Come si trattasse di un animale mitologico o di un oggetto alieno, dai social e dalla stampa nazionale si leva il coro contro la D.A.D. La D.A.D. che spersonalizza il rapporto docente allievo, che tiene i ragazzi davanti allo schermo, che limita le interazioni sociali.
La D.A.D. come disegno oscuro di quel qualcuno di cui non si sa mai né nome, né intenzione.
L’imperativo categorico ora è la presenza a scuola e negli uffici.
La presenza come antitesi alla D.A.D dunque, nel variegato mondo della scuola. Una presenza liberatrice.
Sorge la domanda: ma dietro a quei pc chi c’era? Chi si è trovato da un giorno all’altro ad inventarsi soluzioni per non abdicare totalmente al proprio dovere di istruire? Non era presenza quella? A sentire molti no, tutti fantasmi, ologrammi.
Chi scrive, pur lavorando a scuola da quasi quarant’anni, non ha certo gli strumenti per dare una valutazione complessiva dei risultati ottenuti con la didattica a distanza, ma una cosa è certa: la D.A.D. è stata organizzata, progettata e svolta da dirigenti ed insegnanti reali, in carne ed ossa; anche da quelli che ora la indicano come male assoluto.
E’ ribadire l’ovvio che il lavoro a distanza era l’unica risposta possibile durante il picco della pandemia. Non è altrettanto ovvio che il ritorno alla presenza risolva gli stessi problemi individuati nella D.A.D.
I docenti che non erano in grado di coinvolgere gli allievi, difficilmente saranno miracolati dalla ‘presenza’.
Per quanto riguarda invece la socializzazione dei ragazzi, credo che nessuno possa negare che si fosse in gran parte spostata in Rete ben prima del Covid.
Ben venga quindi (quando avverrà) il ritorno alla normalità, ma dispiace che si demonizzi un’esperienza che ha sicuramente ridotto il digital divide [Vedi qui] con gli altri paesi europei e che in molti casi ha indotto i docenti a cambiare strategie, riflettendo sul loro metodo e sulle loro pratiche.
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Davide Nani
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