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Whiplash, una frustata per il successo

Articolo pubblicato il 26 Febbraio 2015, Scritto da Massimo Piazza

Tempo di lettura: 4 minuti


Tra gli otto film candidati agli Oscar, con il successo di “Birdman”, ve ne è uno meno noto al grande pubblico, attualmente nelle sale, si tratta di “Whiplash” (frustata) che ha ricevuto Oscar importanti per il miglior montaggio, per il miglior sonoro e per il miglior attore non protagonista al mitico J. K. Simmons, caratterista noto, tra l’altro, per “Medici in prima linea” e “Law & Order”. Diciamolo subito, un film da non perdere.

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La locandina

J. K. Simmons, nella parte di un inquietante insegnante di jazz, Terence Fletcher, è il mattatore del film, ne detta i temi e i tempi; riempie la scena e l’inquadratura con la sua figura magnetica, nella impietosa e ossessiva ricerca di indurre il suo allievo alla perfezione, o meglio alla genialità e al talento; apostrofa i perdenti “palla di lardo” (citazione di “Full Metal Jacket” di Kubric), induce ad una competizione per essere il primo batterista, che diviene una sfida fisica, dove il sangue, il sudore e lo sfinimento sono il condimento indispensabile per il raggiungimento dell’obiettivo.

sangue-drumsUn film sulla passione, sulla molto americana idea dell’uomo che insegue la realizzazione della sua felicità e del suo successo, al quale sacrificare tutto, anche la propria vita, come dalla sterminata casistica di premature morti dei jazzisti più importanti, specie del free e be-bop, decimati da alcool, droghe ed eccessi. Invece Andrew, il giovane studente interpretato da un sempre più emergente Miles Teller, è in tutto e per tutto un bravo ragazzo, mantiene rapporti, non facili, con la famiglia, corteggia una giovane cameriera di fast food, pensa solo a studiare la batteria, e concentra tutta la sua energia per realizzare questo sogno.

feature2«Non esistono, in qualsiasi lingua del mondo, due parole più pericolose di bel lavoro», dice Fletcher, intendendo che l’artista deve necessariamente superare la normalità, e avanzare in un ambito indefinito e non prevedibile; qui l’essere un artista non è determinato dalla mera trasgressione, sessuale, di costume o di droghe, ma da un massacrante lavoro sui ‘drums’ e sui piatti, fino allo sfinimento e all’esplosione della rabbia e dell’angoscia.
Flecher racconta che Charlie Parker divenne il mitico “The Bird” dopo un esibizione non eccezionale, quando fu oggetto del lancio di un piatto dal suo capo band, che quasi lo decapitò; si rinchiuse allora per giorni a provare, e poi fece il miglior assolo di sax della storia del Jazz. Se non fosse stato impietosamente criticato, non lo avrebbe fatto.

sangue-drumsUn film anche sul rapporto tra maestro e allievo: quanto è lecito spingere lo studente al limite delle sue risorse e resistenze, quanto e cosa si deve sacrificare al raggiungimento dell’obiettivo? Il limite stesso, sembra dire il film, da superare ad ogni costo, come un Rocky che invece dei pugni usa le bacchette e i pedali dei ‘drums’; solo nell’aspro ed estremo addestramento si forgia il carattere e si estrae il meglio.

Un montaggio strepitoso e incalzante, una colonna sonora emozionante, un finale in crescendo, che vede prorompere il vero, unico e imprevedibile talento. E forse il film propone anche un altro contenuto, divenuto incalzante in questi anni di crisi di sistema: la necessità di essere motivati, allenati, competitivi, performanti. E la mente corre al film di Muccino “Le leggi del desiderio”, incentrato proprio sulla figura di un lifecoaching/counselor, in sostanza di un allenatore che ci renda più forti e vincenti; ma questo è un altro film, magari la prossima volta.

“Whiplash” di Damien Chazelle, con Miles Teller, J. K. Simmons, Melissa Benoist, Paul Reiser, Austin Stowell, drammatico, sconsigliato sotto i 16 anni, durata 107 min., Usa, 2014

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani