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L’Italia ha appena emesso Bond in dollari americani, con scadenze varie e interessi allettanti, per un totale di 7 miliardi di euro. Le tre tipologie di Btp sono state collocate al 2,4% per i titoli a 5 anni, 2,9% per il quelli di durata di 10 anni, fino al 4,02% per il Btp trentennale. Interessi che hanno stimolato … l’interesse degli investitori, abituati a ricevere molto di meno sui bond europei emessi oramai, per la maggior parte, a tassi negativi.

I comunicati del Ministero dell’Economia e Finanza specificano che “I proventi derivanti dall’emissione potranno essere impiegati dall’emittente per necessità generali dell’emittente, ivi incluse finalità di gestione del debito”. In altre parole i soldi raccolti, che sono ovviamente nuovo debito, potranno essere utilizzati per saldare vecchi debiti, a dimostrazione del fatto che la più improduttiva delle spese dello Stato è proprio il pagamento degli interessi sul debito. Si fa debito per pagare altro debito.

Gli interessi sul debito pubblico che la comunità si è dovuta accollare negli ultimi due anni sono stati all’incirca 130 miliardi (dati Def e Nadef) che mentre da una parte rappresentano un’esigenza per la moderna economia, dall’altra dimostrano una specifica volontà politica di finanziarsi nel modo peggiore, ovvero vendendo Btp alle condizioni più favorevoli al mercato e meno vantaggiosi per chi li emette (aste marginali invece che aste competitive, conteggio nel debito dei Btp già ricomprati dalla Banca d’Italia, necessità di vendere tutto nella medesima asta a tutti i costi, nessun supporto di una banca pubblica ed ora Btp in valuta diversa dall’euro).

In tale quadro, ovviamente e chiaramente politico prima che economico, il debito pubblico italiano è un enorme contenitore che è arrivato alla astronomica cifra di 2.410 miliardi di euro al 31 luglio 2019. L’ultimo bollettino del Mef sulla composizione dei titoli di stato in circolazione al 30 settembre 2019, rende noto che del totale del debito pubblico 2.015 miliardi e 558,09 milioni sono titoli di stato. Di questi il 71,43% sono Btp, ovvero titoli a più lunga scadenza e sui quali si concentra la speculazione.

E’ ovvio che in un contesto di numeri di questo genere anche il senatore Bagnai, a capo della Commissione Finanze del Senato, abbia ridimensionato la portata degli spiccioli emessi in dollari. Quale danno potrebbero fare 7 miliardi di euro di bond emessi in valuta straniera rispetto ai già oltre 2.000 miliardi emessi in euro?

In realtà non è così semplice, soprattutto quando ci viene detto continuamente che il debito oggi accumulato graverà sulle future generazioni, affermazione che ovviamente non solo contesto io (poca cosa) ma che ha contestato persino Milton Friedmann, padre dell’attuale politica economica neoliberista.

E se dunque la spesa pubblica è a carico nostro, allora mi sembra giusto pretendere la miglior gestione possibile. Se persino i posti letto negli ospedali ed i tetti che coprono le scuole dei nostri figli sono soggette al buon risultato del bilancio statale, allora anche l’emissione di pochi “spiccioli” dovrebbe seguire la logica della buona amministrazione e della lungimiranza politica.

Gli esempi di default che vanno per la maggiore in tv fanno sempre riferimento sempre a stati che hanno emesso debito in valuta straniera, ovvero valuta che gli emittenti non potevano poi controllare. L’Argentina rappresenta l’esempio classico ma anche la Russia della fine dell’ultimo secolo si era indebitata in dollari prima del default.

Certo, se si parte dal presupposto che in ultima analisi non possiamo controllare nemmeno l’euro in quanto abbiamo demandato alla Bce la politica monetaria staccandola dalla politica fiscale e dai vari ministeri del Tesoro, allora cambia poco, siamo d’accordo. Anche l’euro è sostanzialmente una moneta straniera, presa a prestito. Ed a riprova di questo, e se si spulciano le voci del debito pubblico, si scopre che vi sono conteggiati anche i 179 miliardi di debito corrispondenti alla liquidità del Paese. Cioè alla moneta cartacea che utilizziamo, che appartiene alla Banca Centrale Europea e che ad essa devono essere restituiti.

Tornando al punto, le ultime emissioni di Btp in euro non hanno mai raggiunto il livello di interesse che invece dovremmo pagare per quest’ultima emissione. Anzi, nel comunicato stampa n° 173 del 03/10/2019 si legge che “Il Ministero dell’Economia e delle Finanze comunica i dettagli dell’emissione del nuovo Btp€i a 10 anni, con scadenza 15 maggio 2030 e cedola reale dello 0,40%”. Cioè emettere Btp in euro ci costa infinitamente di meno rispetto all’emissione in dollari che oltretutto è anche più rischiosa.

Ovviamente il Sole 24 ore ha spiegato che è solo “un effetto ottico” perché grazie alla stipula di derivati, ovvero di assicurazioni sul debito emesso, alla fine andremo a spendere la stessa cifra in interessi rispetto ad un indebitamento in euro. Una spiegazione con un po’ di buchi intorno e che non dice, ad esempio, che le assicurazioni vanno pagate, quindi ulteriori costi a nostro carico.

E nemmeno abbiamo voglia di andare a leggere le clausole, visto che di derivati qui a Ferrara abbiamo esperienza e che è storia il fatto che i contratti per derivati siano talmente complicati da essere ostici persino a chi li predispone.

La realtà è che vendere titoli in Btp conviene agli investitori e a noi, in fondo, piace far felici gli investitori tanto che dagli anni ’80 gli abbiamo già versato in interessi più di 3.000 miliardi di euro. Perché smettere?

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info


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