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Ecco il segreto: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.

Spesso è solo una foto capovolta o uno scarabocchio che svela forme sorprendenti a insegnarci la giusta prospettiva.
Queste sono le forme che ama Daniela Pareschi, autrice della collana Disegniamo insieme, edita per Lantana Editrice al figlio Elia, di cui è stato presentato il secondo volume – “Il mare, le onde” – per il ciclo Autori a corte.
Ferrarese di nascita, genovese e romana di adozione, il disegno è passione e studio, la visita a Cinecittà è il momento che ne modifica la percezione effettiva, con la sua possibilità di sviluppare concretamente mondi interiori, di creare suggestioni srotolate dall’immaginazione con supporti tecnici (il corso di architettura) e artistici (bozzettistica), rendendo vivo a ogni effetto qualcosa che prima aveva solo due dimensioni.
La magia si riduce, dopo l’arrivo del 3D. Cambiano le categorie nel tempo, cambia il cinema con l’avvento del digitale, i mezzi e gli strumenti; ma non la possibilità di tradurre in immagini un mondo interiore che si riversa nel disegno e nella sua tecnica.
Come in ogni cosa, è la capacità di guardare il motore da accendere; è la capacità di vedere la macchina con cui intraprendere il viaggio. Di “mettere gli occhi”, direbbe Wilhelm Reich.
Per riempire uno spazio interrotto, nelle teorie del disegno dedicate ai bambini tra l’essenziale e il minimale di Bruno Munari e il fiabesco aggraziato di Walter Disney, l’intento è quello di fornire la chiave per quella porta che rende in grado di esprimersi attraverso una matita e un foglio di carta.

Gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose.

La capacità di guardare, essenziale in un bambino tanto quanto in un adulto, conduce a due differenti porte. Ci sono la visione e la scoperta, l’esplosione interiore di un mondo di immagini fatto di sensazioni, ma che esige proprie regole come ogni linguaggio. E ci sono milioni di sguardi che possono vedere, e restituire, milioni di immagini differenti. In una condizione in cui non c’è l’insegnante e l’allievo, l’adulto e il principiante, la piena coscienza e la chiusura a doppia mandata di un baule abbandonato.
Perché non si può discutere di fronte a un bambino che disegna un boa nell’atto di digerire un elefante, neppure quando tutti si ostinano a vederci solo un cappello dalla falda larga; perché quel bambino ha osservato e immaginato, perché sapeva esattamente cose guardare e perché riprodurre; perché era la forma di espressione naturale, quello che è il disegno; e perché a volte è semplicemente più semplice disegnare che non spiegare. “Non riesco a dirtelo, mamma; e allora te lo disegno.” Questa è l’etica dei libri della collana, costruita su una parte teorica ed esplicativa, razionale, da un lato; e di una sciolta e visionaria, semplice e impastata di collegamenti che tiene per mano fantasia e realtà, immaginazione e concreto, in un ambizioso progetto dalla semplice comprensione. Dove lettere e parole, sintassi e grammatica sono tratti, colori, proporzioni e sezioni.

Sarebbe meglio ritornare alla stessa ora… Ci vogliono i riti.

Regole, stili, codici e tecniche, sono i rituali da rispettare, che consentono proporzione della realtà, permettendole di spiegare la fantasia; di fluire una immagine interiore a un pennello.
Facce e corpi, colori ed emozioni, forme e cose si intersecano fino a creare un punto di incontro diverso per ognuno di noi, incrociati a un semaforo che ne detti le regole e li smisti nelle giuste direzioni. Incoraggiando l’emisfero sinistro, severa maestrina deputata alla logica, all’analitica e alla razionalità; e lasciando assopito l’emisfero destro, sognatrice ed emotiva zia prodiga di regali, fino al momento in cui la torta visuale è pronta da proporre. Depistandola momentaneamente, permettendole poi di collegare rotondi riccioli blu alle onde del mare, ordinate sull’attenti delle tre parche benigne che ne regolano la correttezza formale – profondità, direzione e superficie; fatiscenti omini scheletrici danzanti, con ovali sulla punta delle dita a spogli alberi d’autunno; mostri e paure che diventano occhi e fauci spalancate, nascosti in forme geometriche e nuvole; tre facce apparentemente uguali da guardare, che divengono tre persone distinte nella loro unicità, alterate non da un morphing dispettoso ma dalla semplice attaccatura dei capelli. E ancora collage, decorazioni, pagine al contrario e dialoghi che si completano a vicenda, complementari.
Come la teoria dei colori.

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Giorgia Pizzirani



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