VETRIOLO
Rifiuti, il porta a porta del nostro scontento
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La compostiera ce l’ho, i secchi del porta a porta ce li ho, l’eco-coscienza ce l’ho. La pazienza invece non l’ho più, almeno quel briciolo su cui posso mediamente contare. E’ fuggita da quando ho letto sul calendario Hera – fornito insieme al kit del porta a porta nel forese – i tempi di raccolta dell’”indifferenziato”: sette giorni tra un passaggio e l’altro. Gli organizzatori del servizio avrebbero fatto bene a pensare come drogare l’olfatto dei residenti di via Acquedotto, oramai orfani di campane e cassonetti. E giustamente poco inclini a creare tante piccole e maleodoranti discariche domestiche. Ci vuole una bella fantasia, o forse la sua totale assenza, per lasciare agli abitanti il compito di conservare i rifiuti di molti pranzi e cene così a lungo. Soprattutto a fronte di temperature africane come quelle dell’ultimo mese e mezzo. A parte la manifesta felicità dei sorci, non ho sentito che lamentele. A cominciare dalla mia. In molti, da queste parti, diamo la caccia ai contenitori della differenziata ancora sparpagliati in zona per poterci liberare dei rifiuti in un tempo ragionevole. I più attenti, caricano in macchina le cosiddette “pattumelle” già stracolme, aggiungono sacchi extra di bottiglie d’acqua vuote, lattine, barattoli di vetro e pattume, per distribuirne il contenuto nei cassonetti reduci. Davvero una gran comodità. Giocare alla caccia al tesoro, soprattutto quando si va al lavoro, è assai divertente. Alimenta il senso dell’umorismo e aguzza la vista. Altri hanno abdicato alla differenziata e, indispettiti dal metodo, hanno fatto tre passi indietro. Riempiono un sacco unico, si avventurano verso l’immondezzaio maggiormente a portata di mano e chi s’è visto s’è visto. Non è un bel modo di fare, certo. Ma i resti del nostro vivere hanno bisogno di un esperimento più efficace di un porta porta al rallentatore. Altrimenti il reload ci porta indietro nel tempo, al rifiuto selvaggio, un’epoca che ha ancora troppi fan. Non vorremmo, a questo punto, si aggiungessero anche i nostalgici.

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Monica Forti
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani