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LA PREMESSA DEI NUMERI

Tra il 1992 e il 1994 furono emanati 25.400 avvisi di garanzia, eseguiti 4.525 arresti, con 1.069 politici coinvolti soltanto dal pool di Milano, per un totale di 1.300 condanne o patteggiamenti definitivi, 430 assoluzioni e 31 suicidi” (da Italica di Giacomo Papi).

Queste, in estrema sintesi, le dimensioni giudiziarie di Tangentopoli. Facile comprendere subito le dimensioni, la complessità e pervasività della vicenda. Su di essa, all’epoca, è stato scritto di tutto e di più. Una montagna di documenti, di ricerche, di analisi, di pubblicazioni. La prima fu un instant book che promossi, nel 1992, io stesso con Giulio Sapelli che ne fu l’autore, e che titolammo “Cleptocrazia”.

Eviterò quindi di tornare sulle note di cronaca di allora, per limitarmi ad una testimonianza interpretativa, con qualche inevitabile riferimento di costume e personale, di cui mi scuso. Una libera interpretazione su ciò che accadde trent’ anni fa. Una vicenda di grande impatto razionale ed emotivo, che ho vissuto come osservatore dal vertice di una importante istituzione, rimasta completamente fuori dal trambusto generale, dal quale in pochi si sono realmente salvati. Un tentativo, questo, che, rispondendo ad una sollecitazione di amici, ho pensato valesse la pena di fare, se non altro a beneficio di qualcuno di quei ragazzi che se, oggi, sentono parlare di “mani pulite” pensa ….all’amuchina.

Dirigevo allora, da dieci anni, con Piero Bassetti, la Camera di Commercio di Milano, diventata in quegli anni un primario punto di riferimento politico, culturale e istituzionale, non solo milanese, ma nazionale e internazionale. E come “pubblica amministrazione delle imprese” si trovava, in effetti, all’incrocio fra le due dimensioni reali più colpite da quello tsunami: la pubblica amministrazione (dalla politica alla burocrazia), e il sistema delle imprese. Era quindi un osservatorio privilegiato, anche perché avendo realizzato un processo di modernizzazione politica, organizzativa, tecnologica, che le valse il premio nazionale per l’innovazione nella PA, su forte sollecitazione del prefetto Caruso, la Camera prestava aiuto ed assistenza ad altre amministrazioni in difficoltà. In particolare gli uffici giudiziari, ma anche il provveditorato agli studi, l’Inps ed altri, generando anche la legge sui comitati metropolitani, che rendevano organica e permanente la collaborazione fra le amministrazioni locali. Una visibilità vasta, quindi, nel mondo della pubblica amministrazione, e un rapporto organico con la business community, erano le due peculiarità che caratterizzavano la mia realtà operativa e permettevano uno sguardo speciale su quanto stava accadendo. Mi limiterò quindi a formulare qualche giudizio personale, che mi sono formato dall’ esperienza vissuta  nel clangore di quella triste storia, che osservavo da vicino con preoccupazione morale e civica.

IL CLIMA IN ITALIA, IL POOL E UNA CLASSE DIRIGENTE ASSEDIATA

Per dare un’idea del clima che si viveva nell’establishment politico, burocratico ed economico, devo ricordare che, in quei giorni, io ho dormito sempre nel mio letto. Anche nei momenti più drammatici della vicenda, quando sembrava che nessuno, ma proprio nessuno, si sarebbe salvato. Un ricordo banale, ma non tanto. Lo dico infatti non per vanto, ma perché in realtà quasi tutti i vertici di aziende, pubbliche amministrazioni e politici di ogni livello, preferivano dileguarsi di giorno e soprattutto di notte, piuttosto che rischiare un brutto incontro con le forze dell’ordine, su mandato dei magistrati del pool. E così quasi nessuno dormiva nel suo letto. Va detto che i magistrati del pool amavano gestire quella vicenda con una strategia che prevedeva anche il terrorismo psicologico e l’intimidazione. Erano forti. Si sentivano forti. Non solo per i poteri che avevano per legge. Ma perché sentivano il grande sostegno popolare del Paese. Forti anche delle prove di reato che andavano scoprendo sempre di più. Si sentivano forti, infine, per la loro intelligenza. Non c’è dubbio che possedessero un tasso di intelligenza collettiva e di capacità in misura assolutamente rilevante. Avevano la forza, e il piglio, dei giustizieri entrati in un mondo di criminali impuniti. Osannati come supereroi, loro che già come magistrati si sentono una casta sacerdotale. Sanno infatti, è la mia teoria, di essere i soli ad avere, come il Padreterno, il potere di vita e di morte sulle persone. Un potere che non ha eguali, almeno in democrazia.

