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C’è un modo antico di riflettere emozioni e scoperte che ci è stato affidato dalle cronache del settecentesco Grand Tour e che riflettono il senso di un incontro, specie se questo riguarda Roma, l’heimat, il luogo da cui proveniamo, la patria ideale, la terra dove crescono i limoni secondo il nostalgico grido di Goethe. Ed ecco che, nel breve viaggio che ci conduce con gli Amici dei musei e monumenti ferraresi a Roma per visitare le due grandi esposizioni su Cleopatra e Augusto, aprirsi uno scenario apocalittico che fa riflettere sulla fragilità della bellezza e sulla sua conservazione, aprendo la strada a quell’idea del Sublime incarnata nello scatenamento della natura infuriata a cui si contrappone per dirla con Winckelmann il grande studioso tedesco del Neoclassicismo, la “nobile semplicità e la quieta grandezza” con cui gli dèi scendono sulla terra. E di uomini diventati dèi si trattava: Augusto ormai fissato nella icona del pontefice massimo assurto agli onori della casa del cielo o lei, la bellezza che ha vinto su Roma, “Cleopatràs lussuriosa” con il sorriso immemore del destino che solo gli dèi possono esibire a noi mortali.
Su Roma si scatena la furia del temporale e il viaggio si compie tra bombe d’acqua e pericoli di tracimazione del Tevere. Quasi una risposta alla bellezza e all’ordine che i nuovi barbari, i rozzi e incolti seguaci della violenza verbale vogliono imporre con le loro immonde provocazioni alle istituzioni del paese. Quella violenza che ha tentato di annullare ciò che Roma ci ha dato nel tempo anche se sorretta da ideologie stridenti al nostro concetto di democrazia. Barbari che affidano alle parole ingiuriose, al balbettio sconnesso il senso dell’armonia e della quiete della mente che solo la bellezza sa produrre.
Questo resoconto va quindi letto come la risposta all’ingiuria che il tempo scatenato dalla natura e da certi uomini portano contro l’arte e la misura delle cose. Anche quella della mente offesa e stravolta dal balbettio dei seguaci di un comico. L’eccezionalità dunque della trasferta romana degli Amici dei Musei ferraresi non è stata solo confermata dal maltempo che ha imperversato sulla prima giornata del nostro tour ma dalla strepitosa qualità delle mostre e delle visite che abbiamo compiuto. Sembrava quasi che l’avversità del tempo venisse suffragata dalla bellezza delle cose che andavamo scoprendo con un’empatia che forse sarebbe stata minore se fossimo stati privilegiati dalle gloriose giornate di sole romano.
Tra lampi e tuoni è dunque emersa da un buio profondo la inquietante e meravigliosa testa di Cleopatra che ha scandito il percorso della mostra allietata inoltre dalle immagini novecentesche della regina d’Egitto interpretate da Theda Bara, Claudette Colbert e quella che per tutti noi rimarrà l’immagine-mito di Cleopatra: Liz Taylor. E sfingi di marmo rosa e sculture fantastiche di lottatori sui coccodrilli e mummie e ori e trionfi mentre al di là delle finestre oscurate Roma sembrava perdersi nei diluvi dell’acqua.

Poi l’arrivo alle Scuderie del Quirinale per ammirare la mostra su Augusto evento unico per la nostra generazione. Ecco affacciarsi, tra l’idealizzazione dei personaggi e il primitivo impulso degli scultori a un naturalismo che rifletteva le “vere” fattezze imperiali, l’immagine di Augusto, sommo sacerdote, divinizzato appena morto, nella gloria dell’auctoritas che lo rendeva simile agli dèi con l’incredibile statua dell’Augusto di Prima Porta che mentre ci incatenava la mente con le storie scolpite nella sua lorica ci comunicava l’esondazione del torrente che aveva sommerso proprio Prima Porta in quelle stesse ore. E anche qui smalti, ori, trionfi per una esposizione che era una glorificazione della civiltà romana.
Poi scendendo la strepitosa scala progettata da Gae Aulenti la visione di una Roma dilavata dalla pioggia che vibrava di bellezza e di luci. Per ritornare quindi alle memorie ferraresi nella casa romana di Portia Prebys che ci ha accolto tra i memorabilia di Giorgio Bassani offrendoci un sontuoso aperitivo e via, poi, a Trastevere tra piatti romani e ancora bombe d’acqua che agli intrepidi viaggiatori vaganti per le vie del centro hanno intriso di acque “lustrali” cappotti e scarpe.
Il giorno dopo alla scoperta della seconda Roma imperiale -quella mussoliniana- accompagnati da un pallido sole. Così perduti nelle bizzarrie del quartiere Coppedè tra mostri fantastici e case di fiaba approdiamo allo stadio dei marmi e al complesso della cittadella dello sport inquinato dalla incongrua presenza dello stadio olimpico tra i risonanti nomi delle archi-star che si sono prestati alla grandezza sportiva della capitale per approdare infine allo strepitoso quartiere dell’Eur che nessuno guarda e che rappresenta un’utopia sconfitta di un destino imperiale travolto -per fortuna- ma le cui realizzazioni sono di una qualità assoluta.
I paesaggi dechirichiani dai fornici e dalle finestre inquietanti del colosseo quadrato, i palazzi del potere, la cittadella dei musei: una idea di bellezza urbanistica ormai affidata alla storia e che – come è costume degli “itagliani” insensibili alla storia e all’arte – a volte cade a pezzi a volte è disertata dalla suprema indifferenza che questo terribile paese dedica all’arte. Che boccata d’ossigeno. La bellezza affidata all’arte è come diceva il poeta “ristoro unico ai mali”. E noi ci siamo ristorati!

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.


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