ACCORDI
The Car, il soul cinematografico degli Arctic Monkeys
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Può bastare un disco a sublimare un’intera carriera? È difficile rispondere a una domanda del genere poiché bisogna tener conto dell’artista, del periodo storico, delle aspettative del pubblico e di tanti altri fattori sui quali non abbiamo alcun controllo. Tuttavia, me lo sono chiesto più e più volte dopo aver ascoltato The Car, il settimo disco degli Arctic Monkeys, uscito pochi giorni fa. Il motivo? Sin dalle prime tracce, ho avuto l’impressione di assistere all’ultimo stadio di un’evoluzione lenta e costante.
È come se, dopo l’ammiccante lounge-pop di Tranquility Base Hotel & Casino (2018), la band inglese si fosse spinta ancora un po’ più in là, facendo sue quelle atmosfere noir che il cantante Alex Turner padroneggia sin dalla nascita del progetto Last Shadow Puppets. Non a caso, The Car è un disco che va di pari passo con la voce dello stesso Turner: elegante, suadente e puntuale, con quell’affabile accento di Sheffield e l’interpretazione piaciona da crooner d’altri tempi.
Gli arrangiamenti orchestrali e le linee di synth si affiancano alla sezione ritmica, allontanando ancor di più gli Arctic Monkeys dal loro punto di partenza, cioè lo sferragliante garage-rock della prima metà degli anni 2000. Una scelta, questa, in controtendenza con l’attuale revival chitarristico, e che, a ben guardare, somiglia più a un’urgenza espressiva che a un’attenta selezione stilistica.
Insomma, il soul cinematografico di The Car è un’irresistibile mosca bianca nell’industria musicale del 2022: d’altronde, un album che suona come un romanzo di Raymond Chandler o una commedia di Billy Wilder non può passare inosservato, men che meno se a realizzarlo è una band matura e dalle idee chiare. Una band che col suo settimo disco dà un’ulteriore sterzata alla sua carriera. Ed è una sterzata che, in un modo o nell’altro, ci ricorderemo per un bel po’.
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Paolo Moneti
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