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Ferrara film corto festival

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Duran Duran: la mia band ottimista preferita (di pessimiste ne ho già tante)

Capodanno 1982, un paio d’ore dopo il malaugurato brindisi. Nell’ atmosfera paludosa e senza scampo della pianura padana, cerco di scavallare la notte intruppato senza un motivo dentro un circolo Arci locale. Vago da una saletta all’altra incrociando gente senza volto che tossisce, immersa nel grigio, nel fumo, e nella noia. Ad un certo punto vengo catturato da una piccola televisione che trasmette in loop dei videoclip con colori vividi ambientati in luoghi esotici, ora giungle ora templi ora mercati all’aperto, attraversati da cinque ragazzi vestiti pastello che si muovono come dentro il plot di un Bond movie. Una macchia di colori e suoni, rock ma come ricoperti da una patina cromata che li attutisce e li stilizza, che esce da una scatoletta racchiusa dentro uno scatolone bianco e nero. L’effetto è straniante, come se gli anni ottanta avessero lanciato un fumogeno multicolore dentro gli anni settanta. Lì dentro è tutto così prevedibilmente scuro, compresa la musica, io sono annoiato e depresso come tutti lì dentro, come ogni ultimo dell’anno e come gli altri giorni di quell’anno – tranne quelli appiccicosi e folli di Paolo Rossi. Quelle immagini mi ipnotizzano e, per qualche motivo, hanno il potere di portarmi verso il mattino scacciando l’istinto suicida dell’essere teenagers a san silvestro. Da quel giorno i Duran Duran diventano la mia band ottimista preferita. Di artisti pessimisti preferiti ne avevo già e continuerò ad averne.

Duran Duran è un nome ossimoro per la frustrata stampa musicale italiana, che ne pronostica l’estinzione entro la fine degli anni ottanta. E infatti il 23 luglio 2024 li ho visti al Lucca Summer Festival, e non per un concerto revival, nel senso che non sono mai spariti. Dal 1978 al 2024 hanno continuano a fare nuova musica e nuovi concerti, perdendo e ritrovando se stessi e alcuni membri fondatori lungo la strada. Del resto, alzi la mano uno che non si è mai perso in vita sua, e che frequenta ancora assiduamente quattro amici conosciuti 45 anni fa.

Video killed the radio star

Nonostante abbiano lavorato con David Lynch, loro grande fan; nonostante Lou Reed abbia affermato che la loro versione di Perfect Day sia fatta meglio di come l’ha fatta lui; nonostante le collaborazioni con David Gilmour, Graham Coxon, John Frusciante, Milton Nascimento; nonostante William Burroughs sia comparso in un video degli Arcadia – quel Burroughs il cui racconto gay porn The Wild Boys ispirò la canzone omonima; nonostante Korn e Deftones, stimate metal band, abbiano fatto cover della loro inarrivabile “The Chauffeur”; nonostante tutto questo, in Italia dopo quarant’anni gli chiedono ancora di quella tipa che scrisse “Sposerò Simon Le Bon”. La Duranmania in Italia arrivò in ritardo e ne fu proiettato mediaticamente solo l’aspetto isterico, che prima di loro riguardò anche i Beatles ed Elvis Presley, ma a loro fu perdonato; forse perché gli uni si estinsero, l’altro morì ed entrambi divennero quindi sacri oggetti di culto per la critica, quella che si prende molto su serio. I Duran Duran invece hanno alcune colpe imperdonabili: la prima è quella di essere ancora vivi. La seconda è di piacere molto alle donne, fatto che il critico serio e snob detesta perché è maschio, polveroso e non se lo fila nessuno.  La terza colpa è forse la peggiore: sbattere in faccia a tutti il jet-set way of life, yacht e belle donne mentre altri gruppi cercavano di “cambiare il mondo”- perché gli anni ottanta sono stati fatuità, effimero ma anche impegno sociale, sono stati tutto e il suo contrario, leggere Pier Vittorio Tondelli per credere.

