Vecchi, ricchi, “condizionati” … e una gran paura della morte:
cronaca di un dialogo impossibile
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Ieri mi sono ritrovata imbottigliata nel traffico. Dovevo portare la mia anziana mamma a pranzo da suoi vecchi amici. A causa di un incidente l’autostrada era bloccata. Siamo arrivate a destinazione alle 14. I due anziani amici di mia madre, genitori di amici della mia infanzia che non vedevo da molto molto tempo, mi hanno gentilmente offerto di rinfrancarmi dal caldo accettando il loro invito a sedermi a tavola con loro. Tutti ultraottantenni apparivano poco cambiati rispetto ai miei ricordi d’infanzia. Certamente più incurvati, con l’artrite nelle mani, con il passo meno sicuro, ma con l’ espressione del volto che non era non molto diverso da quello dei miei ricordi.
Una bella casa genovese, in una splendida zona di Genova, la tavola apparecchiata con la tovaglia, la donna di servizio con il grembiule in cucina che trafficava. Insomma un ambiente che ricordavo, molto borghese e raffinato, rimasto tale e quale a 40 anni fa, avvolto da muri pesanti separato totalmente dal fuori. Mi sono ritrovata in un atmosfera tipica della mia infanzia che però fa a pugni con la vita che si prospetta per il futuro. Almeno così l’ho avvertito io. Ci siamo seduti a tavola ed è iniziata la conversazione di rito. Il tempo passato, le nostre storie di vita, famiglia figli etc. poi la fatidica frase “parliamo un po’ di politica”.
Sapevo che stavo cadendo in una trappola ma non ho resistito e siccome gli anziani ospiti avevano un condizionatore che andava a palla – fuori c’erano 35 gradi – mi sono arrischiata nella battuta “ vedo che avete il condizionatore che va al massimo e dunque devo presuppore che non siate affatto d’accordo con Draghi”. Non l’avessi mai detto… “ Draghi il miglior presidente che abbiamo avuto negli ultimi 30 anni, unico presidente ammirato in tutto il mondo (e intanto il mio cervello si chiedeva” a quale mondo facevano riferimento?”). Hanno poi continuato “Autorevole e capace di limitare le “ troppe libertà dei nostri giovani” che naturalmente andavano recintati perché se no portavano il virus in giro causando la morte dei vecchi”.
Il condizionatore continuava a sparare aria fredda, e loro mi parlavano dei poveri ucraini che andavano aiutat,i perché il “mostro Putin” andava fermato. E intanto mi dicevano che i miei figli avevano fin troppe libertà e che andavano contingentate, che il loro sacrificio di sottoporsi a un vaccino sperimentale per difendere la vita dei vecchi era il minimo che potessero fare per ringraziarli per tutto quello che avevano ricevuto – e di nuovo il mio cervello si chiedeva “ un pianeta a rischio estinzione?” Aggiungevano che tutte le mie contro argomentazioni erano irrazionali, frutto di isteria. Avevo tentato timidamente di dire che una società che usa come cavie i bambini e i giovani adolescenti con un siero di cui nulla si sa sugli effetti a lunga scadenza era una società che non aveva a cuore il futuro delle nuove generazioni. Hanno tuonato che non avevo fiducia nella scienza! Quando ho opposto a quale scienza facevano riferimento, a quel punto mi hanno detto garbatamente che ero una folle complottista, che se avevo avuto il Covid senza quasi sintomi era solo culo e che dei loro tre figli solo uno la pensava come me (per fortuna) e lo definivano appunto il complottista.
Il vecchio padre continuava a ripetermi di aprire una disputa socratica: ”argomentiamo ogni singola posizione e vedrai che fallisci”. Ho accettato la sfida. Mi sono sembrati dei folli come folle apparivo io ai loro occhi. I loro punti erano tutti fondati sul dogma della giustezza delle scienza, quella riconosciuta dal Potere ovviamente, e sul dogma dello Stato Padre, che sceglie sempre per il bene di tutti al quale i cittadini onesti devono obbedire ciecamente. Ciò che io reputavo una ragionamento logico per loro era irrazionale e ciò che loro reputavano un ragionamento logico a me pareva solo un modo per scansare la loro paura della morte.
Mi sono alzata sorridente, mantenendo il più possibile la calma, ho addotto la scusa che avevo una figlia adolescente da recuperare, e con un filo di ironia ho aggiunto che certamente avrei telefonato al loro figlio complottista per organizzare le barricate in difesa del principio di autodeterminazione così criminalmente calpestato in questi due anni dallo Stato Padre e che come femminista non mi stupiva affatto dal momento che da millenni il principio di autodeterminazione viene osteggiata, a partire dal controllo dei corpi delle donne, dal Patriarcato di cui massima espressione, oggi, sono le istituzioni . La padrona di casa mi ha gentilmente accompagnato all’uscita con questa bella battuta “il femminismo; la malattia peggiore che esista e per il quale purtroppo un vaccino non c’è”. Quanto a carattere lo sfoderava con ancor più audacia della mia, chapeau, un bel calcio in culo con il sorriso sulla bocca.
Fuori dalla porta mi aspettava un sole rovente ma una luce intensa, radiosa e meravigliosa. Mi sono detta che la paura della morte, se non riconosciuta e messa in parole produce queste aberrazioni: “se non si bucavano i giovani, andavano in giro, mi infettavano e mi ammazzavano” questo avevano detto gli ultra 85enni, come se la morte non fosse presente se non attraverso lo spazio che i giovani portano via ai non giovani . Con questo schema i vecchi possono allontanare il pensiero della morte spostandolo all’infinito sulla colpa dei giovani di essere giovani. Mi è venuto in mente questa brillante riflessione di Franco Nembrini “l’educazione è un casino da mo” [vedi il video], due minuti esilaranti che vi consiglio di ascoltare.
Non cambia nulla, la storia si ripete, se non siamo capaci di andare in fondo ai tunnel delle nostre paure. Resta però il fatto che in tempi estremi come quelli che stiamo vivendo, non affrontare seriamente e profondamente queste nostre paure ataviche diventa criminale perché ci si macchia dell’assassinio vero e proprio e non simbolico della gioventù.
lo confesso, sono uscita schifata anche se sento e so che parte del loro modo di vivere appartiene anche al mio, è parte di me. E che per liberarmene c’è bisogno di un vero atto di rottura. La babele che ci avvolge, l’incomunicabilità tra generazioni è forse il castigo che ci spetta per non volere fare fino in fondo il salto quantico, il salto dentro al futuro, con gli occhi di chi lo ha davanti tutto da vivere. Ho scritto questo pezzo perché spero davvero di non fare il loro stesso errore, spero di non macchiarmi di una colpa che non riesco a perdonargli, quella di non sapere accettare la finitudine della vita che porta alla cancellazione del diritto allo spazio della vita di chi verrà dopo di noi.
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Roberta Trucco
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