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Senza nostalgie o sonnolente malinconie ripenso a ciò che ho lasciato alle mie spalle, il Paese canagliesco, le tante città nelle quali ho lavorato, gioito, anche sofferto, ma, soprattutto ai molti amici che, lungo la strada della mia vita mi hanno lasciato, piccoli preziosi uomini e donne, o grandi personaggi, che mi hanno accompagnato, mi hanno sorretto, mi hanno fatto piangere a volte, mi hanno dato tanto in termini di affetto e di stima.
Li ho perduti, la vita non attende niente e nessuno, va avanti, ci sputa addosso il suo tempo senza pietà, se ne infischia di amori, legami, impegni, la vita spazza via tutto.

Alcuni, di questi amici li ricordo con tenerezza, altri con grande rimpianto, tra noi, mi accorgo ora, in questo silenzio che mi avvolge teneramente, sono rimaste in sospeso tante parole, troppi ragionamenti non hanno avuto termine e ora, mi chiedo, come faccio a trovare le risposte che mi attendevo? Niente da fare, faccio perfino fatica a ricordare le cento voci lasciate nel vuoto, cerco di ricostruirle, o di immaginarle, quella di Umberto per esempio, Umberto Terracini, quando gli chiesi “Umberto, come hai fatto a resistere per oltre vent’anni in galera ed essere ancora qui a sperare che la società cambi?”. E lui, sereno, davanti a un piatto di tagliatelle in una trattoria di Ancona, tagliatelle che la padrona, vecchia comunista emozionata per aver ospite un personaggio tanto importante, aveva tirato col mattarello – tagliatelle squisite – lui sereno, con il suo sorriso dolce, rispose semplice semplice: “Facendo un riposino dopo mangiato, nevvero!”.

Faceva parte, Terracini, di quel gruppo di uomini che avevano veramente cambiato l’Italia senza mai chiedere qualcosa in cambio, senza ottenere nulla che non fosse galera ed esilio. Proprio come i potenti di oggi, penso. Potenti! Si fa per dire, meglio chiamarli venditori di pere cotte. Ma gli uomini che avevano sofferto la tortura, l’umiliazione, la disperazione della prigionia, la lontananza dai propri cari, vendevano, o meglio: ci regalavano, ideali sui quali costruire le nostre convinzioni, tutta gente che credeva nel confronto e mai si sarebbe abbassata a offendere gli avversari, quella era prassi fascista, pensavamo di averla sconfitta. Una volta di più avevamo sbagliato.

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Gian Pietro Testa



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