Tanto per cominciare, non era uno yacht (nel senso in cui lo intendiamo noi) ma una barca a vela. Inoltre i membri della band provengono da famiglie piccolo borghesi, i loro primi vestiti li prendono nelle boutique post punk di Birmingham. La moda griffata arriva dopo, quando anche parte di questi sarti diventano celebrità. Quanto al cambiare il mondo: è come dire che Miami Vice è reazionario mentre Starsky e Hutch è progressista, o che James Bond è uno stronzo perché sessista, razzista e reazionario (lui un pochino lo è, in effetti, ma la politically correctness non può rivaleggiare con il fascino di Sean Connery). Quindi: un gruppo che prende il suo nome da un personaggio (Durand Durand) del film Barbarella di Roger Vadim, una science fiction del ’68 ambientata in un lontano futuro in cui la protagonista/viaggiatrice dello spazio si fa un sacco di gente strana, sarebbe reazionario? O piuttosto attinge ad un immaginario che anticipa i temi della liberazione sessuale e della sessualità fluida?

Questi quattro artistoidi da Birmingham (più il cantante, nato a Bushey) hanno il fiuto di percepire in anticipo l’enorme potenziale delle nuove tecnologie – prima coi video e MTV, poi con Internet –  lavorando su un’immagine fancy con meticolosa pianificazione, il che ha oscurato le loro doti di musicisti e soprattutto creatori di gioielli verse/chorus, anche se ha regalato loro una fama irraggiungibile per tutti i coevi. L’immagine, la parte visuale, è stata quindi al contempo la loro delizia e la loro croce. Non è possibile sentire una canzone dei Duran senza “vedere” i Duran, un binomio che in precedenza solo David Bowie aveva esplorato tanto, sicuramente con un taglio più trasgressivo – anche se pure i Duran hanno subito la censura (Girls on Film) o lo stigma del politically correct (Electric Barbarella). Quando penso ad entrambi li vedo più come artisti multimediali che come semplici musicisti.

Sing blue silver

Ma il concerto di Lucca quindi? Da appassionato che cerca di rendere più oggettiva possibile la sua percezione, affermo che Simon Le Bon ha un ottimo terapista vocale: nel 2011 si giocò di brutto alcuni semitoni della gamma, ma poi ha fatto riabilitazione e continua a cantare molto alto (non così alto come su disco, ma molto più alto di qualunque popstar vivente) e becca le note in modo più dritto e meno lezioso di quanto facesse all’apice della fama. La sezione ritmica dei Taylor è precisa ed essenziale, a volte quasi funambolica –  i virtuosismi sono banditi in questo gruppo, chiedere un assolo di batteria a Roger Taylor equivale a fargli venire l’orticaria; tuttavia John Taylor è autore di alcune linee di basso memorabili, cito Rio per tutte; la chitarra elettrica è passata di mano in mano, ma Dom Brown adesso fa la sua figura, e ci mancherebbe visto che ormai la sua permanenza nella band supera quella dell’originario sferzante rocker Andy Taylor e dello zappiano Warren Cuccurullo (del quale rimpiango la eccentrica creatività e la capacità armonica). La macchina elettronica del controller Nick Rhodes ormai funziona da sola: lui è il più visionario programmatore di intelligenza artificiale applicata alla musica (quanto poco, in apparenza, muova le mani sulle tastiere rispetto al tappeto sonoro che produce è una cosa che non finisce di sorprendermi). Iniziare il concerto con Nightboat e proporre The Chauffeur è stato un omaggio all’anima scura del gruppo, altra apparente contraddizione (in realtà diversi darkettoni, liberatisi con l’età dalla vergogna per il ludibrio del branco, amano questo lato della band); ma il momento più emozionante della serata è stata la nuova versione di New Moon on Monday, che per qualche misteriosa ragione ha riportato molti ragazzi di sessant’anni ad avere una pelle d’oca, legata al proprio vissuto personale, che è diventata collettiva oltre le aspettative.

Torno infine all’adolescente del 1982. L’incidenza del look duraniano sulla fluidità del “gender” è stata più massiva (soprattutto sui maschi) rispetto al primo Bowie o ad altri protagonisti estremi dell’en travesti (Sylvester, Boy George), perchè più convenzionale e rassicurante: i Duran non erano muscolosi, indossavano accessori femminili, si truccavano, mettevano le spalline e si cotonavano i capelli, ma a differenza dell’alieno Bowie restavano maschi etero che potevi incontrare per la strada, dopodiché diventarono simboli erotici attaccati a migliaia di muri (anche se da quel momento incontrarli per strada divenne impossibile per un decennio). Questo esercitò un’enorme influenza sui ragazzi timidi (altra contraddizione solo apparente) riassumibile nel concetto “non ho bisogno di esibire il testosterone per piacere alle ragazze”.  L’individualismo veicolato non fu quello (anti) sociale della Thatcher, ma quello del costume e dello stile: non avere timore di esprimere te stesso.

 

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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