ACCORDI
Trent’anni di Wild Wood, l’album più raffinato di Paul Weller
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A volte basta una chitarra e un buon giro di accordi per fare centro. Se poi ti chiami Paul Weller e ci infili pure un andamento cadenzato e quasi ipnotico, il risultato non può che essere un instant classic del pop d’autore britannico.
I 3 minuti e 27 secondi di Wild Wood (1993) hanno ispirato un sacco di connazionali dello stesso Weller (Stereophonics, Oasis e Richard Ashcroft su tutti), dando maggiore respiro alle sonorità perlopiù elettriche dell’allora neonato Britpop. D’altronde, è difficile non subire il fascino di una ballata folk che sembra uscita da Harvest di Neil Young.
Il cantato è a tratti languido e mellifluo, a tratti rauco e dirompente, ed esprime senza troppi giri di parole una riflessione da vecchio saggio che potremmo riassumere così: “prendi una direzione chiara e decisa nella vita, sii deciso, fidati delle tue capacità, continua a provarci e vedrai che troverai un modo per uscire da questa giungla”.
L’album omonimo è uno dei più eleganti e raffinati dell’immenso catalogo di Paul Weller, che all’inizio degli anni ’90 intraprese una carriera solista a metà strada tra il punk-rock degli esordi e il soul-pop degli Style Council. Dentro Wild Wood ci sono almeno altri due brani acustici di rara bellezza (All The Pictures On The Wall e Foot Of The Mountain) che alimentano quell’atmosfera rilassata e ammaliante introdotta dalla suddetta title track. Un’atmosfera che ha lo stesso effetto di una carezza o di un bacio gentile in un pomeriggio soleggiato al parco.
Perché sì, in fin dei conti Wild Wood è un disco dal sapore bucolico: dalla copertina al video, passando per gli arrangiamenti. Sedici tracce che sono in controtendenza con tutto ciò che stava accadendo, o stava per accadere, nell’industria musicale del 1993.
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Paolo Moneti
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