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Perché ha vinto Alan Fabbri

Mi sembra importante ragionare in modo approfondito sul risultato delle recenti elezioni comunali a Ferrara. Anticipo ciò che argomenterò anche dopo, e cioè che è necessario svolgere una forte riflessione sul loro esito, cosa che non è stato fatto dopo la sconfitta del centro-sinistra nel 2019 e che si è rilevato essere un grave errore, che si è pagato in questi anni e anche nel risultato odierno. A partire dal fatto che dico volutamente in modo secco e schematico: se nel 2019 le elezioni sono state perse in primo luogo dal centro-sinistra, oggi le elezioni le ha vinte Fabbri.

I numeri di una grande sconfitta

Ciò è evidente non solo per la sua vittoria al primo turno, ma, ancor più, per la percentuale del 57,88% dei voti e il numero assoluto di 40.921 voti, che segnano un incremento, rispetto al 1° turno delle elezioni del 2019, di circa l’8% e di più di 3000 voti raccolti dall’insieme della destra.
E questo a fronte di un calo dell’affluenza al voto, che è stata di 72.288 persone, pari al 67,6%, rispetto a 77.534 votanti e al 71,45% del 2019, dunque rispettivamente di – 5246 partecipanti al voto e di – 3,85 in termini percentuali.

Simmetricamente, la coalizione raccolta attorno ad Anselmo (che questa volta comprendeva anche il M5S) ha registrato un calo di quasi 4000 voti, e del 2,44%, rispetto alla somma dei candidati Modonesi e Mantovani del 2019.

Complessivamente, tutto lo schieramento di “sinistra”, conteggiando tutte le componenti, da quelle più moderate a quelle più radicali e anche il M5S, dal 2019 al 2024, arretra di più di 8000 voti e di circa 8 punti percentuali ( parliamo, in termini di valori assoluti, di più del 20% dei voti, scesi da 37908 a 29783, non proprio poca cosa!).

Che si tratti di una vittoria della destra e, in specifico, di Fabbri, poi, viene evidenziato da 2 indizi forti: il primo è il raffronto, per quanto non del tutto proprio, con l’andamento delle elezioni europee che si sono tenute negli stessi giorni. In quest’occasione, pur con una partecipazione al voto proprio di poco superiore a quella delle elezioni comunali ( 68,99% rispetto al 67,6%), il complesso di tutte le componenti di “sinistra”, compreso il M5S, è ben più avanti del risultato alle elezioni comunali, sia in valori assoluti che in percentuali ( alle elezioni europee rispettivamente 36161 voti pari al 52,17 contro 29783 e il 42,13% a quelle comunali, più di 6000 voti di differenza); mentre l’insieme della destra raccoglie 33161 voti e il 47,83, con Fratelli d’Italia che, da solo, arriva a 21656 voti, pari al 31,24% ( appena sotto al PD che ottiene 21820 voti pari al 31,48%).
Un dato, quest’ultimo di FdI, che rappresenta il secondo elemento che mi ha fatto parlare sopra di vittoria di Fabbri: infatti, alle elezioni comunali il consenso a Fratelli d’Italia si ferma a 7569 voti ( 11,05%), mentre la lista Alan Fabbri sindaco vola a 20934 voti, pari al 30,56%, indicando che siamo in presenza di una forte affermazione personale.

Alle comunali la “sinistra” cede voti all’astensione e a Fabbri

Già questi dati aggregati sono abbastanza eloquenti per farci dire che tutto lo schieramento di “sinistra”, compreso il M5S, cede voti all’astensione, ma c’è anche un travaso di voti verso Fabbri; viceversa, l’avanzata di Fabbri deriva sia da un recupero nel bacino dell’astensionismo, sia da un passaggio a suo favore dallo schieramento avverso. Non è facile avanzare una stima più precisa di questi flussi con i dati a nostra disposizione, ma non c’è dubbio che la tendenza sia quella delineata.

