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Poco più di 10 giorni fa l’Assemblea Regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato un emendamento alla legge regionale “Misure urgenti a sostegno del sistema economico ed altri interventi per la modifica dell’ordinamento regionale” che proroga gli affidamenti del servizio idrico in regione fino alla fine del 2027,
Uniche eccezioni, i territori di Reggio Emilia e Rimini, dove sono in corso procedure di gara.
L’emendamento, approvato da tutti i Gruppi consiliari, tranne quelli di Europa Verde e Gruppo misto che non hanno partecipato al voto, compie una scelta molto grave, perché prolunga ulteriormente la situazione di privatizzazione del servizio idrico in regione e rappresenta un ennesimo mancato rispetto dell’esito referendario del 2011.

In Emilia Romagna la grandissima parte delle gestioni del servizio idrico è svolta da 2 grandi multiutilities quotate in Borsa e ispirate da una logica privatistica, Iren e Hera, e ora, proprio quando si poteva aprire il percorso per la ripubblicizzazione, in particolare nelle gestioni finora affidate a Hera, si fa loro questo grande regalo.
Infatti, a fine anno sarebbe scaduta la concessione del servizio idrico a Hera nel territorio di Bologna, alla fine del 2023 a Forlì-Cesena e Ravenna, alla fine del 2024 a Ferrara e Modena.

A Bologna, in particolare, si era avviato un confronto tra gli amministratori locali, Atersir (l’Agenzia regionale che interviene sul servizio idrico e quello dei rifiuti), il comitato acqua pubblica e altri soggetti per far svolgere all’Università di Bologna uno studio sulle forme di gestione del servizio idrico e sulla sua possibile ripubblicizzazione. Un passaggio propedeutico per arrivare ad una scelta condivisa per il futuro del servizio idrico nell’area metropolitana.

Intanto, la prima cosa che fa riflettere è come l’Assemblea Regionale è arrivata alla decisione. Questa è stata presa senza nessuna discussione preliminare con i comitati dell’acqua e altri soggetti della società civile, con un emendamento introdotto di soppiatto in una legge che parlava d’altro.
Un vero e proprio colpo di mano. Una modalità che è esattamente il contrario di quella volontà di favorire la partecipazione, che la Regione proclama a ogni piè sospinto. Una partecipazione che appare sempre più come comunicazione dall’alto (la politica del partiti) verso il basso (la società civile). Una partecipazionesoprattutto,  che non deve riguardare le decisioni di carattere strategico, come quella di cui stiamo parlando.

Le ragioni per giustificare tale scelta sono decisamente inconsistenti.
Si è detto che la continuità delle gestioni serve per poter realizzare gli investimenti che dovrebbero arrivare dal PNRR per il servizio idrico. Dimenticandosi volutamente di riflettere sul fatto che gli eventuali nuovi gestori dovrebbero comunque portare avanti gli investimenti già programmati.
Ancora, si è sostenuto, secondo l’infausta teoria del ‘meno peggio’, che era preferibile concedere una proroga di 6 anni piuttosto che procedere ad una gara, che avrebbe prodotto un affidamento di 30 anni. Facendo finta di non vedere che esiste un’alternativa alla messa in gara del servizio idrico: la ripubblicizzazione, appunto.

Un servizio idrico che, comunque, fino ad un nuovo affidamento, continua in proroga alla gestione esistente e che non esiste alcun obbligo per effettuare una gara all’immediata scadenza della concessione. Come dimostra l’esperienza concreta, che evidenzia che la gara per il servizio idrico a Reggio Emilia è stata indetta nel 2017-18, 6 anni più tardi della fine della concessione avvenuta a fine 2011, mentre a Rimini, con la concessione scaduta nel 2012, si è proceduti alla gara solo nel 2018. Peraltro, a 10 anni di distanza, queste procedure di gara non si sono ancora concluse!

Quello che rimane, allo stato dei fatti, è che le scelte relative al territorio regionale in tema di acqua e rifiuti sono dettate dalle grandi multiutilities e che la politica si adegua.

Si decreta per via legislativa la prosecuzione delle privatizzazioni per un tempo molto lungo (dicembre 2027), impedendo che si potesse discutere della possibile ripubblicizzazione del servizio idrico. Si tratta In più, siamo in presenza di un vulnus democratico, visto che la gestione privatistica di Hera e Iren rappresenta un vero e proprio schiaffo rispetto agli esiti del referendum del 2011.
Infine, vi è persino un forte dubbio di legittimità giuridica sul come si è compiuta questa scelta: in contraddizione con quanto dispone la legislazione nazionale, con il Codice ambientale 152 del 2006, che dice che la materia degli affidamenti è competenza degli Enti di governo degli Ambiti Territoriali Ottimali – nel nostro caso Atersir – qui si interviene direttamente per via legislativa con una legge della Regione.

L’impressine di fondo è che questo non è provvedimento a sé stante, ma si inquadra in una strategia ben precisa volta a privatizzare completamente il servizio idrico nel Paese.
Basta leggere le pagine del PNRR dedicate alla missione “Tutela del territorio e della risorsa idrica”. Al di là delle risorse stanziate, decisamente insufficienti, il cuore del PNRR in materia è quello della “riforma” per rendere “efficienti” i soggetti gestori del servizio idrico.
Nel mirino, c’è, in primo luogo il Mezzogiorno e molto probabilmente l’azienda di diritto pubblico Acqua Bene Comune di Napoli, la prima e quasi unica esperienza che ha dato compiutamente corso all’esito referendario.

L’intenzione – che peraltro informa tutto il PNRR – è che l’intervento pubblico sia servente nei confronti del mercato, per crearlo e sostenerlo, ed è finalizzato ad aprire la strada alla conquista del Mezzogiorno da parte delle grandi aziende multiutilities quotate in Borsa, per rendere irreversibile il modello di gestione costruito sulle stesse.

Non si può rimanere indifferenti e fermi di fronte a questa situazione.
Il Coordinamento regionale comitati per l’acqua pubblica e la Rete regionale Emergenza Climatica e Ambientale hanno indetto per mercoledì 3 novembre alle 14,30 un presidio sotto la sede della Regione Emilia-Romagna.
Intanto, il
Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua organizza una “carovana per l’acqua” che toccherà vari territori e culminerà a Napoli con una manifestazione di carattere nazionale il 20 novembre.

Non ci rassegniamo al fatto che, a 10 anni di distanza, si vorrebbe definitivamente cancellare la volontà popolare espressa con i referendum del 2011, tantomeno che ciò provenga da una regione come l’Emilia Romagna e con il silenzio del Comune di Bologna, che, per bocca del suo neosindaco, ha appena finito di dire che intende ispirarsi alle città più progressiste dell’Europa, come Parigi e Barcellona. La prima ha ripubblicizzato il servizio idrico ancora nel 2011, la seconda è impegnata, nonostante l’opposizione del governo centrale, in una battaglia per fare altrettanto. Qui, invece, sembra di assistere al denunciato blablabla che si nutre di tanti buoni propositi annunciati per poi compiere scelte che vanno in tutt’altra direzione. Ma che, proprio per questo, vanno contrastate e fermate.

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.


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