1992-2022 Memorie di Tangentopoli (2):
La capitale morale, l’omertà meneghina, etica e impresa
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MILANO “CAPITALE MORALE” DEL PAESE: LA FINE DI UN MITO
Un’altra verità tocca un luogo diventato comune: la Milano “capitale morale” del Paese. Si vantava di questo ruolo, Milano. Polo di riferimento di ogni virtù. Le virtù della Milano produttiva, che lavora, che ha un’etica del lavoro e non solo, che risentiva della cultura calvinista nord e mitteleuropea. Quindi una classe dirigente integra e di qualità. E questo al confronto con una classe politica inconcludente e parassitaria, come parassitario era il sud del Paese rispetto al nord, marcava la sua superiorità morale. Tangentopoli ha rivelato che era una bufala, una gigantesca ipocrisia. Milano aveva le virtù e soprattutto i vizi del Paese e poiché del Paese era la più ricca perché effettivamente la più produttiva, era anche del tutto immaginabile che fosse pure quella più viziosa.
L’altra verità tocca la corruzione. Secondo i luoghi comuni, veniva generalmente focalizzata su Roma, la capitale politica. Sentina di traffici di ogni genere. Di commerci fra politica, amministrazione, business e pure mafia, come abbiamo visto anche dopo. Invece no. La corruzione parte sì da una capitale, ma dalla “capitale morale”, per irradiarsi in tutto il paese. “Capitale corrotta nazione infetta” apriva il primo numero dell’Espresso nel 1955. Allora era Roma. Ma dopo oltre 40 anni, nel 1993, Tangentopoli dice che è Milano. E ancora adesso nulla fa supporre che sia diverso, se non addirittura peggio.
PRIMA E DOPO TANGENTOPOLI. DA UNA TRAGEDIA ALL’ALTRA. L’ARRIVO DI BERLUSCONI
Infatti un’altra verità scomoda, per molti indigesta, è quella che Tangentopoli ha partorito il berlusconismo. E il paradosso è che con l’arrivo del milanesissimo Berlusconi, la corruzione si moltiplica. Con l’istinto del vampiro e l’avidità dello sciacallo, Berlusconi si butta sulle macerie di questa tragedia nazionale, per moltiplicare le sue fortune personali. E così ad una tragedia nazionale ne seguirà un’altra. Non si capisce davvero come si possa passare, in pochi giorni, dalle manifestazioni di piazza con la folla urlante che insulta e lancia monetine a Craxi e, subito dopo, dare una valanga di voti a Berlusconi che, del leader socialista, è sempre stato un sodale organico degli interessi comuni. E’ un mistero antropologico. Non basta, a spiegarlo, il noto anatema di Trilussa sul “popolo coglione risparmiato dal cannone”. Quel popolo che finisce per credere sempre, ingenuamente, alle sirene del potere. E così la clamorosa vittoria dell’onestà e della pulizia di Tangentopoli, si tramuta in una ancora più clamorosa sconfitta.
E dire che dovremmo avere imparato come la corruzione sia elemento costitutivo del potere, e ci voglia una forte statura e tempra morale per resistere alle sue lusinghe, e ad una concezione malandrina del compromesso.
Era già ben noto invece che Berlusconi non era proprio un uomo di quella tempra. Come del resto ha ampiamente confermato nel lungo inverno del suo potere.
LA MAFIOSITA’ “NORDICA”: L’OMERTA’ DELL’ALTA BORGHESIA MENEGHINA
Ma un’altra sconfortante verità discende dalla corruzione ed emerge come un fiume carsico: l’omertà. Anche su questo, i luoghi comuni si sprecano.
Il primo è l’idea che l’omertà sia un marchio di infamia proprio ed esclusivo della sicilianità. Invece, anche su questo, Tangentopoli spazza la coltre di ipocrisia che copriva il perbenismo borghese meneghino, di tutti quegli stimatissimi professionisti dei circoli esclusivi, del Caffè Cova e del Savini, quello della mondanità scaligera, ed oltre. Un mondo che io stesso ho frequentato, spesso per obblighi istituzionali, mai sentendomi però di quella “razza”, ma guardandoli con un certo disgusto per quanto se la tiravano, ostentando un falso perbenismo. Stavo anch’io “in quel mondo”, ma sinceramente non mi sono mai sentito “di quel mondo” che, invece, osservavo con curiosità antropologica. Ebbene tutta questa gente, accademici, architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, manager, consulenti di grido e perfino portaborse, erano perfettamente a conoscenza delle tangenti. Non solo. Ne erano, spesso, i protagonisti, “gli architetti” e organizzatori del sistema criminale. Conoscevano quindi come e quanto ci si spartiva fra imprese, gruppi di interessi, lobbisti e, soprattutto, partiti e correnti di partito. Mai però una denuncia. Mai un rifiuto che si conosca, ma una sorta di vasta mafiosità diffusa.
