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Mentre i politici nazionali formulano obiettivi ambiziosi per la scuola, gli insegnanti, ogni giorno sempre più, scoprono che le possibilità di concentrarsi sui bisogni degli alunni, sulla qualità del lavoro d’aula e sulle questioni pedagogiche fondamentali sono peggiorate.
Come non ricordare il novembre dell’Ottantanove? Venticinque anni fa. Mese e anno eccezionali. Il 16 novembre del 1989 cade il muro di Berlino, quattro giorni dopo, il 20, a New York, l’assemblea delle Nazioni unite fa propria la ‘Dichiarazione dei diritti del fanciullo’.
Il riferimento al muro di Berlino non è solo dettato da una coincidenza della storia, ma dal fatto che molti muri nei confronti dei fanciulli (si intende tutti coloro che non hanno raggiunto la maggiore età) devono ancora essere abbattuti.
I leader mondiali hanno promesso che il diritto di andare a scuola e imparare sarà realtà per tutti i bambini della Terra entro il 2015. Ma è già chiaro oggi che l’obiettivo non potrà essere centrato l’anno prossimo e forse neppure negli anni immediatamente in avvenire.
Intanto, nonostante i progressi nel corso degli ultimi 25 anni, ci sono 58 milioni di bambini che non vanno a scuola e la crisi economica, un po’ ovunque, ha finito per colpire soprattutto le scuole, gli insegnanti e la qualità della formazione.
L’istruzione di qualità per tutti, dunque, resta in cima all’agenda per un futuro sostenibile, pacifico e prospero.
Mentre i politici nazionali formulano obiettivi ambiziosi per la scuola, gli insegnanti, ogni giorno sempre più, scoprono che le possibilità di concentrarsi sui bisogni degli alunni, sulla qualità del lavoro d’aula e sulle questioni pedagogiche fondamentali sono peggiorate.
Classi numerose, personale ridotto, risorse economiche e strumentali che mancano, spazi e edilizia scolastica inadeguati, scarsa autonomia e flessibilità, un’opinione pubblica poco informata e consapevole di ciò che va accadendo nel nostro sistema scolastico nel suo insieme.
Non può certo consolarci il fatto che tutto ciò non investe soltanto il nostro paese, ma tutte le realtà nazionali dove la questione scuola in questi anni ha visto perdere di centralità a causa delle politiche di austerità.
Così ‘l’Istruzione’, piegata alla omogeneizzazione globale, dagli interessi e dai programmi proclamati dall’Ocse e dalla Banca mondiale, torna ad essere la rivendicazione internazionale di un diritto oggi fortemente minacciato, di un diritto proclamato da quella carta di venticinque anni fa, che si vorrebbe celebrare, tacendo delle tante violazioni che ancora si perpetuano nei confronti dei suoi principi.
Se ne sono resi conto tutti coloro che hanno intrapreso la campagna “Unite for quality education”.
È una campagna dell’associazione ‘Education international’, la voce di insegnanti e altri lavoratori della formazione in tutto il mondo. Conta 30 milioni di membri, rappresenta attraverso le sue 400 organizzazioni affiliate oltre 170 paesi.
Un buon segnale, perché dimostra che si può uscire dal campo circoscritto della difesa asfittica di un ruolo e di uno status, da tempo non più riconosciuti, per affermare invece il valore, la portata sociale e la forza di una professione, quella docente, insieme alla qualità della propria professionalità.
La lotta che unisce tanti insegnanti di tutto il mondo, va oltre la tutela corporativa della categoria, per abbracciare l’interesse dell’intera società civile, perché rivendica una visione ben articolata per una forte e competente professione docente, per una scuola di alta qualità continua.
In Europa e negli Stati Uniti gli insegnanti si trovano ad affrontare politiche educative che denunciano una sfiducia di fondo nei confronti della professione docente, attraverso la combinazione dei risultati di numerosi test standardizzati e di valutazioni che alla fine risultano per essere controproducenti non solo per chi insegna, ma per tutta la scuola.
In questa situazione, la risposta degli insegnanti che hanno dato vita alla campagna “Unite for quality education” è la migliore. Perché, rifiutando una chiusura corporativa, si è aperta a dimostrare all’opinione pubblica di quale professionalità siano portatori e come la qualità della scuola dipenda da politiche capaci di arricchire e valorizzare le loro competenze, con l’obiettivo di ottenere un’istruzione di qualità per tutti.
Inoltre, l’importante intuizione, che accomuna quanti sono impegnati in questa campagna, consiste nella consapevolezza che la dimensione mondiale oggi non consente di isolare i temi dell’istruzione e della docenza in una prospettiva locale, ma che è quanto mai necessaria una cooperazione che superi i confini nazionali.
Raccogliere conoscenze, condividere esperienze tra insegnanti professionalmente preparati è forse la migliore chiave per estirpare il germe che oggi minaccia nel mondo gli insegnanti e la qualità delle nostre scuole. Il ‘Global education reform movement’ è il ‘GERME’ di cui si parla, che è l’obiettivo internazionale, dell’Ocse e della World bank, di ridurre le scuole del globo e, con esse, il diritto all’istruzione, all’omologazione al ‘common core standard’, ai test nazionali e transnazionali, alla conquista delle vette delle classifiche del successo formativo, in funzione esclusiva dell’economia del rendimento del capitale umano sui mercati mondiali, alla faccia degli intenti proclamati dalla “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.


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