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Ormai i giovani –  ma non solo loro – integrano e spesso sostituiscono la comunicazione vis-à-vis con conversazioni mediate dall’uso dei mezzi tecnologici: computer e smartphone (che hanno funzioni analoghe e ci accompagnano ovunque). WhatsApp e Messenger sono gli strumenti di contatto più diffusi. Questa recente, ma ormai generalizzata abitudine, ha una particolarità: altera la comprensione del messaggio e dei reali sentimenti degli interlocutori. La possibilità di valutare il carattere di verità di ciò che manifestiamo è fortemente compromessa, perché le peculiari modalità di scambio limitano la capacità di decodifica da parte dei soggetti coinvolti nella conversazione.
Infatti, quando al dialogo diretto si sostituisce un confronto mediato che esclude il contatto visivo con l’interlocutore, è preclusa l’acquisizione di informazioni significative per intendere gli autentici stati d’animo, e dunque l’essenza stessa della comunicazione è pesantemente alterata e la sua veridicità è dubbia.
In realtà, WhatsApp e Messenger offrono dei surrogati all’espressione: i cosiddetti emoticon, le ben note faccine con le quali manifestiamo i nostri sentimenti. Ma, trattandosi di icone, possiamo fingere, scegliendo consapevolmente, e con cura, proprio ciò che di volta in volta ci appare più appropriato o conveniente.
Invece, quando due persone si trovano in presenza l’una di fronte all’altra, oltre ad ascoltarsi si guardano. Ciascuno avverte il tono dell’interlocutore, può notare una certa increspatura del labbro, una piccola smorfia, quello sguardo scintillante o invece un’espressione rattristata, quell’alterazione nella voce, quel gesto della mano che rivela ciò che le parole non dicono…
Protetti dal cristallo dello schermo del nostro smartphone, blindiamo i sentimenti; così la componente non verbale viene occultata, il messaggio risulta sterilizzato ed è compromessa la capacità degli interlocutori di cogliere il senso pieno e autentico dei pronunciamenti.
Inoltre c’è un altro aspetto importante da considerare: la comunicazione, attraverso la messaggistica social, ci concede un tempo di riflessione dilatabile, che il dialogo in presenza normalmente riduce a un attimo. E quel ‘tempo in più’ è fondamentale perché ci consente di soppesare l’effetto delle parole che stiamo per pronunciare (in questo caso: per scrivere) e che più agevolmente possiamo orientare in maniera strategica.
La comunicazione online, quindi, surroga la funzione di quella verbale, ma solo apparentemente ha le medesime caratteristiche: l’assenza del riscontro visivo (o la sua eventuale sostituzione con un’espressione artefatta) elimina la componente non verbale; inoltre la possibilità di governare la sequenza di interlocuzione, alterandone i tempi, condiziona la conversazione e consente un marcato autocontrollo. Si riduce, quindi, l’effetto della componente emotiva favorendo una gestione strategica del messaggio e della relazione. E mentire è molto più agevole e sicuro.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada


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