Questa valutazione sui flussi del voto è ulteriormente corroborata dall’analisi dei risultati disaggregati per le 160 sezioni in cui si è votato.
Qui emerge in modo chiaro il risultato positivo della destra, in termini diffusi: infatti, Fabbri è sotto il 50% dei voti solo in 19 sezioni ( l’11,9% sul totale), mentre è sopra il suo consenso medio del 57,88% in 52 seggi ( il 32,5% sul totale), addirittura sopra il 60% in 51 seggi, incrementando peraltro il suo vantaggio nelle frazioni. Fabbri arretra, rispetto al 2019, solo in 2 sezioni in termini percentuali e in 13 in voti in valore assoluto.

E questo succede dopo il risultato negativo già visto nel 2019. Ora, se non è così semplice trarre conclusioni dirimenti nel raffronto tra i risultati alle elezioni comunali del 2019 rispetto a quelli del 2014, almeno in parte “drogati”, in quest’ultima occasione, dalla forte crescita “congiunturale” del PD di Renzi, comunque non si può notare che, a fronte di una sostanzialità stabilità nell’affluenza al voto, l’insieme dei sindaci collocabili nel “campo largo” della sinistra e del centrosinistra (senza il M5S) perde, dal 2014 al 2019, più di 11.000 voti, il candidato del M5S arretra di più di 6000 voti, che si spostano in tutti e due i casi, più che presumibilmente, sia verso l’astensione che verso la destra.

Siamo dunque in presenza di un dato che ha una sua continuità temporale importante, che non può essere considerato episodico. E che non può essere messo tra parentesi, con la constatazione consolatoria che il PD nel 2024 conferma, in termini di valori assoluti, più o meno il numero di 15.000 voti del 2019, visto che, da una parte, lo stesso PD, negli anni che vanno dal 2004 al 2014, si attestava sempre a non meno di 30.000, così come non è possibile ignorare che il M5S sta andando verso la sua irrilevanza, passando da più di 12000 voti del 2014 ai poco meno dei 2000 di oggi.

Non fare come dopo le elezio9ni del 2019

Certamente il voto, negli ultimi 15 anni, ha visto un’oscillazione e una fluidità notevole, che, certamente, potrà ripresentarsi. Però, tutto quanto sopra riportato mi fa dire che una riflessione vera, che riguarda tutta la sua sinistra, nelle sue varie componenti ed espressioni sia politiche che sociali, non è più rimandabile.

Non si può ripetere l’errore del dopo elezioni del 2019, quando questa mancò del tutto e venne, più o meno esplicitamente, fatta avanzare una lettura per cui il problema era stato quello della debolezza della figura del candidato sindaco di allora. Non mi piace farlo solitamente, ma questa volta mi tocca autocitarmi rispetto a quanto da me scritto all’indomani del risultato elettorale del 2019 sulle pagine di Periscopio, perché, ahimè, prefigurava quello che poi si è verificato.
Scrivevo nel
giugno 2019 che è ormai diventato un ritornello quello di individuare la responsabilità primaria nell’opzione di continuità politica e programmatica rappresentata dalla scelta di aver candidato a sindaco Aldo Modonesi e nell’atteggiamento di “arroccamento” del Pd locale…. Ritengo però quest’analisi un po’ troppo sommaria, con il rischio che essa finisca persino quasi auto assolutoria per troppi. Intendo dire che, forzando solo un poco questo ragionamento, si potrebbe arrivare alla conclusione che, se si fosse avanzata la proposta di un candidato “civico” sostenuto dal Pd, ciò sarebbe stato da solo in grado di produrre un altro risultato …… In realtà, a me pare che la scelta di continuità operata dal Pd ferrarese anche in quest’ultima vicenda elettorale non sia altro che la “punta di un iceberg” di questioni ben più profonde e che datano da non poco tempo”.
Non ho molto da cambiare rispetto a quelle considerazioni, guardando alla situazione di allora, ma, con gli occhi dei risultati delle elezioni comunali del 2024, va necessariamente aggiunto che occorre, in primo luogo, provare a dare una risposta sul perché Fabbri ha vinto con un consenso così significativo.

