Vittore Veneziani, dai trionfi della Scala all’esilio in Svizzera per sfuggire alle leggi raziali
“MUSICI” FERRARESI DEL SECONDO OTTOCENTO
GIUSEPPE BORGATTI E VITTORE VENEZIANI
Giuseppe Borgatti – Diplomatosi al Liceo musicale di Bologna nel 1892, il tenore di nascita centese (FE) Giuseppe Borgatti (1871-1950) esordì in quello stesso anno nel Faust a Castelfranco Veneto. Ma la sua brillantissima carriera ebbe inizio l’anno successivo, con la medesima opera, al teatro Reinach di Parma. Per poi approdare al Regio di Torino, al Pagliano di Firenze, al Malibran di Venezia, al Dal Verme e alla Scala di Milano, quindi a Genova, a Roma, a Napoli. Numerose anche le sue tournée all’estero: Madrid, Siviglia, Pietroburgo, Il Cairo, Montevideo, più volte a Buenos Aires.
Unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori interpreti wagneriani in assoluto, Borgatti, a cui la sua cittadina natale ha dedicato un teatro, fu costretto a ritirarsi dalle scene poco più che cinquantenne a causa della cecità. In seguito si dedicò all’insegnamento, trasferendo la sua arte a molti giovani provenienti da varie parti del mondo.
Vittore Veneziani – Nato a Ferrara da famiglia israelita, Vittore Veneziani (1878-1958) studiò violoncello al Liceo musicale “Frescobaldi” e conseguì il diploma in composizione al Liceo musicale di Bologna, meritandosi una lode per la sua Cantata di Calend’aprile su versi di Gabriele D’Annunzio. Debuttò come autore nell’opera lirica con Il Pergolesi, a cui seguirono La leggenda del lago (rappresentata alla Fenice di Venezia nel 1911) e Mario e Cosetta. Specializzatosi in direzione del coro, già nel 1904 aveva diretto a Venezia il Sigfrido di Wagner e, nel 1907, un coro di duemila voci bianche in piazza San Marco.
Ma raggiunse l’apice della carriera a partire dal 1921, quando venne chiamato a dirigere il coro del teatro La Scala di Milano, debuttandovi il ventisei dicembre con il Falstaff di Giuseppe Verdi. Veneziani rimase poi alla Scala fino al 1938, allorché le leggi razziali lo costrinsero prima a ritirarsi come insegnante di musica in una scuola ebraica e, successivamente, a sfollare in Svizzera.
Rientrato in Italia dopo la Liberazione, nel maggio del 1946 fu chiamato dal grande Arturo Toscanini per l’inaugurazione del ricostruito teatro La Scala, dove egli rimase fino al 1953. Tornato a Ferrara all’età di settantacinque anni, ha qui fondato la celebre corale che oggi porta il suo nome.

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Riccardo Roversi
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)