Tre novembre, castello nei pressi di Brasov.
Un guasto alla macchina e una sosta imprevista. Ospite del custode, aspetto una telefonata dall’officina del paese a valle, spero di ripartire presto e abbandonare queste terre per sempre.
Giorni inquieti a rimirare un paesaggio freddo e ostile. Notti tormentate in preda agli incubi. L’attesa è tossica.
La terza notte, insonne come le altre, esco dalla mia camera e do un’occhiata lungo il corridoio: in giro non c’è nessuno.
Scendo lo scalone principale e poi una stretta scala di servizio che ho notato per caso. D’un tratto mi trovo nei sotterranei e cammino guidato dalla luce fioca delle torce alle pareti. Sono entrato in una sorta di galleria scavata nella pietra, dalle fessure della volta a botte sembra colare del liquame bruno e denso. È tutto così strano, mi chiedo se sono sveglio o sto dormendo.
Davanti a me scorgo bizzarre creature blu. Ma sono incerto, non sono sicuro di ciò che vedo.
Hanno braccia e gambe quasi umane e una lunga coda squamosa, e sono prive della testa. Strisciano su un enorme tappeto rosso con arabeschi dorati e alamari azzurri ai bordi. Si muovono confondendosi coi decori e la trama del tessuto sotto di esse. È come se il tappeto stesso prendesse vita.
Avanzano verso la pesante porta in fondo al tunnel.
Non si curano affatto del sottoscritto, mi ignorano completamente. Allora ne approfitto e, con uno scatto improvviso, le scavalco arrivando alla porta prima di loro.
Ora sono dietro di me, si muovono lente, le osservo contorcersi e quasi arrancare ma non si fermano. Con grande sforzo spingo la massiccia porta fino ad aprirla completamente.
La potente luce che avvolge la sala oltre la porta quasi m’acceca, poi, appena recupero la vista, m’assale uno stupore violento, paralizzante. Nonostante le stranezze e le bizzarrie viste in precedenza, nulla è paragonabile a ciò che vedo adesso.
Vedo una miriade di esseri incredibili. Volano, saltano, corrono e strisciano in ogni direzione, in questo salone immenso di cui non riesco a scorgere la fine. Sono creature dall’aspetto folle, e anch’esse, come quelle del tappeto alle mie spalle, sembrano non accorgersi di me. Le vedo come lo spettatore di un film, anzi, dentro un film.
Sono come invisibile. Tutti questi esseri non mi rivolgono alcuna attenzione, mi passano accanto sfiorandomi, alcuni mi urtano facendomi quasi cadere.
È un sogno? È solo immaginazione?
Eppure li vedo, ne sento l’odore, li posso pure toccare.
E se fosse solo un’idea strampalata nella mia testa?
Non sono nel Regno del Bianconiglio. Non è Moria, e nemmeno il Palazzo dei Goblin, ho già visitato quei posti.
Questo è diverso, è del tutto nuovo. Un nuovo sogno, una nuova idea completamente mia. Senza alcuna influenza altrui finalmente!
Magari mi trovo soltanto sotto il mio letto, o sopra il mio tappeto rosso porpora. Oppure a un milione di miglia da casa… può darsi. L’importante è non dimenticare tutto e scriverci qualcosa appena posso.
Appena mi sveglio, perché no?
Mi aiuterò con la musica, al solito. L’unico ingranaggio capace di riaprire quella porta…
Nei sotterranei della mia fantasia, naturalmente.
La musica, questa musica, crea le immagini e le fa muovere tutt’intorno. Non mi resta che osservare e oscillare tra le note e le parole, nella brezza leggera e potente di Carpet Crowlers…
Carpet Crowlers (Genesis, 1974)
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Carlo Tassi
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