Li ho conosciuti tutti, i magistrati del pool. Li ho frequentati in varia misura e per vari motivi. Con uno in particolare, ho continuato un rapporto di amicizia e frequentazione. Ma va detto subito che anche questi cavalieri dell’apocalisse non erano senza macchia. C’era chi era spinto da un fanatismo ideologico e chi, a questo, associava anche una disinvoltura che faceva strame di fondamentali e intangibili diritti. Soprattutto l’ex “zanza”, come chiamavano Di Pietro quando era in polizia, ci andava giù pesante. Interrogatori al limite della tortura psicologica, con minacce per estorcere confessioni che andavano dal mettere a rischio gli interessi patrimoniali, alla restrizione “in cella con un marocchino…”.

Ho conosciuto personalmente un medio imprenditore che, sotto gli effetti di queste minacce, ha finito per accusarsi di fatti non commessi, e per i quali ha perfino patteggiato pur di uscirne.

Si può raccontare molto di più sul clima di quei giorni, durante i quali non ci fu solo eroismo da una parte e delinquenti dall’altra. Le 430 assoluzioni raccontano anch’esse storie drammatiche.

Già le prime revisioni critiche hanno portato a valutazioni più equilibrate, ma è ancora presto per arrivare ad una compiuta verità storica.

Ho detto delle mie conoscenze e frequentazioni dei magistrati del pool. Ma ho conosciuto e frequentato anche imputati eccellenti come Cusani, il più eccellente di tutti per importanza processuale. Con lui, qualche anno dopo, ho collaborato in un progetto alla Caritas di don Colmegna. E’ una intelligenza geniale, come non pochi altri protagonisti di questa storia erano persone di alto livello intellettuale e manageriale. C’erano sì anche, e tanti, miserabili, in questo sottobosco criminale, ma anche gente non priva di genialità.


LE MACERIE DEL CROLLO

Ho voluto parlare innanzitutto del clima, anche con qualche piccolo riferimento fattuale, perché è quel clima che ci fa subito entrare nel contesto della drammaturgia di quella vicenda. Le macerie sono state enormi. Quelle umane intanto. Basti pensare ai morti e ai tanti guasti familiari. Quelle economiche. Con aziende finite in grandi difficoltà ed enormi danni. E quelle reputazionali, per un paese che non si è mai liberato dallo stigma della mafia e della mafiosità. Poi abbiamo visto che le tangenti pagate dalle grandi aziende italiane, nel business internazionale, non erano altro che un costume consolidato per tutti i paesi che coltivavano gli stessi interessi con gli stessi interlocutori. Ma intanto un tourbillon come Tangentopoli accadeva solo in Italia. E dall’estero si guardava a questa vicenda con grande interesse e curiosità.

Io, che svolgevo allora una intensa attività internazionale e avevo amicizie consolidate ovunque, a cominciare da tutta Europa, non solo posso confermarlo, ma aggiungo che c’era molta curiosità di vedere come sarebbe andata a finire. All’italiana, per esempio? Si sussurrava ironicamente…

E invece crollò davvero un sistema di potere che accomunava politica ed economia, e su cui campavano milioni di persone a danno dello Stato, se pensiamo che la Fondazione Einaudi aveva stimato che le opere pubbliche in Italia costavano quattro volte di più della media europea, e che la corruzione valeva diecimila miliardi, pari al 15% del deficit complessivo in carico al Paese.

Piercamillo Davigo sostiene la tesi che il sistema era destinato comunque a crollare per insostenibilità economica. La crescente avida cupidigia dei concussori, infatti, aveva raggiunto livelli che il sistema economico non poteva più sopportare e quindi il crollo di tutto questo castello era comunque inevitabile. Ma il crollo fu violento, giorno dopo giorno, per due lunghi anni. Venne decimata un’intera classe dirigente. Caddero teste di importanti uomini di potere della politica e dell’economia. Il Savini, il ristorante di maggior prestigio di Milano, dove ogni giorno, a colazione, c’era il pieno per i vip che vi si ritrovavano, d’un colpo si vuotò. Io e Bassetti che, lì, ci portavamo spesso i nostri ospiti istituzionali, improvvisamente ci trovammo tra i pochi avventori rimasti. Erano spariti quasi tutti.

 

UNA LETTURA NON CONVENZIONALE. I NUMERI, IL DELIRIO DEL POTERE, L’IMPUNITA’ – IL TANGENTISTA ESTETA

La chiave che, a mio parere, ci consente di capire subito, e a fondo, il cuore del fenomeno di cui parliamo è quella di ricordare qualche verità.