Negli anni 80 la Camera di commercio è stata il maggiore operatore edilizio di Milano, avendo rimesso in ordine tutto il suo cospicuo patrimonio immobiliare di pregio, lasciato deperire troppo a lungo, oltre a fare acquisti di nuove sedi periferiche. Però, quando nel ristrutturare il Palazzo della Borsa, per vie traverse mi venne offerta una tangente, con Bassetti andammo dal Procuratore generale Beria d’Argentine a fare un esposto denuncia. Si sparse la voce e non accadde più.
Non mi risultano episodi analoghi, anche se non li escludo. Di certo però né i singoli professionisti, nè le loro potenti corporazioni, hanno mai fiatato su questi spinosi argomenti. Era, oltrechè l’interesse e il rischio, l’ipocrita virtù professionale della discrezione e della riservatezza…. Sta di fatto che la vantata superiorità morale dei milanesi ha subito un duro colpo e una clamorosa smentita. Un’altra opera di verità grazie a Tangentopoli era così compiuta.
ETICA E IMPRESA, UN DIBATTITO SURREALE
C’è un capitolo che mi sta particolarmente a cuore, a proposito di verità. Negli anni subito prima di tangentopoli, si era sviluppato un largo e intenso dibattito su etica e impresa, montato soprattutto dalla stampa asservita al potere economico che la possedeva. Un dibattito fatto di continui convegni con i massimi esponenti della cultura, dell’impresa e anche della Chiesa. Il messaggio di sottofondo, che a me ha suonato sempre fasullo, era quello di dire che, sì, la politica era corrotta, ma che in compenso l’impresa era sana. E meno male! Alla faccia delle “cupole” ristrette di imprese che, con la complicità dei politici e dei burocrati corrotti, si spartivano gare e appalti.
Che fosse una sorta di excusatio non petita…? Forse. Io stesso, però, intrigato da questo dibattito, ho cercato di inserirmi con una iniziativa istituzionale originale: creare un comitato etico internazionale e interculturale di alta autorevolezza, presieduto dal cardinale Martini, che dettasse alcune regole rigorose e trasparenti di etica dell’operare economico, e costituisse innanzitutto un vincolo morale, ma anche una tavola di principi su cui valutare il tasso di eticità del concreto operare delle imprese. Io avevo scritto anche una prima bozza di questi principi. Convinsi Bassetti di andare insieme a proporlo a Martini. E andammo quindi a trovare il Cardinale che si mostrò molto interessato alla cosa. Subito dopo però scoppiò tangentopoli e tutto andò evidentemente a monte.
Era chiaro che etica e impresa, se non erano proprio antinomici, mostravano però una non facile compatibilità a convivere.
I MEDIA E GLI ABUSI
Non si può chiudere questo excursus sulle verità rivelate del fenomeno di Tangentopoli, senza parlare anche di un’ultima verità. Quella che riguarda i media. Abbiamo già accennato al rimbombo mediatico che il fenomeno di Tangentopoli ha avuto.
Che per certi aspetti questo fosse inevitabile, è certamente vero. Per altri versi, però, soprattutto con le forzature morbose e scandalistiche, non è assolutamente vero che non si potesse avere più moderazione e rispetto delle persone.
E’ evidente che i fatti e la rilevanza dei protagonisti costituivano un boccone ghiotto per tutti i media. In questa occasione si ripetè, però, esasperato per la raffica continua dei provvedimenti giudiziari, il cattivo costume, che pure si denuncia spesso, della disinvolta gestione mediatica di questi provvedimenti. La semplice apertura di una indagine, o addirittura un semplice avviso di garanzia, che dovrebbe essere sempre a garanzia dell’indagato, venivano lanciati da subito come notitia criminis, e quindi motivo di scandalistiche inchieste, o di un morboso scandaglio nei più riservati anfratti della privacy. Quanto questo fosse anche funzionale al lavoro dei magistrati è difficile dirlo. Di sicuro la fuoriuscita o anticipazione di notizie, anche minori per le inchieste, ma rilevanti per i media, venivano normalmente dal palazzo di giustizia, e contribuirono ad allestire uno spettacolo incivile: una crudele mattanza per nulla rispettosa della dignità delle persone. Il massacro mediatico che ne derivò non fu causa secondaria di tante tragedie, che in quel contesto si consumarono.
Ma anche questo, vista la storia successiva, soprattutto con l’arrivo dei Cinquestelle, non sembra aver insegnato nulla per fare del nostro Paese un Paese migliore. Come vorrebbe chi davvero lo ama.
[per leggere la prima puntata della Memoria di Tangentopoli clicca Qui]
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Benito Boschetto
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