Il professore entra nelle sale e si ferma davanti ai quadri appesi uno dopo l’altro alle pareti di palazzo dei Diamanti. Li guarda e poi te li racconta come un pediatra esperto ti parlerebbe del bambino in visita al suo ambulatorio. O un astrofilo delle stelle.
“Sente che silenzio c’è in queste nature morte di Giorgio De Chirico?”, dice davanti al primissimo quadro in mostra al palazzo dei Diamanti di Ferrara. E’ una tela non grande, come la maggior parte di quelle fatte durante il periodo di leva dell’artista nella città estense, tra il 1915 e il 1918, ed esposte qui. “Qui – commenta lo storico dell’arte Carlo Sisi – dove nasce la pittura metafisica”.
Sullo sfondo appena accennato del castello estense il pittore mette in posa un guanto, dei rocchetti, una scatola. E’ il dipinto “I progetti della fanciulla” del 1915, prestato dal Museum of modern art di New York. “La pittura metafisica di De Chirico e di Carrà – dice Sisi, arrivato da Firenze apposta per vedere questa mostra – riconduce a questa tranquillità apparente, ma è una rappresentazione filosofica. In evidenza ci sono oggetti che, sotto, nascondono sempre simboli; ci sono cose che rimandano a qualcos’altro. Ogni quadro è come una camera magica che evidenzia il mistero degli oggetti”. Un silenzio minaccioso, allora, come quello di un bosco dove sta per scoppiare la tempesta. Per fare capire la tensione che c’è dentro, lo studioso che all’arte moderna ha dedicato la vita, gli studi e la carriera, mette questa quiete in contrapposizione con il rumoroso “zang tumb tumb” di Filippo Tommaso Marinetti e il suo manifesto futurista che qualche anno prima, nel 1909, esaltava un volontarismo e un ottimismo interventista. De Chirico sta dipingendo mentre quella guerra, prima inneggiata e immaginata, adesso c’è davvero. “E capisce che non c’è nulla di bello”. Per questo “gli oggetti sono silenziosi, ma non sono consolatori; hanno un doppio fondo che ti impegna e non ti pacifica”.
Tele piccole, spazi circoscritti, oggetti molto precisi. “Diverso da quello che avviene poco dopo, con il surrealismo – continua Sisi – che riprende molte di queste cose, ma in tutt’altra prospettiva”.
Ecco siamo arrivati nelle sale dove sono esposti i lavori di Max Ernst “Senza titolo” (1925); René Magritte “La condition humaine” (1933); Salvador Dalì “Les plaisirs illumineés” (1929). “Il surrealismo – fa notare Sisi davanti alle tele – entra in un luogo diverso da quello dell’arte metafisica, qui siamo in uno spazio onirico, il quadro si apre a una dimensione più indefinita, gli oggetti si possono sciogliere come fa Dalì o uscire dai confini, come fa Magritte con il vero che si sovrappone alla sua rappresentazione. Si sente la voce della psicanalisi di Freud, c’è già il sentimento inquieto dei film di Hitchcock”.
Il curatore della mostra ferrarese – fa notare Sisi – è l’esperto di de Chirico, lo studioso più importante e che sa tradurre nella maniera più poetica il discorso critico. Ha scelto (e ha potuto scegliere) il meglio: opere arrivate da Stati Uniti, Tunisia, Giappone. Lo capisci anche dalla preziosità dei confronti, dalle opere che raccontano il dialogo con gli altri artisti in quegli stessi anni.
Per esempio la “Natura morta con manichino” di Giorgio Morandi, 1919. “Ecco, la vede la polvere che c’è lì, in questa scanalatura della scatola nella natura morta di Morandi? E’ il segno del tempo, l’accenno naturalistico che riporta l’oggetto alla realtà viva, il tratto tipico del temperamento di questo artista, che si avvicina alla metafisica, ma senza perdere mai la sua liricità”.
Oppure “I pesci sacri” di Filippo De Pisis, 1925. “De Pisis – fa notare il professore – ha temi e soggetti in comune con De Chirico e Carrà, ma nelle sue nature morte è già vicino allo spirito del poeta Eugenio Montale, i suoi pesci sono ossi di seppia, è la lirica dei relitti. Poi è metafisico perché ti mette insieme cose che insieme non ci starebbero e, così, la composizione prende un altro significato, va oltre la semplice descrizione della realtà”.
Arriviamo al celebre “Le muse inquietanti” di De Chirico, l’olio su tela dipinto nel 1918 con il castello estense sullo sfondo e i manichini appoggiati davanti. “Gli oggetti – dice Sisi indicando i manichini – lo vede che sono appoggiati sulle tavole di un palcoscenico? Il teatro è il luogo metafisico per eccellenza. Lì va in scena la vita, ma sai che non è la vita, è la sua rappresentazione. Come in Pirandello e nei suoi ‘Personaggi in cerca d’autore’. I manichini dechirichiani sono come quei personaggi lì, sono persone che attendono di essere realizzate”. C’è ironia, che vuol dire distacco del giudizio, invito a vedere che dietro la realtà ci sono ulteriori significati. Come per Platone – fa notare lo studioso – che ti spiega che l’ulivo che puoi trovare in un campo è una pianta, la materializzazione di qualcosa che però sta in un altro spazio, che lui chiama l’iperuranio, che poi è un piano metafisico, il piano dove ci sono le idee da cui derivano i due tipi di realtà (una che domina sul mondo intelligibile e l’altra sul visibile)”.
Insomma, lo studioso che ha diretto e ridisegnato la Galleria d’arte moderna di Firenze per tanti anni e che ha curato mostre su artisti contemporanei di De Chirico come Boldini afferma che “chi vede questa mostra mette davvero a fuoco l’inizio di un’esperienza artistica come la metafisica, che nasce a Ferrara e influenzerà tanta arte di quegli anni e dopo, a livello europeo”. Un’influenza che non finisce lì, assicura lui. Ma ha eredi tra i contemporanei. Per raccontarlo l’11 febbraio Carlo Sisi tornerà a Ferrara per tenere una conferenza su come la metafisica si sviluppa nell’età contemporanea. Un altro viaggio da fare con il professore.
“De Chirico a Ferrara, metafisica e avanguardie”, Palazzo dei Diamanti, corso Ercole I d’Este 21, Ferrara, fino al 28 febbraio 2016, tutti i giorni ore 9-19;
“La metafisica come sentimento”, conferenza dello storico dell’arte Carlo Sisi, sala dei comuni, Castello estense, largo Castello 1, Ferrara, giovedì 11 febbraio 2016, ore 17.
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Giorgia Mazzotti
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