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Bicchiere con acqua e una rosa su un piattino di metallo. E’ una natura morta dipinta da Francisco de Zurbarán in mostra a Palazzo dei Diamanti, Ferrara, fino al 6 gennaio 2014. Un olio su tela piccolino, prezioso e luminoso, che riallaccia i fili della pittura – e in questo caso, in particolare, della natura morta – in una triangolazione internazionale che vola sopra i confini di spazio e tempo.

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“Bicchiere con acqua” di Zurbaran, 1630

In questa tela di dimensioni minute, come in altre nature morte del “Caravaggio spagnolo” , persino il clamore classico e quello barocco che caratterizzano la sua arte sembrano mettersi un po’ in disparte. La lezione di realtà della pittura caravaggesca, fatta di luci e ombre, diventa strumento per dar voce a un linguaggio moderno. L’opera lascia parlare gli oggetti, tanto più significativi quanto più comuni, veri. Per evidenziare l’attualità di Zurbarán ci vengono in aiuto alcune opere, sempre legate in qualche modo alla città estense. Ecco allora Jean Siméon Chardin, protagonista qualche anno fa di un’altra grande mostra di Palazzo dei Diamanti. Anche in quel caso un autore non particolarmente noto, che anziché rappresentare l’atteggiata aristocrazia della Francia del ’700, si dedica a soggetti un po’ marginali, con scene di vita minore e con quelle nature morte piene di umiltà e sentimento cui deve la fama.

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“Il cestino di fragole selvatiche” di Chardin, 1761

A mettere insieme queste opere e questa poetica artistica arrivate dalla Francia del ’700 e dal Spagna del ’600 dà un contributo decisivo Giorgio Morandi, che dalla confinante Bologna raccoglie l’eredità di questa poetica e la rilancia facendo apprezzare questo genere nel mondo.

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“Vaso di fiori” di Giorgio Morandi, 1950

I quadri morandiani pieni di bottiglie, vasi o paesaggi ci dicono perché quelle nature morte sono ancora attuali. Per farlo basta uno dei vasi con i fiori di Morandi. Zurbarán trasfigura la rosa alludendo alla Madonna, bianca e virginea come il bicchiere, pura come l’acqua, splendente come lo specchio. Morandi, che ama molto l’opera di Zurbarán, quello stesso messaggio raccoglie e riscrive in una chiave laica, novecentesca, usando una gamma ridotta di colori che rende il fiore scabro, intimo, poetico. Una rosa irrinunciabile non più come regina floreale o divina, ma come quella del Piccolo Principe, unica perché annaffiata, protetta e curata da lui: la rosa addomesticata, la rosa del cuore, che ti emoziona perché è proprio quella lì. Staccata dal giardino del re o oltre un umile muro con in cima cocci di bottiglia poco importa, è la sola per noi, ora, davanti al quadro.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, MN 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, BO 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici UniFe, Mimesis, MI 2017). Ha curato mostra e catalogo “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”.


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