Un’Arena arcobaleno, la liberazione oggi si chiama disarmo
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25 aprile 2014: una data significativa per più di un motivo. Il 25 aprile è il giorno in cui si commemorano la Resistenza e la Liberazione dal nazifascismo. Se si aggiunge il 2014, anno del centenario della Grande Guerra, la giornata racchiude entrambe le catastrofi del Secolo Breve europeo. Non è dunque scelto a caso l’appuntamento dell’Arena di Pace a Verona, organizzato da un comitato promotore che riunisce cinque organizzazioni: Sbilanciamoci, Rete disarmo, Movimento Nonviolento, Cnesc e Forum servizio civile. Il mondo della pace torna dunque all’Arena, che più volte negli anni ’80 e ’90 è stata il luogo per i suoi raduni: il primo è stato nell’ottobre del 1986, poi il 1989, l’anno dello storico monito “In piedi, costruttori di pace!” di don Tonino Bello, e gli appuntamenti del 1991 in opposizione alla guerra del Golfo, infine l’ultima nel 2003, quando padre Zanotelli ha chiesto di esporre le bandiere arcobaleno come segno di contrarietà alla guerra in Iraq.
Ed è ancora il missionario comboniano a lanciare questa nuova grande celebrazione laica della pace, con un appello su arenapacedisarmo.org, “non solo ai politici ma innanzitutto a noi stessi”, chiedendo a chi vi parteciperà di assumersi la responsabilità “di essere parte del cambiamento che vogliamo vedere nel mondo”. Hanno già aderito: don Luigi Ciotti di Libera, Susanna Camusso e Maurizio Landini della Cgil, Carlo Pedrini di Slow Food, Paolo Beni, presidente Arci, Gianni Bottalico, presidente Acli, Cecilia Strada, presidente di Emergency, Ugo Biggeri, presidente di Banca Popolare Etica. Tanti anche gli artisti: Moni Ovadia, Lella Costa, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Natalino Balasso, Fiorella Mannoia.
Ne abbiamo parlato con Daniele Lugli, presidente emerito del Movimento Nonviolento – in cui milita fin dalla sua fondazione – ed ex Difensore Civico della Regione Emilia Romagna.
Le parole d’ordine per questa ‘giornata nonviolenta’ sono “La Resistenza oggi si chiama nonviolenza, la Liberazione oggi si chiama disarmo”, il collegamento con i valori resistenziali quindi è ben lontano dall’essere puramente formale.
La Resistenza indica il momento nel quale ci si oppone a una realtà inadeguata che ti costringe, che ti chiude e Capitini – fondatore del movimento nonviolento ndr – ci diceva che la nonviolenza è il punto di tensione più profonda per il sovvertimento di una realtà inadeguata, cioè la nonviolenza cerca di andare alle radici della chiusura e della violenza che ci costringe. Questo è il primo elemento che collega nonviolenza e resistenza. Di qui anche la necessità che la resistenza si approfondisca, perché anche in assenza di una guerra guerreggiata si avverte la sensazione di un mondo che si chiude su se stesso, questa assenza di futuro, questa incapacità di progetti individuali e collettivi, a tutto questo bisogna resistere e farlo usando gli strumenti della nonviolenza. Per questo il nesso fra liberazione e disarmo, per sottolineare la componente della scelta di non opporre violenza a violenza, non solo come scelta etica, ma soprattutto come esperienza storica: abbiamo visto e vediamo infatti che la violenza e la forza, anche quando usate con le migliori intenzioni, hanno degli effetti che nel tempo si rivelano deleteri. C’è una frase secondo cui «Un fine che per essere raggiunto richiede l’uso di mezzi ingiusti, non può essere un fine giusto», a dirlo non è Gandhi ma Carl Marx. Da tutto ciò discende la necessità del disarmo, prima ancora che nelle armi nelle nostre teste, come ha affermato il presidente del movimento nonviolento Mao Valpiana concludendo la marcia della Pace del 2011.
