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Non c’è un sentire comune, una sensibilità condivisa davanti alla parola guerra: esistono invece guerre attuali e del passato su cui concentrare estrema attenzione e conflitti dimenticati, che non hanno nessuna incisività nei meandri della nostra memoria, del nostro pensiero e della nostra emotività. Guerre eccellenti e guerre di ultima serie, in una gerarchia spietata e ingiusta, malgrado ognuna lasci indistintamente una scia di vittime, macerie e desolazione. Ci sono le guerre da celebrare e rievocare, ripercorrendone le fasi e gli esiti con maniacale competenza e passione, e quelle da rimuovere, ignorare, occultandone ogni aspetto nel silenzio. E intanto ogni giorno sono 24 ore di vita regalata in più per molti, combattenti e soprattutto civili, impegnati a sopravvivere in condizioni limite.

Come succede nello Yemen, un paese “oltre i confini del mondo” – come lo definì Pier Paolo Pasolini che in quei territori e nella capitale Sana’a girò molte scene del suo Decameron (1971) – sospeso tra retaggi legati a miti originari e alla storia biblica e una guerra civile in corso di cui si parla troppo poco. La guerra è cominciata nel 2015 come scontro tra fazioni e reciproci alleati, che rivendicavano il legittimo governo del Paese: da un lato l’ampia tribù sciita del Nord, gli Houthi, aiutati dall’Iran, fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, dall’altro lato le forze leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, costretto nel 2014 a fuggire in Arabia Saudita, il Paese amico che aveva appoggiato la sua elezione. In questa guerra dimenticata, l’aviazione militare dell’Egitto, Marocco, Giordania, Sudan, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Bahrain hanno preso parte alle operazioni di bombardamento dello Yemen, mentre il Pakistan, chiamato dall’Arabia Saudita ad intervenire, si dichiara neutrale e preferisce collaborare ad un embargo sulle armi contro gli Houthi.

Nell’aprile di quest’anno, un missile lanciato verso Riyadh, la capitale araba, colpisce un civile e subito il conflitto raggiunge toni ancora più esacerbati nei confronti dell’Iran, presunto autore della fabbricazione dell’arma, poiché i ribelli vengono ritenuti incapaci e troppo impreparati per fabbricare un ordigno tecnologico di tale portata, anche se Jane’s Information Group, un’agenzia accreditata che si occupa di intelligence e analisi su questioni militari, afferma il contrario. Tendenziosità, informazioni distorte, faziosità, propaganda, mezze verità: un velo scuro copre questa guerra di cui giungono solo echi remoti. Nel frattempo si incomincia a fare il conto delle vittime,10.000 morti e decine di migliaia di feriti, numeri destinati a crescere inesorabilmente. A nulla è servita una fragile tregua. Proseguono i combattimenti per il controllo dei territori, le città, le basi aeree, i porti e ogni punto strategico che possa confermare una conquista. E poi ancora: campi bruciati, pozzi avvelenati, sistemi igienico sanitari distrutti, infine il colera, definito dalle organizzazioni umanitarie “la peggiore epidemia al mondo”. La Croce Rossa Internazionale e Medici Senza Frontiere parlano apertamente di catastrofe: migliaia di vittime, soprattutto bambini, e 750.000 casi sospetti. Aumentano i casi di malnutrizione, si espande la carestia.15 milioni di persone non hanno accesso a fonti di acqua sicura. Il costo del riso, uno degli alimenti di uso più comune, è  aumentato del 131% e mezzo sacco di grano deve bastare un mese e si devono percorrere 2 o 3 km più volte al giorno in cerca di acqua nei pochi pozzi disponibili. Gli sfollati hanno ormai raggiunto i 2 milioni, costretti ad abbandonare una terra trasformata in un inferno, mentre gli aiuti umanitari si rivelano insufficienti a rispondere ai bisogni di 22 milioni di persone in condizioni di pesante precarietà, mentre imperversa un conflitto combattuto con armi che provengono dagli USA, UK, Francia, Spagna. Anche dall’Italia, come a Domusnovas, un paese di circa 6.000 abitanti in provincia di Carbonia-Iglesias in Sardegna, dove la RWM del gruppo tedesco Rheinmetall Defense – utile di fatturato 15mln di euro – produce armi. Bombe tra gli ulivi secolari, siti nuragici, grotte, castelli e oasi naturalistiche, da esportare in tutto il mondo.

La guerra nello Yemen continuerà senza occupare le prime pagine della cronaca, con i suoi morti dimenticati, i suoi importanti siti archeologici, testimoni dell’origine di quel Paese, distrutti per sempre, le fantastiche architetture di Sana’a simili a preziosi pizzi e lavori a traforo che nessuno ora ammira, perché il Paese, nella lista nera, è diventato uno dei più pericolosi al mondo. Le donne continueranno a girare nelle viuzze della città, come neri fantasmi sfuggenti e timorosi, avvolte nei loro burqa, a ricordarci la cultura di quel posto, dichiarato nel 1986 Patrimonio dell’umanità. Chissà se l’Oman, possibile mediatore, riuscirà a mettere fine a tutto questo!

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).


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