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Da Organizzatori

Il tempo è galantuomo; un certo modo di fare politica molto meno purtroppo.
Il vizietto della propaganda proprio non lo si vuol perdere. Sono trascorse appena due settimane dall’ultima iniziativa in salsa ferrarese tesa ad esaltare i risultati della riforma del mercato del lavoro: “più contratti a tempo indeterminato e stabilità ai giovani; più tutele; basta figli e figliastri ed estese le tutele per tutti i lavoratori”. I numeri però, se spogliati dalla propaganda, raccontano un’altra realtà.

Cosa dicono veramente i dati sul lavoro? Boom di contratti a tempo determinato, salgono gli occupati ma calano ore lavorate. Lo spiega uno studio della Fondazione Di Vittorio. (Integrale al link http://bit.ly/2y2eBl8‬ )
Nei commenti alle rilevazioni Istat degli ultimi mesi l’attenzione maggiore si incentra sul ritorno del numero totale degli occupati al livello del 2008. Sicuramente un recupero significativo, ma di che occupazione si tratta?
Secondo il report sull’occupazione del mese di ottobre realizzato dalla Fondazione Di Vittorio, il numero totale degli occupati è tornato ai livelli del 2008 per effetto del balzo in avanti del lavoro dipendente a termine, (il tempo determinato raggiunge il numero più alto dal 2004 ad oggi, arrivando a 2,8 milioni, con un aumento di quasi un milione rispetto all’anno iniziale). A fronte di una sostanziale parità del tempo indeterminato si registra, inoltre, un forte calo del lavoro autonomo (che scende ad agosto a quota 5,3 milioni, circa 900 mila in meno rispetto al 2004), mentre cresce il part time, soprattutto involontario, che raggiunge nel suo complesso i 4 milioni 329 mila occupati (1 milione in più rispetto al 2008).
Ma non basta. Se è vero che l’ultima uscita mensile Istat sulla rilevazione delle forze lavoro fa registrare un sostanziale ritorno del numero totale degli occupati al livello del 2008, è altrettanto vero che a questi numeri complessivi non corrisponde un eguale innalzamento delle ore lavorate e delle unità di lavoro standard, vale a dire gli equivalenti a tempo pieno.
Le ore lavorate sono infatti, il 5,8 in meno di quelle del 2008 (10,9 contro 11,6 miliardi) e le Unità lavorative annue il 4,5% in meno, vale a dire oltre 1 milione di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno in meno rispetto al 2008.

Tutto ciò avrà inevitabilmente ricadute negative anche sul piano pensionistico per tutti e soprattutto non è certo la risposta adeguata per dare un futuro ai giovani e a questo Paese.

Ricordare gli oltre 20 miliardi di risorse pubbliche, spesi per questo misero risultato o riflettere sulla modalità di finanziamento alle imprese, a “pioggia” e senza nessun criterio di merito, potrebbe aiutare i nostri politici almeno a riflettere su ciò che la cruda e quotidiana realtà ci consegna: la riforma del mercato del lavoro è stato un errore politico, troppo costoso sia in termini economici che sociali, perché non ha dato linfa allo sviluppo e ha aumentato la precarietà e cancellato diritti. Leggere poi dichiarazioni da parte di esponenti del PD sulla riforma del mercato del lavoro come “Il nostro sbaglio è quello di essere troppo timidi” fa pensare che la distanza tra loro e le persone che noi rappresentiamo sia davvero consistente.
Situazione decisamente molto preoccupante:
da una parte il PD con Renzi e i sui fedelissimi che continua a raccontare gli effetti straordinari della riforma del mercato del lavoro. E, sempre da quella parte il M5S con Di Maio che punta ad abbassare ulteriormente il costo del lavoro senza la minima critica all’attuale riforma del mercato del lavoro. Anzi peggio: per rilanciare l’economia propone ricette che evocano il ventennio fascista.

Dall’altra parte la realtà, le lavoratrici e i lavoratori, i giovani e le pensionate e i pensionati con i loro futuri sempre più incerti, salari sempre più miseri e pensioni povere non più sufficienti a fare da ammortizzatore sociale per figli e nipoti con lavori discontinui, mal retribuiti, atipici o disoccupati.

Ecco, noi viviamo e stiamo da quest’ultima parte. Anche in questa provincia, da anni ormai fanalino di coda sui dati economici ed occupazionali, stiamo con chi tutti i giorni cerca di arrivare a fine giornata, con chi legge sulla stampa gli slogan della ripresa e si chiede perché non è mai coinvolto, perché riguarda sempre altri. Stiamo con gli ultimi che iniziano ad essere davvero tanti e con loro dobbiamo provare ad orientare la politica del Paese verso la lotta alle disuguaglianze, verso una equa redistribuzione della ricchezza. Vogliamo contrastare il pubblico racconto del “e vissero tutti felici e contenti” perché di felici e contenti non siamo più in molti.

Come CGIL abbiamo l’obbligo di vivere e rappresentare la realtà e lasciare quella virtuale a questa misera politica troppo spesso…dall’altra parte.

Cristiano Zagatti – Segretario generale CGIL Ferrara

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