Comincia a diventare più chiara ora un’espressione che si legge nell’appello con cui avete convocato l’Arena di Pace e che mi ha colpito: si parla di “uno stile di vita disarmante”. Cosa intendete?
Perché di questo disarmo fanno parte anche scelte di vita che si contrappongono a questa pretesa di una crescita senza confini. Ne misuriamo ormai tutti quanti gli effetti: un’economia finanziaria che ha ormai ingoiato l’economia reale, una propensione che viene instillata a consumare il più possibile beni, territori, persone. Diventa sempre più difficile perpetuare l’ingiustizia, che ha funzionato per molto tempo, di spostare le conseguenze dannose delle nostre scelte di vita e di consumi in altri luoghi e in altri tempi lontani da noi. Questo malcostume ora sta chiedendo il conto: nella disperazione dell’emigrazione e nell’assenza di prospettive di larga parte della gioventù, anche quella più attenta e decisa a impegnarsi. Da qui la necessità di scelte di vita disarmante e disarmata che non offenda gli altri, anche solo per una forma di egoismo illuminato che sa che un’offesa data all’altro ricade immediatamente su chi l’ha fatta, proprio per il legame profondo e sempre più forte creato dai processi di globalizzazione. Capitini diceva «Quando butti un sasso nell’acqua è difficile che tu misuri fin dove arriveranno le onde», questo vale però anche per le azioni positive, ben orientate, che hanno effetti che vanno lontano, molto al di là della nostra immaginazione: ecco perché vale la pena di agire.
L’appuntamento dell’Arena sarà anche l’occasione per una ‘rivoluzione pacifica’ del concetto di difesa, che l’articolo 52 della nostra Costituzione descrive come un “sacro dovere del cittadino”. Se i nemici oggi sono la povertà, la disoccupazione, la mancanza dei servizi sociali, per difenderci non servono gli F35, ma più fondi per i servizi primari della società: è questo il vostro messaggio?
Il dibattito costituzionale è stato molto ricco, molto si era già detto in quei momenti, per esempio sul fatto di porre un limite alle spese per la difesa, che non avrebbero mai dovuto superare quelle per l’istruzione. Si era posto anche il problema di una scelta costituzionale di neutralità dell’Italia, il tema dell’obiezione di coscienza e dell’esercito professionale. A questo proposito il dibattito è stato influenzato dalla posizione espressa da Ernesto Rossi mentre era al confino sull’isola di Ventotene: oltre a scrivere con Spinelli il Manifesto per l’Europa, ha steso anche il testo Abolire la miseria, nel quale ha posto il tema di un esercito del lavoro, della durata di due anni, obbligatorio per ragazze e ragazzi, sostitutivo della leva, il cui compito era produrre beni e servizi di base. Quindi uno strumento per la creazione di un welfare di base, attuato attraverso la gratuità dei beni e dei servizi essenziali e non delle forme di aiuto economico. È interessante che quest’accento forte sulla lotta alla miseria fosse posto da Rossi, liberista molto apprezzato da Einaudi, che per di più pensava che questo tema potesse accomunare il pensiero economico liberista e socialista. Ho accennato a questi fatti per far capire come allora il tema della sicurezza venisse declinato in modo del tutto differente. Sicurezza viene dal latino sine cura, senza preoccupazione: quando non si hanno preoccupazioni? Quando sono eliminati i motivi di preoccupazione. Noi non sottovalutiamo la richiesta di sicurezza delle persone, ma è bene comprendere da dove viene effettivamente questa insicurezza. Per questo pensiamo sia fondamentale che accanto alla difesa tradizionale, fondata sulle armi e su sistemi di armamenti sempre più sofisticati e sempre meno controllabili, ci sia anche quella che affronta le contraddizioni che portano alle guerre e abbiamo visto che, anche con pochissimi mezzi e in scenari complessi, azioni non armate hanno dato risultati straordinari. Penso all’esempio del comune di Ferrara, che attraverso il servizio civile nazionale è intervenuto a Cipro con un’azione di riconciliazione tra la comunità greca e quella turca. Cose di questo genere sono ancora troppo poche e possono essere moltiplicate. Per questo pensiamo che sia necessario cominciare a potenziare le iniziative direttamente volte alla pace, perché per avere la pace bisogna preparare la pace, come dice un vecchio detto.
