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Il ministro degli Esteri Di Maio, con la sobrietà che gli è propria, si intesta il merito del ritiro del contingente militare Nato (compreso quello italiano) dall’Afghanistan.
Lo stesso ministro degli Esteri, assieme al Governo di cui fa parte, non riesce a far uscire dal carcere egiziano non un contingente, ma un singolo studente trapiantato a Bologna, Patrick Zaki, detenuto da un anno e due mesi a forza di detenzioni preventive, per un’accusa priva di qualunque fondamento.
Mario Draghi, alla domanda su come il Governo si atteggi di fronte alla richiesta di concedere la cittadinanza onoraria a Zaki, se la cava pilatesco dicendo che è una “iniziativa parlamentare”.

Mario Draghi è lo stesso che, la settimana scorsa, in visita al nuovo premier libico, ha lodato il contributo della Libia nei “salvataggi in mare”. Cito cosa ha scritto Paolo Pezzati di Oxfam (una delle più famose Ong) a proposito di questi ‘salvataggi’: “6.700 persone sono morte in mare e almeno 55.000 sono state intercettate e riportate in Libia dalla cosiddetta Guardia Costiera, di cui quasi 12.000 nel 2020 e la cifra record di oltre 5.900 da inizio 2021. Uomini, donne e bambini finiti in quei centri di detenzione (e non di “accoglienza”, come li chiama l’ex ministro Marco Minniti) dove abusi e torture da anni sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale”.

Mario Draghi, infine, è lo stesso che, ripetutamente richiesto di dire la sua sullo sgarbo che il premier turco Erdogan ha fatto a Ursula Von Der Leyen, facendola prima stare in piedi, poi seduta in posizione defilata e a debita distanza dai due statisti uomini (tra cui il presidente del Consiglio Europeo Michel), si è lasciato sfuggire che Erdogan è un dittatore, ma che bisogna trattarci perchè “ne abbiamo bisogno”.

Nessuno è così idealista, o stupido, da pensare che Mario Draghi debba proclamare ai quattro venti che in Libia e in Egitto i diritti umani sono calpestati dalle istituzioni al potere così, solo per il gusto di farsi dire “bravo” per un filotto di dichiarazioni politicamente corrette, dopo quella sulla Turchia.
Si sa che la diplomazia agisce, non parla. Infatti non si pretenderebbe che parlasse come se fosse il portavoce di Amnesty International: Amnesty può utilizzare solo l’arma della denuncia e della pressione mediatica per perseguire i propri obiettivi, uno stato sovrano invece (sedicente ottava potenza industriale del mondo) dovrebbe avere altri mezzi per persuadere i “dittatori con cui bisogna trattare”  che, appunto, è il caso di trattare non solo su quante armi gli vendiamo, ai dittatori, ma anche su come devono rispettare i diritti di libera opinione senza incarcerare o ammazzare i presunti “oppositori”, che spesso sono ricercatori e studenti formatisi alle nostre università, come Giulio Regeni e Patrick Zaki.

“Bisogna trovare l’equilibrio giusto”, afferma Draghi. Quale sarebbe l’equilibrio giusto da raggiungere nel caso di Zaki, nel caso Regeni, nel caso Libia? Vendere all’Egitto un’altra nave da guerra, la Fremm, frutto della coproduzione Fincantieri e Leonardo, ex Finmeccanica? (a proposito, sapete cosa fa adesso Marco Minniti, ex ministro degli Interni dei decreti sicurezza che lo hanno fatto lodare da Salvini e Meloni? Il responsabile della fondazione che fa capo a Leonardo). Quale sarebbe l’equilibrio giusto con la Libia? in nome della ripresa di grandi contratti di politica energetica, per la costruzione di grandi infrastrutture, chiamare le torture “salvataggi”? Far intercettare, come ha fatto la procura di Trapani, i giornalisti che facevano inchieste sul traffico di esseri umani in Libia (e non solo, si badi, i colloqui con indagati, ma anche tra i giornalisti e i loro avvocati)?

Per trovare soluzioni a problemi enormi bisogna spesso sporcarsi le mani, ne convengo. Sono tutti bravi a dividere la realtà in bianco e nero dalle pagine di un articolo, ne convengo. Però una domanda me la faccio: a cosa serve la politica? Se la politica non opera delle scelte che possano modificare uno stato di cose in senso nemmeno umanitario, ma umano, e si occupa solo (solo) di mettere le mani sulle grandi commesse, sacrificando totalmente sull’altare degli affari qualunque altro diritto umano, e lasciando che la violenza e il sopruso financo verso propri cittadini regnino indisturbati, a cosa serve?
A cosa serve la diplomazia?
La diplomazia non è la capacità di convincere con educazione dei dittatori sanguinari che devono essere meno cattivi. Non è mica questo. La diplomazia è la capacità di esercitare, con discrezione e fermezza, il peso delle proprie armi economiche per ottenere il rispetto dei diritti della persona. Invece noi, la realpolitik sembriamo interpretarla solo in maniera subalterna: siccome dobbiamo fare affari con loro, allora dobbiamo evitare di rompere i coglioni. Ma anche loro devono fare affari con noi, diamine. Possibile che la nostra diplomazia non riesca ad imporre mai alcune delle proprie condizioni alla conclusione di affari che si immaginano profittevoli anche per i dittatori?

Dispiace rilevare come anche sotto il premierato di un uomo che si è guadagnato una statura internazionale, come Draghi, la politica estera del nostro paese dimostri la statura di uno straccivendolo che cerca di convincere un cliente capriccioso e stronzo a comprare i suoi stracci.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it