La prima è quella che viene fuori dai numeri, già citati, i quali ci dicono che fu veramente una santabarbara! Che segnò uno spartiacque fra il prima e il dopo.

Avremmo potuto dire, anche ai nostri amici stranieri alla luce di quella “spazzolata”, che il paese aveva, sì, una corruzione diffusa, ma che la vicenda stava dimostrando che aveva anche gli anticorpi. E ciò che stava vivendo era una vera e propria tragica, e violenta, rivoluzione catartica, necessaria per diventare un paese migliore. Avremmo potuto dirlo, ma, come vedremo, non sarebbe stato vero. Purtroppo.

Abbiamo visto così che la prima verità è data dalle dimensioni impressionanti dei numeri.  Ma dietro il dato stupefacente di ogni numero c’è un mondo di persone, di famiglie, di relazioni umane e di potere, imperi economici, partiti storici. Non a caso con Tangentopoli crolla e finisce la prima repubblica e si chiude un periodo storico. Non si sa, in quel momento, cosa verrà dopo. Ma proprio le dimensioni criminali della vicenda ci inducono a rilevare una ulteriore importante verità. Perché un così largo e profondo fenomeno corruttivo nel Paese? La risposta ce la dà un alto dirigente socialista capo di un ente locale milanese. Questo imputato eccellente confessa candidamente che tutti loro vivevano in una sorta di bolla psicologica, nella quale al delirio di onnipotenza si associava anche una granitica convinzione di impunità. Io aggiungerei che c’era anche una speciale attitudine a delinquere…Insomma potevano fare tutto quello che volevano, senza rischio alcuno. Del resto negli atti giudiziari c’è la testimonianza di un concusso, capo di una grande azienda pubblica, nella quale si riferisce che, lamentandosi con Craxi per dover pagare le tangenti, ebbe come tutta risposta un duro rimprovero nel quale si diceva che, invece, lui “doveva sentire il privilegio di essere ammesso a dare soldi al Psi. Privilegio che doveva essere pagato anche adeguatamente”. Mica spiccioli eh? D’altro canto non è con gli spiccioli che si possono comprare costosissime opere d’arte. Vale così riferire una curiosità intorno al nostro imputato eccellente milanese, un tangentista esteta, dai gusti particolarmente raffinati. Teneva infatti appeso in camera un autentico Raffaello, acquistato appunto con le tangenti. Vuoi mettere poter dormire con a fianco una Madonna di Raffaello invece che con una crosta di Padre Pio? L’emozione vale anche il rischio di qualche anno di galera.

Ebbene con il casino che è scoppiato, questi privilegiati truffatori dei beni pubblici, vera razza padrona, si risvegliano improvvisamente in un altro mondo. E finalmente capiscono che il privilegio dell’impunità è finito. Questo episodio ci dice però anche un’altra cosa interessante. Che le tangenti andavano sì ai partiti, ma in molti casi soprattutto nelle tasche dei singoli. Quando Benvenuto, dopo lo sconquasso di Tangentopoli, assunse la segreteria del PSI, trovò le casse vuote nonostante il fiume di tangenti che lo avevano preceduto: “i frati sono ricchi ma il convento è povero” fu l’amara constatazione.

Abbiamo visto come ragionava e si comportava questa razza padrona. Fino a quando Di Pietro, che aveva una passione per l’informatica, trafficando su qualche caso sospetto nella pubblica amministrazione, scoprì, con un appropriato software, che i casi su cui indagava non erano casi singoli, ma erano legati ad un vero e proprio sistema che rispondeva a criteri, regole e soggetti vari (enti, partiti, politici, dirigenti..) sistematicamente ricorrenti. Ricordate il giallo intorno alla lista dei 500 scoperta dai magistrati nel pc di Di Meco? Ho visto coi miei occhi il panico quando la notizia cadde nel pieno di una cena a cui partecipavo con un gruppo di questi personaggi, molti dei quali temevano ci fosse anche il proprio nome. Da qui le mostruose dimensioni assunte dall’indagine e la nascita di un nuovo reato: la corruzione ambientale.

[per leggere la seconda parte della Memoria di Tangentopoli clicca Qui]

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Benito Boschetto

Aretino di nascita, fiorentino di formazione, milanese di adozione. allievo di padre Ernesto Balducci. Top manager in aziende pubbliche e private (Camere di Commercio, Borsa Spa, Società immobiliari, organizzazioni no profit). Analista politico. Socio fondatore della Associazione ONLUS Macondo Ha sviluppato progetti di cooperazione e solidarietà a favore del popolo palestinese.

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