazione ancora più critica, facendo esplodere l’inflazione e i prezzi dei fornitori (antiparassitari, attrezzature, sementi, energia, gasolio, acqua) e sprofondare il prezzo dei cereali nel 2023 (-20% sul 2022) e delle piante industriali (-10,5%, fonte Istat), con l’arrivo dei corridoi di solidarietà che portano in Europa i raccolti dell’Ucraina.
Questa agricoltura industriale non ha futuro perché è costosa (va sempre sussidiata), inquina e degrada i suoli al punto che tra pochi anni molti terreni, resi meno fertili ed erosi, si desertificheranno. Proseguendo sulla strada dell’agricoltura industrializzata i piccoli agricoltori si autodistruggeranno. Arriveranno i droni, altre meccanizzazioni (tutte cose molto care della cosiddetta “agricoltura di precisione”), sempre più costosi antiparassitari per terreni sempre meno fertili, crescerà la concorrenza estera di cibo spazzatura.
Al futuro del mondo agricolo si aprono, pertanto, tre vie:
- scomparire. I piccoli agricoltori già si sono ridotti a 400mila, il 2% degli occupati, massacrati dall’ impatto della divisione del lavoro europea, prima ancora di quella mondiale, che si produrrà con l’ingresso dei paesi candidati (Ucraina, Georgia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Moldova, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia), tutti a basso costo del lavoro agricolo e a grande produzione agricola e cerealicola, producendo l’ulteriore scomparsa dei piccoli coltivatori nostrani, che non esportano. Cresceranno ancora i terreni delle grandi imprese e di quelle esportatrici. Un fenomeno simile a quanto già avvenuto nel 2004 per il Sud Europa, con l’ingresso di 100 milioni di lavoratori dell’Est Europa;
- sopravvivere, con un’ agricoltura industrializzata ma ancora più sussidiata da aiuti pubblici (che però fanno a pugni con le altre categorie e con le regole del Patto di Stabilità, che chiede austerità a tutti). Questa è la strada che propone la burocrazia dell’Unione Europea, a costo di ulteriori devastazioni ambientali e umane, strada che trova resistenze nello stesso mondo contadino, che sempre più si rivolge al biologico;
- lottare per imporre l’agricoltura contadina (e bio), la difesa dei piccoli coltivatori, rispettosa dell’ambiente, degli animali, che produce con utilizzo minimo di antiparassitari, che dà un prodotto di qualità agli europei e che proprio per questo è sussidiata, chiedendo prezzi maggiori nell’ambito della filiera che finisce alla GDO. Mantenendo e incentivando quegli agricoltori che, oltre a coltivare, curano il territorio, lasciano spazi crescenti alla biodiversità e migliorano il paesaggio. E’ anche una via reclamata da molti cittadini, consumatori e agricoltori che già sostengono con le Comunità di Sostegno Agricolo (CSA) alcuni piccoli contadini che vedono non solo il dito ma la luna e capiscono che solo un’agricoltura di qualità può reggere alla concorrenza estera che si basa su bassi prezzi, cibo spazzatura e inquinamento.
Anche in Europa qualcuno lo aveva capito. Da questa insostenibilità, agricola prima che ambientale, dell’attuale modello agro-industriale sono nate le timide modifiche apportate dalla stessa Unione Europea negli ultimi 5 anni, che si sono tradotte in un’agricoltura più sostenibile, biologica, a minor impatto ambientale che usa biofertilizzanti, lascia a riposo il 4% del terreno affinché crescano gli impollinatori e la biodiversità, si arresti il degrado dei suoli e si sviluppino quelle funzioni riproduttive dei terreni con un aumento di materia organica o almeno l’arresto della loro degradazione. I terreni a riposo, che da sempre nella biodinamica sono il 10%, vengono “bollati” come improduttivi, ma chi lavora la terra (non coi trattori giganti, spesso nelle mani di contoterzisti) sa che non è vero. La rotazione delle colture è funzionale, come avevano scoperto già i Romani, ad una maggiore produttività dei terreni stessi. Permette di mantenere il suolo in salute, apportando azoto senza dover fornire continuamente antiparassitari e concimi chimici di sintesi. Evitare poi le monocolture consente di avere un’agricoltura a “mosaico” con prati, filari, stagni che favorisce l’avifauna e l’entomofauna; sono proprio gli uccelli (in calo del 36% negli ultimi 20 anni) e gli insetti i migliori antiparassitari.
Il futuro dell’agricoltura richiama il futuro delle auto, dove c’è chi resiste sulla trincea arretrata del motore endotermico, che nei modelli migliori a benzina immette 80 grammi di CO2 rispetto ai 50 previsti nel 2030; un modello che quindi non ha futuro.
… ma le stime sui seggi al prossimo Parlamento Europeo non promettono nulla di buono
Le previsioni del voto di giugno alle elezioni Europee indicano che, nonostante la crescita delle destre, le stesse non riuscirebbero a governare col PPE (max. 358 seggi sui 361 necessari). E’ probabile la riconferma dell’attuale maggioranza (seppure indebolita) con 451 seggi formata dal PPE (che cala da 182 a 173 seggi), dai liberali di Macron (da 108 a 86), Laburisti-Socialisti (da 154 a 131) e Verdi (da 74 a 61). Poi c’è anche la sinistra radicale (anche lei in lieve crescita: da 41 a 44). Il PPE sarà comunque l’ago della bilancia.
L’Europa liberale/moderata/laburista arranca sotto le critiche delle destre-destre, mentre la sinistra appare assimilata e logorata così come il PPE, che da tempo governa. La protesta dei cittadini si rivolge quindi all’opposizione, come avvenuto in Italia con la Meloni. Eppure questa Europa è molto sbilanciata verso gli interessi della destra economica (proprietà privata, profitti, libero mercato, multinazionali, minore tassazione ai ricchi, crescenti disuguaglianze, smantellamento progressivo del Welfare State). Il paradosso è compiuto: gli agricoltori protestano contro il ministro Lollobrigida e la Coldiretti, che hanno promosso per decenni questo modello agricolo fallimentare, ma contemporaneamente…li hanno votati.
In copertina: foto copyright © Eric De Mildt / Greenpeace
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Andrea Gandini
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