Certamente, la vittoria di Fabbri si inscrive in un quadro più generale, di una società che si spoliticizza, di una sua “americanizzazione”, che alimenta, contemporaneamente, astensionismo e personalizzazione del consenso. Ma, anche qui a Ferrara, è un interrogativo che non si può saltare a piè pari, né penso che si possano banalizzare le risposte, dicendo, per esempio, semplicemente che la destra è riuscita a comunicare bene la proprio narrazione e/o che su questo ha prodotto un forte investimento o, peggio ancora, a “colpevolizzare” le persone, perché incapaci di capire o facilmente manipolabili.
Intendiamoci bene: in termini generali, a me pare che nella società sono cresciuti fenomeni di ripiegamento, a volte anche di tipo rancoroso, e, in ogni caso, di rottura della solidarietà, dei legami sociali e di crescita dell’individualismo. Ma ciò a sua volta richiede di capire perché si sia determinata questa situazione (e il discorso sarebbe lungo) e non può essere invocato come giustificazione per non interrogarsi seriamente.

La tesi, magari un po’ provocatoriamente, che mi sento di avanzare è che, in realtà, si è costruita una saldatura tra scelte e loro narrazione, molte volte di tipo propagandistico, portate avanti dall’Amministrazione di destra e ”senso comune” di una parte significativa della popolazione ferrarese. Se si guarda, infatti, alle scelte compiute in questi ultimi 5 anni, penso possiamo vedere come ci siamo trovati di fronte ad un impasto tra “normalità” dell’azione amministrativa, galleggiando sull’esistente e con, in più il fatto di non essere in una situazione di penuria di risorse, grazie in particolare ai fondi del PNRR, e regressione sul piano culturale e dei diritti (vedi, solo per esemplificare, la discriminazione per i non residenti per l’assegnazione delle case popolari) che, però, non sempre è patrimonio della maggioranza dei cittadini e, anzi, rischia di alimentarsi nella contrapposizione artificiosa tra “ultimi” e “penultimi”.
Il tutto, poi, condito da un’efficace propaganda sulla “Ferrara che rinasce”, sulla messa in campo di eventi e realizzazioni, più o meno grandi, tesi ad evidenziare che, comunque, la città non era ferma, ma, anzi, si era messa nuovamente in movimento.

Non basta avere la consapevolezza e dire che tutto ciò non è in grado di delineare alcun futuro e prospettiva per gli anni a venire per riprendere il consenso perduto, se non si è in grado di proporre un’idea alternativa delle scelte di fondo da compiere e operare una rottura di continuità anche con le politiche che il centro sinistra ha portato avanti negli anni in cui ha governato.

Peggio ancora se poi, come per buona parte dell’azione dell’opposizione negli anni passati e, ancor più, nella campagna elettorale, da parte in specifico della coalizione raggruppata attorno al candidato Anselmo, si è privilegiato un messaggio in gran parte incentrato sugli errori e le manchevolezze dell’Amministrazione, a partire da fenomeni reali di mancanza di rispetto delle regole istituzionali, cose sacrosante ma che, molto probabilmente, non hanno incrociato il sentire diffuso, anzi, per certi versi, hanno contribuito a rendere più forte l’idea che lo scontro con la destra si riducesse ad una semplice rivincita in nome del passato.
Solo la lista La Comune di Ferrara ha provato a calcare un terreno diverso, quello appunto di presentare un’idea alternativa di città e del suo futuro, ma il poco tempo e risorse a sua disposizione non hanno certo consentito di farlo emergere come quello che connotava l’opzione di candidarsi a sostituirsi all’Amministrazione uscente.

Da qui, però, secondo me, occorre ripartire. Con uno sguardo largo, che chiami tutti, soggetti sociali e politici che si ritrovano in quest’orizzonte alternativo, con la loro autonomia, a lavorare su alcuni progetti alternativi ( l’idea della “città decarbonizzata”, il ruolo essenziale della democrazia partecipativa, la difesa e la promozione dei beni comuni e di un nuovo intervento pubblico, il punto di vista di una città guardata dagli occhi delle donne e altro ancora). Sapendo che il lavoro di “ricostruzione”, perché di questo si tratta, è di medio-lungo periodo, nel momento in cui si tratta sia di promuovere un pensiero e un’iniziativa capace di incidere sul “senso comune” e, contemporaneamente, di mettere in campo una nuova progettualità. Facendola soprattutto vivere tra le persone reali e comunicandola in modo diffuso ed efficace.
Non sono cose di poco conto, e occorrerà tornare a parlarne in modo più puntuale e approfondito.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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