Da qui nasce anche la campagna sull’opzione fiscale che lancerete all’Arena di Pace, vero?
Sì, ritorna qui la possibilità di scelta: vogliamo che le persone possano dare una possibilità alla pace, riprendendo le parole di John Lennon. Chiediamo che le persone possano indicare nella propria dichiarazione dei redditi se vogliono destinare a consapevoli azioni di costruzione della pace, attraverso forme organizzate di intervento, una quota pari a quella che in termini generali viene destinata per la difesa. Lo scopo è far crescere la consapevolezza che esiste un’alternativa concreta alla sicurezza affidata al raffinamento delle armi. Inoltre, far sì che si possa cominciare a valutare l’utilità dei fondi che vengono destinati ad azioni di pace e per la prevenzione dei conflitti, credo che le cose che abbiamo progressivamente appreso sulla vicenda degli F35 ci abbiano fatto comprendere come siano altri gli interessi che guidano queste scelte rispetto alla sicurezza delle persone. Si tratta anche di cominciare a dare attuazione a ciò che è scritto nella nostra Costituzione che all’articolo 11 recita: l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Sono passati alcuni anni dall’ultimo incontro a Verona, avvenuto nel 2003 per lanciare la campagna delle bandiere arcobaleno da esporre ai balconi contro la guerra in Iraq. L’appuntamento del 25 aprile sarà anche l’occasione per rilanciare una piattaforma comune per tutto il movimento per la pace?
Ci sono state diverse occasioni d’incontro in questi anni, però un’assemblea dove sia possibile guardarci negli occhi e non solamente fra noi pacifisti doc, spesso anche divisi, incapaci di costruire un’unità al nostro interno, è un evento importante. Speriamo sia il primo passo di un percorso da costruire insieme ad altre associazioni che rappresentano il meglio di una società che cerca di meritarsi l’aggettivo di civile. L’appello è stato firmato da Alex Zanotelli, da don Ciotti, da Cecilia Strada di Emergency, hanno aderito associazioni di giovani come Agesci e Arci, ma anche i sindacati come Cgil e le Acli, anche se i lavoratori spesso si trovano in difficoltà di fronte alla riconversione di apparati industriali che producono armi, pur comprendendo la necessità di un modello di sviluppo fondato sulla costruzione della pace. Ora, che i movimenti pacifisti abbiano ottenuto una così forte adesione mi fa sperare che sia possibile andare verso un’unità molto più ampia, perché si corre sempre il rischio di chiudersi sottolineando le differenze invece degli aspetti e degli impegni che accomunano. L’Arena di Pace è proprio questo: un impegno concreto, anche attraverso la campagna dell’opzione fiscale, intorno al quale si possono riunire varie istanze.
Per concludere Daniele ti chiederei di darci alcune informazioni sul programma e su come partecipare.
L’inaugurazione della giornata sarà alle 12 in piazza Brà, mentre i cancelli dell’Arena saranno aperti alle 13. Dalle 14 in poi prenderà il via la manifestazione, con vari interventi, come ad esempio quello di Susanna Camusso, testimonianze e interviste, condotte da Gad Lerner. Ma ci sarà anche tanta musica, grazie alla collaborazione del Club Tenco. Alle 18 poi presenteremo la campagna ‘Disarmo e difesa civile non armata e non violenta’. Da Ferrara, precisamente dal piazzale ex-Mof di via Darsena, alle 11.30 partirà un pullman, messo a disposizione dalla Cgil. Per prenotare un posto basta mandare una mail a francesco.barigozzi@mail.cgilfe.it oppure telefonare al numero 3482687880.
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Federica Pezzoli
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